Doveva finire come tutte le storie drammatiche e passionali. Una popolarità improvvisa, un paese in lacrime, le autorità che regalano il terreno per la sepoltura e due o tre titoli su “Il Messaggero” di Roma.
Poi l’inesorabile ruzzolone del tempo, la guerra 1915-18, gli affanni del quotidiano…
Eppure l’oblio non scende su questi freschi 11 anni, 9 mesi e 21 giorni. La macchina del tempo conosce una brusca frenata e quella bambina di nome Maria Goretti, dall’anonimato di una brutta vicenda dell’inferno delle Paludi Pontine viene catapultata sul palcoscenico del mondo.
Nella storia di Maria Goretti è deviante affidarsi solo alla buona o alla cattiva volontà degli uomini. Alcuni di loro per troppo amore l’hanno ridotto ad uno slogan sdolcinato e senz’anima. Altri, intingendo il pennino nel calamaio del corrosivo, hanno preteso di distruggere un mito.
Indirettamente hanno alzato il sipario per una rivisitazione che rende giustizia di questa umana e divina avventura.
Le luci si accendono su di una storia di emigrazione e di quotidianità: una equazione che tocca da vicino una famiglia su tre dell’Italia di fine ‘800. I Goretti sono di Corinaldo, splendida cittadina vicino il mare di Senigallia; una famiglia di gente povera, contadini dignitosi e dalle mani callose. Maria nasce il 16 ottobre 1890 e in casa la chiameranno sempre Marietta. Prima di lei erano nati Tonino e Angelo, poi verranno Alessandro, Mariano, Ersilia e Teresa.
I suoi genitori sono Luigi ed Assunta Carlini, una coppia affiatata e ben voluta da tutti. Hanno un podere e un casolare a mezzadria in una località di nome Pregiana, sulla via dei Cappuccini, circa un chilometro fuori Corinaldo.
Appena il tempo di organizzarsi e per Luigi ed Assunta decidere di emigrare nella Campagna Romana diviene un imperativo categorico.
il paese di Corinaldo (g.c. Paolini - Montesi)
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Per molti marchigiani quella terra rappresenta l’Eldorado di casa nostra e per l’ufficio anagrafe di Corinaldo registrare un’ennesima emigrazione diviene ormai una questione di routine.
Le ricche famiglie della borghesia romana possiedono immensi latifondi in quella fetta di terra a sud della Capitale. Promettono lavoro e “pane di grano” in cambio di un prezzo da pagare altissimo, sia come salute che come fatica.
All’alba di metà ottobre del 1897 la diligenza in servizio da Corinaldo a Senigallia cigola tra campi arati e brume autunnali. Nei bambini lo stupore si legge negli occhi: il treno, il mare, la folla e mille domande da fare a papà e mamma.
A Roma, ad accogliere la famiglia Goretti, c’è il Senatore Scelsi che attraverso la Casilina li conduce a Colle Gianturco, una tenuta nella pianura di Paliano. I casolari di Colle Gianturco sono oasi dal sapore di fieno in mezzo a prati infiniti. Tuttavia la terra non si dimostra generosa e ben presto le promesse fatte appaiono sogni irrealizzabili.
Colle Gianturco sarebbe stata una parentesi trascurabile in vista di una sistemazione migliore, ma in questa azienda la vita di Luigi e Assunta si intreccia con quella dei Serenelli. Un momento-chiave per la storia che stiamo raccontando.
Un giorno il senatore propone a Luigi Goretti e Giovanni Serenelli di mettersi in società: «Voi Goretti avete una famiglia numerosa e voi Serenelli non avete una vera famiglia. Mettetevi insieme e le cose andranno meglio».
Il ritmo di vita fatto di lavoro e di sudore però viene interrotto bruscamente da un improvviso licenziamento causato da un violento litigio tra il Serenelli e il senatore Scelsi.
Corinaldo - casa natale di Maria Goretti
Paliano - casolare di Colle Gianturco
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Nell’incubo di perdere anche “quel pane dal sapore di polenta” e nella più nera disperazione accettano le proposte di lavoro a Le Ferriere di Conca, cuore delle Paludi Pontine, presso la tenuta del conte Attilio Mazzoleni.
È il febbraio 1899 e l’inverno quell’anno è particolarmente rigido.
Mentre ancora una porta si chiude sulla vicenda dei Goretti, si compie un gesto e si dice una parola di grande valore. Mamma Assunta consegna a Marietta (così veniva chiamata in famiglia la santa) una icona della Vergine e papà Luigi esclama ad alta voce: «Dio sempre provvede».
Dalla stazione di Cecchina il piccolo corteo prende la via delle Paludi. I confini tra l’Agro Romano e le Paludi Pontine sono affidati al vento e al tracciato di sentieri dimenticati e traditori. Dietro cespugli e stagni affiorano rari casolari ed echi di canzonacce di lestraioli e carbonari.
Su questa terra la storia ha girato pagina: dagli splendori dell’antica Satricum solo fatiscenti pilastri sull’Astura, il grande fiume della Palude. Alcuni insediamenti, con il loro nome-tutto-un-programma servono per i bisogni di prima necessità: Campomorto, Gnif-Gnaf, Carano, Conca, Le Ferriere.
I Goretti e i Serenelli giungono a Cascina Antica di Conca all’imbrunire: i bambini e gli adulti guardano con stupore le mura del casolare, salgono a fatica i 20 gradini ed entrano nella grande cucina. Anche a Conca i Goretti e i Serenelli vivono nella stessa cascina e quella sera i nuovi arrivati vengono invitati a cena dai buoni Cimarelli, anche loro marchigiani e amici dei Goretti fin dagli anni di Corinaldo. La promessa fatta dal conte Mazzoleni di “mangiare pane di grano” si mostra veritiera, il terreno è fertile, il clima mite e la speranza torna a fiorire. Ma la fama di quel “pianeta delle zanzare” esplode nella sua cruda realtà.
La morte è una compagna di vita talmente familiare che nelle stalle insieme ai buoi e agli attrezzi trovano posto anche le casse da morto. A pendere come una spada di Damocle è la malaria, un fantasma antico e micidiale che si aggira inesorabile su quella terra.
La tragedia si abbatte improvvisa: Luigi Goretti all’inizio della primavera del 1900 si ammala gravemente. Un padre di cinque figli (l’ultima, Teresa, ha appena due mesi) non può fermarsi, tutto deve continuare, a qualsiasi costo.
Ma il 6 maggio 1900, a 41 anni, Luigi chiude gli occhi per sempre, lasciando la sua famiglia nella disperazione e nel lutto.
In un momento di lucidità, profeticamente, Luigi raccomanda ad Assunta di tornare a Corinaldo dopo la sua morte. Concluse le preghiere, la cassa montata sopra un baroccio viene portata nel piccolo cimitero di Conca. A guidare i buoi, seduto sul carro, è Alessandro Serenelli, visibilmente addolorato per quel tragico epilogo.
La tomba di Luigi Goretti non verrà più ritrovata, ma vicino alla cappella, una lapide ex-voto di un soldato americano ricorda la riconoscenza per una grazia ricevuta per intercessione del papà di S.Maria Goretti.
Lapide della tomba di Luigi Goretti nel cimitero di Conca
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Di quel 6 maggio 1900 è rimasto il cancello di ferro all’ingresso. Marietta vi posava fiori di campo e i singhiozzi di bambina che già doveva diventare donna. In occasione della morte di papà Luigi conosciamo le prime parole di S.Maria Goretti: «Mamma, vedrai, il buon Dio non ci abbandonerà. Tu prendi il posto di papà in campagna, ed io penserò a mandare avanti la casa».
Una promessa e un programma che lasciava intravedere le tante ragioni della sua Santità.
A detta di mamma Assunta e dello stesso Serenelli, Marietta è l’anima di una vita che a Cascina Antica riprende a scorrere con fiducia e dignità.
Il sano realismo della gente di campagna, la tenacia dei marchigiani e la fede nella Provvidenza, compiono il miracolo. Quell’anno, malgrado il raccolto di 300 quintali di grano e 96 di favino, il passivo con il conte Mazzoleni è solo di L. 15, un passo avanti verso momenti di maggiore serenità.
Ma come si svolgeva una tipica giornata di Marietta durante la sua permanenza a Cascina Antica?
Risponde direttamente mamma Assunta: «Per le faccende di casa c’era la Marietta, poi arrivavo io all’ultimo momento per darle una mano. Correggeva i fratellini e quando il fratello maggiore mi dava qualche dispiacere essa lo rimproverava dicendo “Fai così perché non c’è il babbo”.
Non ho trovato in lei alcun difetto. Se a volte l’ho sgridata è stato perché, preoccupata dell’azienda, ero nervosa. Marietta prendeva la sgridata con calma e seguitava a fare le faccende non portandomi il broncio. Aveva un cuore generoso verso di me e verso i fratelli e nel mangiare contentava prima gli altri, poi se stessa.
Si alzava di solito all’aurora, prima di tutti, diceva le preghiere vestendosi ai piedi del letto e se era tardi le continuava mentre sbrigava la cucina. Poi mentre io mungevo le mucche, Marietta accudiva le galline e rigovernava il pollaio alla svelta.
Poi entrava in casa e preparava la colazione, svegliava i fratellini, li aiutava a vestirsi, a lavarsi, faceva dire le preghiere e poi avanti e indietro per la casa, senza mai stancarsi per raccattare questo e quello.
Poi andava a prendere acqua per il pranzo, raccoglieva l’insalata nell’orto, preparava il soffritto, i piatti e i bicchieri e prima che arrivassero gli uomini era tutto pronto.
Nel pomeriggio stirava la biancheria e ordinava le stanze. Se c’era da fare la spesa andava a Conca e la sapeva fare bene. Alla domenica si dormiva un po’ di più ma c’era da andare alla S.Messa e da accompagnare i fratellini. E allora quante raccomandazioni perché fossero ordinati nella persona e nei vestiti. In chiesa li teneva vicino a sé, li faceva segnare, li faceva genuflettere. Quando una volta la settimana c’era da fare il pane dovevamo alzarci prima. Alla sera andava ancora alla fonte a prendere l’acqua, poi dopo cena faceva pregare i fratellini e li accompagnava a letto. Ma non aveva ancora finito e senza disturbare nessuno dicevamo il Rosario e poi mi raccontava i fatti del giorno e alla luce della lucerna rammendava i calzoni, camicie e fazzoletti. Poi, dopo aver dato un ultimo sguardo ai fratellini, diceva le preghiere e cadeva immediatamente nel sonno. Io che tante volte non riuscivo ad addormentarmi, la contemplavo un momento, pregavo per lei e prima di spegnere la luce la benedicevo. Come avrei potuto immaginare un angelo migliore?»
Alla luce di questo documento davvero non trovano giustificazioni i colori sbiaditi e sdolcinati di un “santino” freddo e disincarnato, tipico di certa letteratura.
C’è un legame sottile di cui bisogna tener conto nella storia del “piccolo fiore di campo”, senza il quale la sua sarebbe una delle tante storie a sfondo deamicisiano.
Questo legame è Dio, il valore portante, la ragione di fondo della vita e della morte di Marietta. È innegabile come questo Signore abbia manifestato il suo volere nel cuore e nella mente di Marietta, praticamente da sempre.
Il merito della creatura è stato quello di essersi inserita in tale disegno, senza deviare dai tracciati dell’Altissimo. Abbiamo più volte analizzato con cura e attenzione questo aspetto e sempre vi abbiamo trovato una fiducia senza devozionalismo e come i “piccoli di Jahwé”. Marietta di questa fiducia si fa “profezia”.
È una fede che si specchia nel quotidiano, nella concretezza del vivere, nel servizio verso gli altri, nella gioia di essere disponibile, nell’amore alla Vergine. Dio come forza trainante: niente a che vedere con l’immagine vecchiotta di Dio-alienazione cara alla ideologia vetero-marxista e radical-chic. Un ruolo stimolante lo hanno i suoi genitori, persone semplici ma portatrici di valori autentici e solari. L’amore verso Dio, quando è limpido, matura un’apertura verso gli altri, un atteggiamento di servizio e di accettazione che in Marietta avranno un ruolo davvero centrale.
Di carattere timido, nei rapporti con gli estranei ha un atteggiamento di rispetto e di educazione. Non ama fermarsi troppo a “ciacolare” lungo la strada e prova un evidente fastidio per la volgarità e la maleducazione. I vicini di casa più volte dicono a mamma Assunta: «Che angelo di figlia avete!».
Testimonianza autografa del barbiere di Anzio: Alfonso Boccia
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Per Marietta, un giorno fra tutti, segnerà uno scatto in avanti nella sua maturazione umana e spirituale. Più volte mamma Assunta rimane stupita dalle ricorrenti richieste della figlia di poter fare la prima comunione. Le difficoltà però sono enormi e per Marietta addirittura insormontabili.
La Goretti non poté frequentare la scuola ed è perciò analfabeta, inoltre a quel tempo la normativa permetteva la Prima Comunione solo al compimento del 13° anno.
Il desiderio di Marietta però va ben al di là delle normali attese di una preadolescente. Molti biografi parlano di un presagio che la Goretti sentiva nella sua vita, quasi un bisogno di fare tutto in fretta. Bruciare le tappe di ogni ipotetico traguardo caratterizzerà in maniera considerevole il suo itinerario terreno.
Mamma Assunta non poteva negare a lungo la sincerità di quella attesa e permette a Marietta di andare a Conca a catechismo insieme al fratello Angelo.
La bambina mostra una intelligenza non comune: non solo impara tutto a memoria ma diviene maestra per i suoi fratellini. La sua prodigiosa memoria ha un’ulteriore conferma quando tornando da Nettuno dove si recava a vendere le uova, ripeteva in casa l’intera omelia ascoltata nella Chiesa della Madonna delle Grazie.
Nettuno e la Chiesa della Madonna delle Grazie al tempo di S. Maria Goretti
Chiesa di Conca inizio ‘900
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Possiamo affermare con certezza che Marietta fece la sua Prima Comunione nella chiesa di Conca il 16 giugno 1901, domenica dopo l’ottava del Corpus Domini.
Prima di andare in chiesa, sulla porta di casa Marietta chiede perdono a tutti e ha il tempo di ricomporre un capriccio del fratello Angelo che dichiara all’ultimo momento di non voler andare in chiesa perché non aveva le scarpe nuove. Marietta gli dice: «Ma Angelo, Gesù non guarda le scarpe ma il cuore». Marietta quel giorno di nuovo aveva praticamente niente: il velo bianco era della signora Albertini, gli orecchini erano di mamma Assunta, un’altra signora le prestò le scarpe e la corona del capo era composta con fiori di campo.
Al ritorno a Casina Antica ci fu grande festa, forse l’unico giorno davvero felice della famiglia Goretti, ma già inquietanti si avvicinavano le prime ombre della sera.
Tra i Serenelli e i Goretti i rapporti non sono mai tranquilli ma con la morte di Luigi Goretti i contrasti divengono praticamente aperta insofferenza.
Alessandro Serenelli, figlio diciassettenne di Giovanni, inoltre, da un po’ di tempo fa strane proposte alla piccola Maria. Le minacce di morte, le maniere brusche, quegli occhi torbidi suscitano nella Goretti una reazione di fastidio.
Marietta è decisamente ancora piccola ma è una bambina pulita, semplice, la fede inoltre le ha plasmato una sensibilità in aperta opposizione a tutto ciò che è banale e ambiguo. La logica della violenza e del compromesso non si conciliano con il suo mondo fatto di valori schietti e genuini. Marietta tuttavia vive i “giorni della sua passione” nel più completo silenzio. Capisce però che solo nella preghiera può trovar la forza per essere forte. Il giorno prima di quel tragico 5 luglio 1902 rivolta a Teresa Cimarelli le dice: «Teresa, andiamo a Campomorto a ricevere la Comunione? Non vedo l’ora». Un pomeriggio afoso d’inizio luglio 1902 il punteruolo di Alessandro colpisce a morte quella bambina che in nome di Dio e dell’uomo gli ricordava l’assurdità di quell’oltraggio. Lo scenario è la grande cucina di Cascina Antica e la colonna sonoro è l’allegro vociare dei bambini e dei contadini impegnati nella trebbiatura del favino. «Ma che fai Alessandro, Dio non vuole…» e quella camicia del Serenelli che Marietta sta rammendando si colora di sangue.
la grande cucina di Cascina Antica
Croce Rossa di Carano con tipica ambulanza dell’epoca
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Accorre gente, si chiama un dottore, mamma Assunta che sviene dal dolore, Alessandro che getta quel punteruolo in un luogo dove non verrà più ritrovato e si barrica in camera. Sono fotogrammi di una cronaca convulsa e drammatica.
Dinanzi al “fiore di campo” reciso a morte si inchinano i rudi uomini delle Paludi. Quando sul fiume Astura passa l’ambulanza trainata da cavalli, quelle mani callose e devastate dall’artrosi stringono il cappello come fanno solo nel giorno della processione del Corpus Domini.
La notizia dell’odioso misfatto si diffonde rapidamente per tutta la Palude e decine di uomini, intenzionati a far giustizia dell’aggressore, circondano Cascina Antica.
Anche l’uomo del “pianeta delle zanzare” ha il suo codice d’onore che non è possibile calpestare impunemente, come ha fatto Alessandro.
Intanto l’ambulanza prende la via di Nettuno lasciando dietro quelle ruote cigolanti una sensazione di vuoto e di sacrilegio. La Marietta se ne va avvolta dal suo pallore, con la sua storia di “piccolo fiore di campo” e l’aria stupita di chi chiede scusa per tanto disturbo. Lei che sempre aveva fatto tutto in punta di piedi.
Quella notte a Cascina Antica non dormirà nessuno. Neanche la cena sarà pronta, è rimasta solo quella camicia di Alessandro sul pianerottolo e la manica sporca di sangue.
I fratelli Goretti vengono amorevolmente ospitati nella casa dei vicini Cimarelli ma la notte trascorre nello smarrimento. Dirà in seguito Teresa Cimarelli di averli trovati durante tutta la notte con gli occhi sbarrati dalla paura.
Per loro Marietta è veramente tutto.
«Buttai l’arma dietro il cassone e mi ritirai nella mia camera, chiusi la porta e mi tirai dietro la cordicina per sottrarmi all’ira popolare e mi stesi sul letto in attesa dei carabinieri».
Così Alessandro filma i momenti più drammatici della sua avventura tragica e violenta.
A spalancare una porta muta ad ogni richiamo ci pensa Rita Comparini e il ragazzo viene circondato da uomini armati e consegnato ai carabinieri.
Anche il Serenelli varca quella porta di cucina ma passa dinanzi ad occhi che esprimono odio e vendetta.
A piedi, ammanettato, trascinato da due cavalli scompare nella polvere al di là dell’Astura. In seguito il Serenelli sarà riconosciuto colpevole e responsabile dal tribunale civile e condannato a 30 anni di carcere.
Giovanni Serenelli licenziato dal Mazzoleni, torna alla sua Paternò, portandosi dietro il marchio del più cupo fallimento.
Il sole dipinge sull’orizzonte scenari di struggente poesia. È il tramonto di un giorno di luglio caldissimo e Nettuno si specchia nel suo mare. La gente distratta e festaiola torna dalla spiaggia, appena un sussulto per quella bianca ambulanza che attraversando il centro raggiunge alle ore 20 l’Ospedale Orsenigo.
Nettuno - Belvedere e via per Anzio
Ospedale “Orsenigo” e casina per degenza donne
Palazzo “Enzoli” dove mamma Assunta trascorse la notte
tra il 5 e 6 luglio presso la famiglia Donati
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Marietta viene portata in camera operatoria e per l’occasione è “inaugurata” la corrente elettrica. I dottori Batoli, Perotti ed Onesti tentano l’impossibile ma la setticemia ha già devastato irreversibilmente quel corpo.
Francesco Bartoli
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Norberto Perotti
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Umberto T. Onesti
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Gli ultimi momenti di Marietta hanno una sconcertante similitudine con gli ultimi momenti della vita di Cristo.
I presenti rimangono colpiti dalle numerose espressioni di amore della morente per la Vergine Maria. Ma il nostro “fiore di campo” doveva ancora scrivere la sua pagina più sublime. Il perdono al suo uccisore segnerà il passo più importante della sua identificazione con Cristo Gesù ed è il gesto più significativo della sua santità.
È il parroco di Nettuno, Temistocle Signori, a fare la domanda. E Marietta con decisione: «Sì, per amore di Gesù lo perdono e voglio che venga vicino a me in Paradiso».
Poi le sue condizioni peggiorano, le sue ultime premure sono per i fratellini. Chiama più volte la dolce Teresa Cimarelli, poi si abbandona dolcemente. Sono le 15,45 del 6 luglio 1902: Marietta ha 11 anni, 9 mesi, 21 giorni.
Il delitto di Conca, l’agonia e il perdono di Marietta al suo uccisore, passano di porta in porta con la suggestione di una laude medioevale.
«È morta una martire, è morta una Santa», e a mamma Assunta la gente passa dalla compassione alle congratulazioni per essere la fortunata madre di una Santa.
“Il Messaggero” di Roma con 3 corrispondenze fa conoscere con toni accorati il “delitto di Nettuno” ad una platea più vasta. Il comune di Nettuno regala il terreno per la sepoltura e Temistocle Signori compone la prima poesia dedicata alla Santa.
Nettuno - il luogo dove S. Maria Goretti rimase sepolta dal 1902 al 1929
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Ai funerali non assiste mamma Assunta, tornata a Le Ferriere vicino agli altri figli, ma nessuno di essi metterà più piede a Cascina Antica. Abiteranno a Conca fino alla fine del processo civile, al termine del quale ad imitazione della figlia, anche mamma assunta pubblicamente perdona Alessandro Serenelli.
Nel 1903 Assunta torna a Corinaldo più povera di quando ne era partita. Ottiene dai carabinieri di Nettuno il rimpatrio gratuito per le sue disagiate condizioni economiche.
Le figlie Ersilia e Teresa, sono ospitate presso istituti religiosi, Alessandro, Angelo e Mariano temporaneamente seguono la madre a Corinaldo. Per tutti tuttavia l’avventura è solo all’inizio.
quadri delle miracolose guarigioni ottenute invocando il nome di Marietta |
Marietta con le sole sue forze non sarebbe mai più uscita da quella tomba del cimitero di Nettuno e mai come nella sua storia è possibile vedere la mano di Dio.
Clamorose guarigioni avvengono nel suo ricordo e per la sua intercessione, ma la prima risposta di alcuni autorevoli rappresentanti della Chiesa è «che si tratta di una bambina e nulla più».
Grazie al lavoro del passionista Mauro Liberati, le tessere del mosaico vengono composte ad una ad una e nel 1929 si procede alla esumazione del corpo che viene solennemente tumulato nel Santuario Madonna delle Grazie di Nettuno.
Il 1 giugno 1938 è introdotta la Causa di Canonizzazione presso la Sacra Congregazione dei Riti. Il 25 marzo 1945 il papa Pio XII ne riconosce il martirio ed il 27 aprile 1947 Marietta viene dichiarata beata. Ormai la storia del “piccolo fiore di campo” diviene una pagina significativa nella storia della Chiesa. Al definitivo riconoscimento manca il sigillo definitivo del miracolo. Ne vengono scelti due strepitosi e di indiscutibile attendibilità. Il primo è la guarigione di Giuseppe Cupe, padre di 4 figli, istantaneamente guarito da un grave e cancrenoso ematoma causatogli da un grosso masso precipitatogli dall’alto di una scarpata delle cave di Tivoli sul piede destro. Il secondo è la guarigione, istantanea, della signora Anna Grossi Musumarra, ammalata di pleurite essudativa e liquido abbondante. I due malati avrebbero potuto guarire solo dopo lunga e incerta terapia. La canonizzazione avviene il 24 giugno 1950, dinanzi a oltre mezzo milione di persone. Mamma Assunta assiste alla cerimonia ed è l’unico caso nella storia di una mamma presente alla canonizzazione della figlia. È bene ricordare tuttavia che il miracolo più grande la Goretti lo compie con il suo uccisore. Durante il processo civile il suo atteggiamento è arrogante e contraddittorio. Ma durante la detenzione nel carcere di Noto, una notte, in sogno gli appare Marietta. Sarà lo stesso Alessandro in seguito a raccontare l’episodio. L’invito a convertirsi da parte della Santa è preso alla lettera dai Serenelli. I frutti non tardano a venire. Viene graziato per buona condotta e finisce i suoi giorni in un convento dei Cappuccini di Macerata. Dal suo testamento emerge l’immagine di un uomo che aveva sbagliato ma che faticosamente aveva ricostruito la sua immagine e la sua vita grazie alla fede e al perdono dei Goretti.
Muore il 6 maggio 1970, stesso mese e stesso giorno del papà di Marietta.
Nella memoria collettiva, con i suoi risvolti culturali, quando si racconta di un personaggio che ha terminato i suoi giorni in modo tragico, potrebbe verificarsi di solito la seguente situazione.
I posteri che rivisitano la sua esperienza umana, amano fermare la loro attenzione su di un flash-symbol che per la sua carica emotiva si impone sugli altri. Di solito la morte o i momenti che la precedono.
L’interesse viene calamitato in quell’arcipelago dove commozione e sentimento dominano sovrani. Nella cineteca dell’immaginario, di frequente però un fotogramma subisce un tale ingrandimento da coprire l’intera sequenza del film.
La ricerca della sintesi inoltre sembra offrire vantaggi solo all’apparenza. Sono motivazioni inconsce, elaborate in una vastissima gamma di esperienze vissute, ma dalle quali a nostro parere conviene prendere le distanze.
Con l’andare del tempo, quando i contorni del personaggio in questione divengono più sfumati, il ricorso al flash-symbol che dovrebbe “racchiudere” una vita, rivela risvolti devianti.
Staccato dal contesto, tagliato dalle sue radici, esiliato dalla sua terra, quel fotogramma diviene storia a sé.
Un primo risultato è quello di condurre lo spettatore a confrontarsi con un leader astratto e senza corpo. Un approccio talmente appesantito dal suo stesso spessore straordinario, da apparire lontano e irraggiungibile.
Ora quell’uomo e quella donna sono “eroi” dai messaggi indecifrabili, fino a divenire vuoti ed inutili. Il tipico odore dei fiori di plastica.
Nessuna meraviglia se questo fenomeno ha investito come un boomerang il personaggio Maria Goretti.
Giornata della canonizzazione 25 giugno 1950,
in tribuna speciale, il Presidente della Repubblica Italiana on. Luigi Einaudi e consorte, i ministri Scelba, Aldisio. Il sottosegretario di Stato on. Andreotti, Bubbio, Mattarella.
Sindaco di Roma Rebecchini. Vari Ambasciatori. Trasmessa attraverso la RAI. Servizio Sanitario ad opera del Sovrano Militare Ordine di Malta
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La retorica tentazione dello slogan, l’etichetta che deve “racchiudere una vita”, il ripiego su messaggi tratti dalla fiera del riduttivo, il vezzo di biografie-panegirico, hanno solo offerto un servizio ambiguo ai fini della conoscenza della sua storia. In alcuni casi si è raggiunto il limite, oltre il quale inizia l’universo del banale. La polemica (gennaio 1985) orchestrata sul nome della Goretti, pur nella sua strumentale demenzialità, ha trovato facile esca in contorni così mal confezionati.
A questo punto il bisogno di fermarsi e, a bocce ferme, riordinare tutte le tessere del mosaico diviene una questione di correttezza.
Un ambito, poi, così delicato come quello della fede, richiede che di scontato non ci sia nulla e che tutto debba scorrere sul filo di una metodologia collaudata e rigorosa.
In S. Maria Goretti, poi, oltre il pericolo grave di presentarla solo per i suoi “cinque minuti finali”, c’è il problema della giovane età.
I recenti traguardi raggiunti da J. Piaget sul vasto problema dell’età evolutiva, hanno permesso di guardare con maggiore rispetto, sia dal punto di vista psicologico che motivazionale, ai suoi dodici anni.
Abbiamo rivisitato insieme l’umanissima avventura di quella che noi chiamiamo Marietta: un percorso lineare, inserito nel concreto, illuminato dalla dimensione della fede, maturato dalla conoscenza del dolore e della fatica.
Su questa strada non abbiamo trovato etichette o slogan, né figure disincarnate fino a divenire “eroi” di cartapesta. Non è possibile manipolare questa vicenda umana e divina o assegnare il ruolo trainante a quel particolare invece di un altro.
Il nome di Maria Goretti non è una etichetta, ma un cammino sia pur breve. Alle grandi gesta preferisce il quotidiano, non illuminato dalla filosofia del carpe diem ma da quello della fede, per cui tutto diviene dono della Provvidenza.
La sua fede non è pietismo, la carità non è viscida ostentazione, la sua speranza non è riposta solo in una realizzazione terrena.
Il segreto della sua santità è racchiuso in questa “normalità”, vissuta in risposta ad una chiamata precisa che l’ha vista protagonista nel contesto della sua famiglia, nelle difficoltà del mondo disperato ed inquietante delle Paludi Pontine, nel dolore assaporato precocemente e nel rifiuto di ogni violenza.
Un camminare verso Dio da “laica”, rispettosa del suo ruolo e delle sue competenze, cosciente di entrare da protagonista nella piccola grande storia degli uomini e dell’Altissimo.
Alcune tappe di questo itinerario hanno un nome e una precisa lezione di vita:
- fiducia nella Provvidenza anche nel dolore: «Mamma non ti preoccupare, vedrai, il buon Dio non ci abbandonerà»
- amore verso il prossimo: «Adesso penserò io a mandare avanti la casa»
- rifiuto della violenza e rispetto del suo essere donna: «Ma che fai Alessandro, Dio non vuole e tu vai all’inferno»
- attenzione particolare alla preghiera: «Mamma quando potrò fare la Comunione?», «Teresa quando torniamo a ricevere Gesù?»
- perdonare sempre e senza distinguo: «Per amore di Gesù lo perdono di cuore»
- testimonianza di una vita dopo questa vita: «Lo voglio [Alessandro] con me in Paradiso»
- vivere tutto con semplicità e senza formalismi: «Che era brava lo sapevo, che sarebbe divenuta Santa non me l’aspettavo» (Mamma Assunta).
Il 20 luglio 1890 nasce Giorgio Moranti, uno dei pittori più geniali dell’Italia di questo secolo. È un coetaneo della nostra Marietta. Strade diverse, destini all’apparenza inconciliabili.
Nel 1924 il pittore bolognese “dai paesaggi senza cielo” dipinge una diafana, sognante ed incorporea tela dal titolo “fiore di campo”. Avvolto da quel chiarore che promana senza stanchezza dall’ocra della parete, il dipinto sembra assorbire a sé steli e svaporare i contorni del vaso in una luce senza tempo. Nel corso di questa piccola storia varie volte abbiamo accostato la vita di Marietta al fiore di campo. Probabilmente solo una parentesi pindarica vedrebbe collegati simboli e colori così diversi, come lo sono quelli di Morandi e della Goretti. Ma la simbologia non è strategia solo esclusiva dei poeti, e nella storia corsi e ricorsi solo all’apparenza risultano casuali. La vita e la morte di un uomo e di una donna sono qualcosa di più di un “santino” confezionato grazie a quei “beati cinque minuti” incoscienti e piovuti dal cielo. Parto svampito di narratori in vena di sintesi e dal culto dell’usa-e-getta che abitano nei dintorni della simpatica corte dei miracoli. Un petalo non fa un fiore e solo una visione d’insieme ci permette di ammirarlo nella sua bellezza e originalità. Marietta fa parte di questo giardino.
quadro “fiore di campo” di G. Morandi
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