100libripernettuno.it




Illustri Nettunesi
A. Ongaro, G. Brovelli Soffredini, F.Felici

a cura di
A. Sulpizi, P. Cappellari, V. Monti

 

HOME - OPERE

3) A. ONGARO, LA SUA CITTADINANZA
ED IL SUO POEMA

CONFERENZA tenuta il 4 agosto 1907
da G. Brovelli Soffredini
nell'Aula Consiliare del Comune di Nettuno

Signori,

Non havvi cosa al mondo che sia tanto nobile quanto Io studio delle scienze, l'amore delle lettere e la coltura delle belle arti. Gli uomini d'ingegno, che tutta la loro vita e la loro opera dedicando allo studio, così da cogliere de' preziosi allori, onorarono la patria, meritano di essere additati ad esempio delle future generazioni, perché resti imperituro il loro ricordo nella lunga successione dei secoli.
Sdegnarono essi gli agi ed i beni che passano; ma nessuna ricchezza di principe può eguagliare quella onde accumularono inestimabili tesori nel conseguire il bene immortale della dottrina e dell'arte.
Mosso da tali ragioni nella seduta Consiliare del 12 Gennaio del corrente anno (1) volli ricordare a questa civica rappresentanza, che sono trascorsi 325 anni dal giorno in cui per la prima volta in Nettuno venne letto il sublime poema, Alceo(2), che è il parto più nobile della niente del nostro concittadino ANTONIO ONGARO.
Esposi inoltre al Consiglio le prove storiche che si sono raccolte sulla nascita di questo illustre poeta, e fui vivamente soddisfatto dal che tali prove ebbero l'onore in quel giorno di essere consacrate nel verbale delle deliberazioni consiliari. Nella seduta del 10 maggio successivo (3), avendo il Consiglio proposto di festeggiare il terzo centenario di uno dei più grandi suoi figli, mi parve di far cosa grata comunicando un mio modesto lavoro storico commemorativo, lavoro che ebbe gentile accoglienza e venne approvato dall'Assemblea. Fu pure deliberato che si avesse a tenere una conferenza, e fu a me delegato il non facile, ma gradito incarico, che mi porge l'occasione di rivendicare una gloria cittadina.
Di ciò rendo grazie alla rappresentanza del Comune ed a tutte le cortesi e colle persone, che mi onorano della loro presenza, e che si accingono a favorirmi della loro benevola attenzione.
La poesia è tal fuoco che infiamma anche le menti più rozze, e ravviva i sentimenti di coloro eziandio che sono meno disposti all'entusiasmo.
Nelle favole; degli antichi, si narra che Amfione ed Orfeo col suono della lira commossero l'uno le pietre e l'altro le belve: di essi più grandi e più possenti i sommi poeti vincono colla dolcezza del loro canto e ingentiliscono il genio dell'uomo, che han virtù di ridurre alla vita civile.
La poesia bene spesso ha indotto le menti umane alla ricerca del vero ed ha contribuito a diffondere nei popoli le cognizioni universali. Rapisce colla sua armonia e molce soavemente i cuori, apprestando molte volte un possente farmaco contro le passioni.
Di questa forza della poesia è un esempio luminoso l'Alceo. favola pescatoria dovuta alla penna di Antonio Ongaro contemporaneo del Tasso.
Il suo poema, sotto smaglianti figure mitologiche, è un succedersi di episodi, le cui principali figure sono rappresentate da pescatori e da pescatrici. Tra i primi il protagonista è Alceo, nei quale ciascuno può riconoscere il nostro poeta, e fra le altre la principale figura è quella di Eurilla, la quale disdegna l'amore che vivissimo Alceo le porta.
Rapita da Tritone, il mostro del mare, anch'egli innamorato della bella pescatrice, Alceo si getta nelle onde e riesce a salvarla.
L'ardimento del suo salvatore non vale tuttavia a commuovere Eurilla, la quale gli si addimostra irriconoscente e sdegnosa continuando a disprezzare il suo amore.
Straziato da un dolore che gli riesce insopportabile, Alceo va a cercare nelle onde il riposo della morte.
Pentita Eurilla della sua freddezza, ed infiammata di nuovi sentimenti, corre al lido e coll' ansia della disperazione domanda ai pescatori se per avventura veduto avessero qualche naufrago in mare.
I pescatori le mostrano il corpo di Alceo ancor vivo, ravvolto nella rete, onde l'avevano tratto a salvamento. Il poema finisce con un dolcissimo idillio d'amore.
Lumeggiato così quello che e il capolavoro di Antonio Ongaro, non vi sarà discaro, o Signori, che io ricordi qualche tratto principale della sua vita.
Nacque egli nella nostra Nettuno circa la metà del secolo XVI, e dopo i primi studi si recò a Padova per addottorarsi in giurisprudenza, in quella Università che primeggiava tra tutti gli altri Atenei d'Italia.
Ma la severità degli studi del diritto non spensero in lui il genio della poesia, alla quale continuò a dedicare i suoi sentimenti migliori. Nella lettera che egli scrive ai fratelli Girolamo e Michele Ruis suoi protettori, per dedicar loro il suo Alceo. cosi si esprime: "molli avrebbero detto esser poco dicevole ad un giovanetto par mio, che faccia professione di legge, attendere alla poesia ed aver ardire di mandare le primizie del suo ingegno al teatro del mondo", Sebbene scritta da un giovinetto, che non aveva ancora raggiunto il suo ventesimo anno di età. la favola pescatoria, della quale si è ricordata la trama, può annoverarsi fra le opere più preziose che vanti la poesia. L'autore fu molto apprezzato ed amato dai principi Farnesi e Colonnesi, padroni in quel tempo del Castello di Nettuno, i quali fecero per la prima volta rappresentare l'Alceo in questa medesima sala già dei Colonnesi (4), ora dei Borghesi(5), e che è attualmente destinata alle discussioni ed alle deliberazioni della civica rappresentanza di Nettuno. E dove il poeta riceveva le entusiastiche acclamazioni della Corte dei Principi, la mia meschina parola risuona in quest'aula dopo 65 lustri a celebrarne la memoria.
La favola pescatoria fu molto apprezzata dai dotti e fu giudicata di pari valore dell'Aminta del Tasso. Essa riproduce fedelmente il ritratto dell'autore, fa uno splendido quadro della città di Nettuno ed è un lavoro poetico di sublime fattura. Avrò occasione più innanzi di rilevare come vengono bellamente descritte varie località così dell'interno come dei dintorni del paese.
La morte rapì giovanissimo il valoroso poeta, la cui cetra venne fatalmente spezzata, quando egli non aveva ancora raggiunto il trentesimo anno di età.
Molte cose potrei ricordare del giovine cantore di Alceo, ma mancherei lo scopo principale di questa conferenza, se non mi dovessi fermare alcun poco a dissipare le dubbiezze che l'invidia degli uni e la ignoranza degli altri hanno suscitato, per togliere alla nostra città la gloria di aver dato i natali ad Antonio Ongaro. per attribuirla alla città di Padova.
Che fosse contemporaneo del Tasso lo ricorda più d'uno storico; e poiché anche il Tasso si dedicò agli studi legali nell'Università di Padova, vi è ragione di ritenere che fosse suo compagno di studi.
Ho ricordato più innanzi le osservazioni contenute nella lettera dedicatoria diretta dall'Ongaro ai suoi protettori. Non dissimili sono le parole che il Tasso rivolge ai lettori del suo Rinaldo. Scrive infatti: "chiaramente previdi che alcuno, anzi molti sarebbero stati, i quali l'una e l'altra mia deliberazione avrebbero biasimata, giudicando poco conveniente a persona che per attendere agli studi delle leggi in Padova dimori spendere il tempo in cose tali o disconvenevolissimo ad un giovane della mia età la quale non ancora a diciannove anni, arriva presumere tant'oltre di sé stesso e che ardisca mandare le primizie sue al cospetto degli uomini".
Insieme adunque l'Ongaro e il Tasso si dedicavano allo studio delle leggi, come insieme si applicavano alle discipline dell'arte poetica. Ma come il Tasso, sol perché a Padova ha dimorato per lo studio delle leggi, non può dirsi Padovano, e rimane cittadino di Sorrento, che gli dette i natali; per la stessa ragione non Padovano, ma Nettunese deve l'Ongaro ritenersi, come quegli che nacque da famiglia Nettunese a Nettuno.
Molti punti di contatto si riscontrano nella vita del Tasso e in quella dell'Ongaro. Nati entrambi in paesi marittimi, si applicarono ai medesimi studi e divennero ambedue celebratissimi poeti. L'uno e l'altro ebbero dei veri Mecenati, il primo nella famiglia d'Este, l'altro nei fratelli Ruis, e se si vuol tener conto anche dello stile dei due autori, non si ravviserà anche in questo una notevolissima differenza.
Ma per tornare al nostro punto capitale, fra i molti scrittori che compilarono la storia del nostro paese, ed i quali rivendicarono a Nettuno l'onore di aver dati i natali all'Ongaro, ricorderò innanzi tutto il Lombardi (6), Socio dell'Arcadia, della Tiberina e di altre Accademie, che fiorivano ai suoi tempi in Italia. Nel Cenno storico di Anzio antico e moderno (7) edito nel 1847 a pag. 89 si legge: "Poco lungi ad Oriente gli sorge rimpetto la patria del Segneri, di Ongaro e del Sacchi, a buon diritto superba di aver dato i natali a queste celebrità". E nella sua opera postuma dallo stesso titolo Anzio antico e moderno (8), lo stesso autore, parlando di Nettuno, dice che fra gli uomini illustri di questa città vi fu "un eccellente poeta Antonio Ongaro assai onorato dai Farnesi e Colonnesi. Contemporaneo del Tasso ad imitazione dell'Aminta di lui, compose l'Alceo, favola pescatoria che fu applaudita, e stimata in quei tempi, e che venne fatta recitare per la prima volta dai Colonnesi nel loro palazzo in Nettuno Vanno 1582 (9). Vero è che taluno ha creduto l'Ongaro non già di Nettuno ma Padovano, e fra questi il Tiraboschi; ma come prova il Crescimbeni, (Volgar Poesia pag. 484) egli stesso ci tramandò la notizia della sua patria nell'anzidetto dramma, in cui, nascondendosi sotto il nome di Alceo, fa parlare un attore in questa guisa nella scena prima dell'atto primo".

Alceo che è prima gloria ed ornamento
di questo mar, che nacque nel castello
Che dal gran Dio dell'onde ha preso il nome.

Un altro scrittore di cose nostrane, il Rasi, Console Generale di S.M. il Re di Sardegna negli Stati della S. Sede, nella sua dimostrazione della necessità dell'Antico Porto Neroniano in Anzio (10) (pag. 35 e 68) ricorda quanto segue: "Vanta ancora Nettuno un'eccellente poeta nella persona di Antonio Ongaro, molto caro alli Principi Farnesi e Colonnesi. Fu egli contemporaneo del Tasso, e ad imitazione della sua cara Aminta compose l'Alceo, favola pescatoria, composizione elegantissima, stimata dai letterati nulla di meno di quella del Tasso, la quale dai sigg. Colonnesi fu fatta recitare la prima volta in Nettuno nel 1582. E vero che alcuni, pretesero essere egli Padovano, ma il Crescimbeni gli ha confutati nella sua storia della Volgar Poesia pag. 484 per la convincente ragione che nascondendosi il poeta in quella favola sotto il finto nome di Alceo, di esso fa parlare un altro personaggio nella scena 1, attoI, con quei versi":

Alceo che è prima gloria ed ornamento
Di questo mar, che nacque nel castello
Che dal gran Dio dell'onde ha preso il nome.

Sulla stessa autorità del Crescimbeni, Antonio Grifi scrivendo di Anzio e Nettuno dice: "Antonio Ongaro, poeta alle famiglie dei Farnesi e Colonnesi soprammodo carissimo, fu contemporaneo del Tasso e scrisse ad imitazione dell'Aminta un Alceo, che per la soavità della lingua e la grazia dell'espressione nobilissima, i letterati posero nella lista dei testi classici. Voglion taluni che il protagonista della favola, significhi il poeta stesso finto sotto il nome, di Alceo che, quanto sia vero, farebbe credere che lo scrittore fosse di Nettuno e non Padovano, come il Crescirnbeni ha preteso. Perché egli dice:


Alceo che è prima gloria ed ornamento
Di questo mar, che nacque nel castello
Che dal gran Dio dell'onde ha preso il nome.

Nell'opera dell'eccellenza, utilità, necessità del Porto Neroniano in Anzio (pag.40) Giuseppe Soffredini scrive: nell'elegante favola Pescatoria "l'Alceo" cantava Antonio Ongaro ben istruito del patrio porto:

Là dove il lido rientrando, forma
Un'arco e quasi un giro.,..
(Alceo, pag. 19, Atto II).

Per non citare altri autori, ricorderò da ultimo l'avv. Calcedonio Soffredini che scrisse non è molto la storia per Nettuno, Anzio, Astura e Satrico (11). In quest'opera a pag. 170 leggiamo: "Non mancarono certamente in Nettuno uomini, che con opere immortali il proprio nome e la patria illustrassero. E tra questi si vuol primo nominare un Antonio Ongaro contemporaneo del Tasso. Questi compose l'"Alceo" favola pescatoria, che per eleganza di ritmo e molti altri chiarissimi pregi può registrarsi fra le cose più preziose che vanti la volgar poesia. Alquanto seguace del Tasso nell'invenzione della favola, fu da taluni appellata l'"Aminta Bagnala". La scena si finge nei lidi di Nettuno ove nel 1582 per la prima volta l'Alceo fu fatto recitare da Colonnesi. Il Crescimbeni (Volgar poesia pagina 484) lo vuole di Nettuno, perché sotto il finto nome di Alceo fa di sé parlare un attore, nella scena I, dell'atto I, in questi versi":

Alceo che è prima gloria ed ornamento
Di questo mar, che nacque nel castello
Che dal gran Dio dell'onde ha preso il nome.

Coll' autorità dei citati scrittori parmi che ogni dubbio al riguardo possa dirsi del tutto dileguato. Piacemi però di rilevare ancora nuovi argomenti dallo stesso poema di Ongaro, i quali confermeranno ancor meglio che egli era nativo di Nettuno, e che sotto le spoglie di Alceo si nasconde il nostro concittadino poeta.
I fratelli Ruis, che l'Ongaro considerava quali suoi protettori, alla lettera colla quale ad essi veniva dedicato l'Alceo, risposero con due bellissimi sonetti di elogio.

Nel primo ricordano le virtù ed il valore poetico dell'autore e nell'ultimo verso della prima quartina plaudono esser egli:
Per cui porta la Brenta illustre il corno.

L'allusione al fiume Brenta che bagna la città di Padova ha fuorviato alcuni scrittori, che da essa arguirono avere l'Ongaro sortito i suoi natali in Padova. E' un errore.
I Ruis altro non vollero esprimere se non che l'Ongaro, alla pari di altri molti che fecero i loro studi in quella Università, concorse con essi a rendere illustre la città dove si era sviluppalo il suo genio. Il che non vuol dire che Padova fosse la patria di Ongaro, ma solamente che ne riportò onore e gloria, per essere ivi stato concepito e dato alla luce il suo immortale poema.

II secondo dei due ricordati sonetti conferma maggiormente il senso del primo, poiché si dice che Ongaro fu
.....prima gloria e vanto
del mar, novello Orfeo.....

Era dunque nato in un paese marittimo.
Per tornare al poema, poiché fu già detto che in esso il poeta è raffigurato dal pescatore Alceo, la prova che ricerchiamo non potrebbe essere più efficacemente e più manifestamente raggiunta. Nel prologo di Venere la Dea chiama:

.....il pescator Alceo
Gloria del mar Tirreno. Alceo che porta
April nel viso e nelle labbra il mele.

Alceo pertanto ossia Ongaro, giovanissimo, che porta april nel viso, è gloria del mar Tirreno dove troneggia Nettuno.
Non può confondersi nel detto di Venere il pescatore Alceo col greco poeta dello stesso nome, nato quest'ultimo in Metellino città dell'Arcipelago greco. Dette questi il nome al verso alcaico. e la sua poesia, quanto alla purezza dello stile ed alla elevatezza dei concetti, era simile a quella di Omero suo contemporaneo.
Ma per quanto si voglia inneggiare al fondatore dell'Ode Alcaica, non si sarebbe giammai potuto dire di lui che fosse una gloria del mar Tirreno.
L'azione della favola di Antonio Ongaro si svolge tutta nei lidi dove fu Anzio e dove ora sorge Nettuno, castello un tempo dei signori Colonnesi.
Venere nel prologo ammonisce:

Dolce parlar d'amore oggi udiranno
Questi scogli, queste alghe e queste arene.

Ed uno dei personaggi della favola, rivolto alla bella Eurilla, che disdegnava l'amore di Alceo, così la interpella:

Di non saper tu fingi
Quel che li scogli, i mirti e l'onde sanno;
Non è pianta ne sasso in questi lidi,
Ove non sia dal suo coltello impresso
Il tuo bel nome.....

Da ciò si evince che Alceo dovesse appartenere ad un paese marittimo, ove teneva la sua dimora e di cui conosceva le varie località, poiché non vi era pianta né sasso che non portasse scolpito dal suo coltello il nome dell'adorata.
Non possiamo finalmente dispensarci dal ricordare anche una volta quei versi che designano la patria di Alceo, e dei quali i sopraccitati scrittori han tratto argomento per designarla nella città di Nettuno.

Alceo che è prima gloria ed ornamento
Di questo mar che nacque nel castello
Che dal gran Dio dell'onde ha preso il nome.

Quale sia questo mare lo ha detto Venere nel prologo; è il mar Tirreno: quale sia il castello di questo mare che ha preso il nome: dal Dio delle onde, niuno è che non sappia, poiché non vi è altro paese nel litorale del Tirreno, che porti il nome di Nettuno, il quale secondo la mitologia è per l'appunto il Dio delle onde.
Non basta ancora. Sappiamo ora che Alceo nacque in Nettuno, dobbiamo anche indagare se fosse poeta. Ma lo stesso Alceo ci toglie d'impaccio, quando nell'Atto I, scena II, rivolto ad Eurilla le dice:

Leggiadra Eurilla mia tu nulla curi
I miei versi.....

E nella prima scena dello stesso atto uno dei personaggi della favola, volendo far intendere ad Eurilla chi fosse colui che era acceso di amore per lei. lo chiama,

II più bel pescator che adoperasse
Giammai la rete e l'amo
Il più vago, il più saggio, il più gentile
Il più caro alle Muse....

Può più dubitarsi che il Poeta Alceo o meglio il poeta Ongaro avesse sortito i natali in Nettuno?

La descrizione di alcune località di questo paese che si trovano fedelmente riprodotte nel poema è una maggiore conferma del nostro assunto. La dove p. es. si accenna al

.. ...biancheggiar la cima
Del monte che da Circe ha preso il nome.

Chi non vede un chiarissimo accenno al Promontorio di San Felice Circeo che scorgesi in lontananza dietro Astura?
Così in vari punti del poema e specialmente nell'atto I, uno dei personaggi dice ad Alceo:

.....tu potrai
A le pietre aspettarmi del giardino
Ove han tese le reti i miei compagni.

E' facile anche in questo passo di riconoscere il luogo denominato "giardinaccio", in prossimità della Villa Borghese, denominata Villa Bell'Aspetto.La stessa località è ricordala nell'atto II, quando il medesimo personaggio invita Eurilla a recarsi con lui.

E perché il tutto sappia, meco vieni
Ai sassi del giardino ove ei m'attende.
E lo stesso Alceo ricorda questo convegno colle parole:
....Egli mi disse
Ch'io t'aspettassi ai sassi del giardino.

Più chiaro anche è il ricordo dell'antico Porto d'Anzio, ossia del Porto Neroniano, ora quasi distrutto, quando il rivale di Alceo ivi si mette in agguato, per rapirle la fanciulla amata. Fra se: e sé egli mormora:

Di venire a pescare hai per usanza
Presso il porto che d'Anzio ancor s'appella.

Questo Porto viene poi meravigliosamente descritto da un altro dei personaggi del poema colle seguenti parole:

Là dove il lido rientrando forma
Un'arco e quasi un giro entro al cui grembo
Hanno lido ricovero e sicuri
Stanno dalle procelle i naviganti.
Sono, come sapete, alquanti scogli
Ch'entrano in mar facendo quasi torre
Agli estremi del porto.....

Nella III scena dell'atto IV viene anche ricordato lo scoglio d'Orlando. Esso si trova a circa sessanta metri dalle mura Castellane verso levante, in direzione dell'ultima torre medievale. Il poeta fa descrivere questo scoglio da uno dei personaggi, il quale narra di avervi incontrato Alceo in atto doloroso, mentre, per non essere corrisposto dalla sua Eurilla, sta per decidersi di lanciarsi nelle onde.

.....Distese in giro
Avea le reti al sol per asciugarle
Presso a l'antico scoglio che s'appella
Dal famoso guerrier, che forsennato
Per Angelica bella errò gran tempo.
E sopra un seggio o letto d'alga, steso
In parte ove il terren lo scoglio adombra
Stava sopra pensier, quando interrotto
Fui dal suon d'un sospir che parea un tuono;
Ersi l'orecchie allora e gli occhi alzai,
E non veduto vidi un pescatore,
Il qual conobbi Alceo, che al sasso in cima
Stava in atto doglioso e nel sembiante.

Più innanzi lo stesso personaggio, continuando il suo racconto, riferisce le parole di Alceo al momento che stava per gettarsi nelle onde, e nomina Astura, torre fortificata ed antichissima, posta in vicinanza del fiume dello stesso nome. Ecco le sue parole:

......Lo sappia Eurilla e se ne goda
Quasi di suo trionfo e i naviganti
Che verranno d'Astura od altro loco
Fuggan sapendo ciò quest'onde infami
Per la mia morte e così detto il nome
Chiama d'Eurilla mille volte e mille.
Alfin dicendo: Eurilla io vado, addio
Col capo in giù precipito nell'onde.

Mi sembra pertanto di poter ragionevolmente concludere che non poteva così chiaramente parlare di Nettuno e delle sue adiacenze, se non colui che vi era nato e che vi aveva fatta una lunga dimora.
Finalmente per ciò che riguarda la figura del nostro poeta rappresentata da quella del protagonista delle favola, leggiamo un altro passo importante nell'atto III scena V, nel quale un altro personaggio, per eccitare Eurilla a corrispondere all'amore di Alceo le dice:

..... Se ben miri Alceo
Non è di te men bello, lo vedrai
E di volto e di etate a te simile.
Come tu di voler difforme a lui:
Egli ha passato quattro lustri appena,
Se non m'inganno, e non gli ingombra ancora
Noiosa, piuma le leggiadre guance
Della spuma del mar assai più molli.

Questi versi confermano anche una volta che il poema fu scritto da Antonio Ongaro quando aveva appena raggiunto il suo ventesimo anno, quando cioè insieme al Tasso diciannovenne studiava all'Università di Padova.
Vorrebbero alcuni che il poeta, anziché nella figura di Alceo fosse rappresentato in quella di Timeta, uno dei principali personaggi della favola. E traggono argomento da ciò, che non da Alceo, ma da Timeta viene dedicato cogli ultimi versi ai fratelli Ruis il dolcissimo poema.

....Si celebri un trionfo Simile a quel che si vede dipinto
Nel palagio real dei due fratelli.
Splendore e gloria d'Andria e dell'Ibero.
Che dal lor lungo esigilo han richiamato
Le muse in ricco seggio al Tebro in riva
A cui consacro umil la cetra e i versi.

E' facile però rilevare che la dedica non viene fatta da Timeta in proprio. Per seguire l'andamento del poema non avrebbe potuto Alceo interrompere il suo idillio amoroso per volgere altrove il suo canto ed i suoi pensieri, esprimendosi con i seguenti versi ad Eurilla:

Andiamo anima mia ver le mie case
A dar doppia allegrezza ai miei parenti,
Che mi piangono per morto.

Lo stesso Timeta si astiene dal rallegrarsi con Alceo a cui dice:

Io vorrei teco rallegrarmi Alceo
De la tua contentezza, ma perch'io
Temo turbar parlando i tuoi diletti
A farlo a miglior tempo mi riserbo.

Per questa ragione, poiché l'autore inebbriato di felicità non doveva avere altro pensiero che quello della sua sposa, a lui si sostituisce il migliore de suoi amici, ed offre ai fratelli Ruis la dedica del sublime poema, come risulta da quanto si legge nei seguenti versi:

O Timeta o Timeta a te conviensi
Celebrar questo giorno fortunato
Di cui più chiaro non aperse il Sole
Vientene che io ti aspetto alle mie case
Ove festa farem per queste nozze.

Del resto tutto quanto si è di sopra ragionato chiaramente ed ineluttabilmente dimostra che tutto quello che si attribuisce ad Alceo ben si addice alla figura dell'Ongaro, il quale non avrebbe mai, egli poeta ed autore di un poema, consentito ad indossare le vesti di un personaggio secondario.
E con ciò faccio punto lusingandomi di aver dimostrato che Antonio Ongaro nacque in Nettuno e che in Nettuno, abilmente descritta fece vivere ed operare i personaggi del suo poema immortale.
Prima di chiudere la presente conferenza, nella quale ho commemorato un eccellente poeta Italiano, non vi sia discaro, che aggiunga un cenno di altri concittadini, i quali onorarono la nostra Nettuno, la patria nostra.
Ricordo anzitutto il padre della sacra eloquenza l'inarrivabile Paolo Segneri (12), che qui in Nettuno venne alla luce il 21 marzo dell'anno 1624.

Ricordo il valoroso pittore Andrea Sacchi (13), nato in questa stessa città nel novembre 1599 e le cui opere si ammirano nella Pinacoteca Vaticana, nella Galleria Doria ed altrove. Una iscrizione lapidaria ed un bellissimo quadro che si conserva nella Chiesa di S. Francesco appartenente al Comune di Nettuno, tengono desta la memoria di lui e ne continuano la fama. E quale atto di deferente ossequio a questi grandi, vollero i cittadini denominare dal Segneri una piazza, come dall'Ongaro e dal Sacelli vollero denominate due strade di Nettuno.
Potrei ancora rievocare la memoria, di altri cittadini, che maggiormente si distinsero per opere illustri; ma poiché meglio che io non possa fare, ha trattato di essi l'avv. Calcedonio Soffredini di Nettuno nella sua storia documentata edita nel Luglio 1879, (Tip. Della Pace - Roma); alla medesima io rimetto quei cortesi uditori che volessero apprendere più ampie e particolareggiate notizie, sia di quelli che si distinsero per le scienze, sia di quelli che per le lettere e per le belle arti si resero grandi. E la transazione del 1859, colla quale si rendevano alla nostra cittadinanza più di due mila ettari di terra, è il risultato dell'ingegno e dell'opera indefessa dei nostri giurisperiti.

Nella scienza e nelle discipline dell'arte salutare mi sia lecito ricordare con soddisfazione un Francesco Felici nato in Nettuno, il 31 agosto 1859, e morto ahi! troppo presto, a soli trentaquattro anni di età, il quale, specialista insigne per le malattie della gola, tramandò ai posteri ben venti opere di medicina. E tra i cultori delle arti belle devo ricordare a tutti un amico, il Cav. Salvatore Valeri (15), pittore, Direttore ed insegnante nell'Accademia Imperiale di Costantinopoli, molto ammirato e stimato da quanti sono ammiratori di cose leggiadre. E tuttora Nettuno vanta di possedere dei figli, che con grande zelo e non minor fortuna si dedicano alle scienze e alle belle arti.
Se io ho fatto un brevissimo accenno di quei cittadini che onorarono la nostra Nettuno, a ciò mi ha spinto, mio malgrado, l'amore che io nutro per il mio paese, e che mi auguro condiviso dal più grande al più umile di coloro, cui rallegra e riscalda il benefico sole di questo cielo incantevole.
Valgano le mie povere parole a risvegliare nei cuori dei miei concittadini un sentimento di gratitudine e di ammirazione per i grandi che onorarono la patria nostra. Siano i loro nomi sul labbro di tutti: e quelli stessi che da lungi o da presso vengono a deliziarsi in questo ameno soggiorno, non rimangano estranei al comune concerto di lodi, col quale debitamente si celebrano le virtù ed i meriti di coloro che non furono grandi per tesoro di ricchezze o per potenza di dominio, ma per vastità d'ingegno, per scienza, per arte e per tutte quelle doti, che formano il più bello ed imperituro serto di gloria. Ai splendidi esempi dei nostri padri s'inspirino nel pensiero e nell'azione i nostri figli non degeneri ed i nostri tardi nepoti, sicché in ogni tempo ed in ogni età si abbia a perpetuare la gloria della mia diletta Nettuno.

 

NOTE

1 - Archivio Storico Comune di Nettuno. RGN1/16

2 - Nel fondo lOOLibri per Nettuno, inv. n. 01, edizione princeps, stampata a Venezia daFrancesco Ziletti, l'anno 1582 e acquisita dal Comune di Nettuno il mese di aprile 2000.

3 - Archivio Storico Comune di Nettuno, RGN1/16

4 - I Colonna sono feudatari di Nettuno dal 1426, quando papa Martino V {Oddone Colonna) assegna il possedimento al nipote, cardinale Antonio Colonna, fino al 1501, quando papa Alessandro VI (Borgia) lo da al nipote Rodrigo Borgia. Alla morte di Alessandro VI, poi, nel 1504, Nettuno ritorna ancora ai Colonna. Nel 1535 nasce a Civita Lavinia (l'odierno Lanuvio) Marcantonio, figlio di Ascanio, che combatte sotto bandiera spagnola nel 1553-54. Nel 1570 è nominato capitano generale della flotta pontificia e arma dodici galee ad Ancona e a Venezia, unendosi alle squadre di Spagna e di Venezia. L'anno seguente, Marcantonio, nominato anche luogotenente del capitano generale della Lega cristiana don Giovanni d'Austria, contribuisce a formare l'armata navale per la lotta contro i Turchi, ed ha una parte di primo piano nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, ove combatte con molto valore e intelligenza. Nel 1577 diviene viceré di Filippo II di Spagna in Sicilia, carica nella quale si distingue e che tiene sino alla morte, avvenuta a Medinaceli, Vecchia Castiglia, nel 1584. Alla sua morte, per far fronte ai numerosi debiti contratti per la battaglia, la vedova Felicia Orsini vende il feudo di Nettuno alla Reverenda Camera Apostolica, sotto papa Clemente VIII Aldobrandini.

5 - I Borghese, di origine senese, sono feudatari di Nettuno dal 1831, quando Camillo compra il feudo dalla Reverenda Camera Apostolica, in quel momento bisognosa di danaro per sanare l'erario dello Stato Pontificio, sotto Gregorio XVI. Camillo lascia poi il feudo al fratello Francesco Borghese-Aldobrandini (Salviati per parte di madre), divenuto principe di Nettuno per breve di Gregorio XVI del 22 novembre 1833. Il 29 maggio 1839, Nettuno passa in eredità al figlio Marcantonio V (1814-1886) e da questi al figlio Paolo (1844-1920) e poi al di lui figlio Rodolfo (1880-1963). Dal matrimonio di Rodolfo con la cugina Genoveffa nasce Steno. Dopo la morte di Genoveffa. Rodolfo sposa, in seconde nozze Giulia Frascara, da cui nascerà Giovannangelo, l'attuale proprietario della Villa Borghese e di altri beni in Nettuno.

6 - Padre Francesco Lombardi, minore conventuale, canonico di Anzio.

7- F. Lombardi, Cenni storici di Anzio antico e moderno, Roma 1847, in lOOLibri per Nettuno, inv. n. 231.

8 - F. Lombardi. Anzio antico e: moderno, Roma 1805. in lOOLibri per Nettuno. inv. n. 064.

9 - Domenico Chiodo, nel suo volume "Antonio Ongaro-Girolamo Vida - Favole, ed. RES, Torino 1998, in fondo lOOLibri per Nettuno, inv. n. 003, pag. XI. ritiene che: "...l'Alceo fu composto per essere recitato nel palazzo dei Colonna a Nettuno nel 1581". In effetti la lettera dedicatoria di Antonio Ongaro ai fratelli Girolamo e Michele Ruis, suoi mecenati, anteposta al poema, è datata il 25 agosto 1581 e questo fa pensare che anche la recita sia dello stesso anno. Il 1582 è l'anno della prima edizione a stampa presso il tipografo Ziletti di Venezia.

10 - Rasi Giovan Battista, Sul porto e territorio di Anzio discorso istorico e documenti in sommario al discorso istorico, Pesaro 1832-33, in lOOLibri per Nettuno, inv. n. 188.

11 - C. Soffredini. Storia di Anzio, Satrico, Astura e Nettuno, Roma 1879. in 100Libri per Nettuno. inv. n. 316

12 - Paolo Segneri, sacerdote gesuita, oratore, teologo, apologista e letterato, consigliere ecclesiastico di papa Innocenzo XII. Nasce a Nettuno il 21 marzo 1624. Il 2 dicembre 1637 entra nella Compagnia di Gesù. Dal 1661 al 1692 va predicando il Quaresimale, da lui stesso scritto, in molte regioni italiane, dalla Liguria alla Toscana, dalla Lombardia all'Emilia. Oltre al Quaresimale, scrive una grande quantità di opere, predicazioni, orazioni, che sono state più volte ristampate. L'Opera Omnia di Paolo Segneri viene pubblicata a Parma nel 1701 dall'editore e tipografo Paolo Monti, in società con Alberto Pazzoni. Questa edizione "princeps" contiene in apertura il "Breve ragguaglio della vita del venerabil Padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù", scritto dal confratello Padre Giuseppe Massei, che dice: "...la famiglia Segneri è stata sempre la più considerata, per la nobiltà, per le ricchezze, per lo splendore del trattamento, per le cariche illustri e per le onorevoli parentele... Padre del nostro Paolo fu Francesco Segneri, gentiluomo molto stimato....e gli diedero per consorte la signora Vittoria Bianchi, romana, figliuola unica di Stefano Bianchi.." Muore a Roma il 9 dicembre 1694, nella casa dei Padri Gesuiti a S.Andrea al Quirinale. Nel 1903 il Comune di Nettuno gli dedica un busto in bronzo, opera dello scultore Raffaele Zaccagnini, nel 2004 collocato dinanzi la sua casa natale, in piazza Segneri-Soffredini. Nel 1924, ricorrendo il terzo centenario della nascita, il musicista conterraneo Angelo Castellani gli dedica un "Inno al P. Paolo Segneri" (parole di Luigi Zambardelli). Una statua di Giovanni Gianese gli è stata eretta in piazza San Giovanni nel 1975. Nel 2004, il Comune di Nettuno lo ha ricordato nel 380° anniversario della nascita, con una propria pubblicazione.

13 - Andrea Sacchi è pittore e architetto, iniziatore e massimo esponente della pittura classica a Roma nella prima metà del secolo XVII. La tradizione lo vuole nato a Nettuno, da un pittore di modeste qualità, Benedetto Sacchi. La data della sua nascita è fissata al 30 novembre 1599. Secondo Giuseppe Brovelli Soffredini (vedi Neptunia, pagina 124 e ss.), il padre sarebbe Giacomo. Il 29 ottobre del 1608 -scrive Brovelli Soffredini- Giacomo Sacchi, padre di Andrea, con istromento del Notaio Ferdinando De Battisti nominava un tal Domenico Banconi esecutore testamentario e lasciava un censo annuo di scudi sette a favore del Convento e Chiesa di San Francesco in Nettuno, ove il detto Giacomo aveva una cappella gentilizia nella quale i religiosi, ogni anno, dovevano celebrare una messa secondo la volontà del testatore. Il legato è descritto in una lapide posta nella parte destra della Chiesa suddetta e, per primo, figura scritto il nome di <Giacomo Sacchi di Nettuno>". Le sue opere principali sono il "Miracolo dì San Giorgio" (cappella Clementina di San Pietro in Vaticano), il "Miracolo di San Gregorio (Roma, Museo Petriano); il "Transito di S.Anna" (Roma, S. Carlo ai Catinari), il "Miracolo di S. Antonio (Roma, Chiesa dei Cappuccini), la "Allegoria della divina sapienza" (Roma, palazzo Barberini). il "Noè ebbro" (Berlino, Kaiser-Friedrich Museum). E poi affreschi in Palazzo Sacchetti di Castel Fusano, il "Caino e Abele" (Roma, Galleria Barberini), la "Purificazione della Vergine" (Perugia, Pinacoteca), un gruppo di tele per il Battistero Laterano, il quadro dell'altare maggiore della Chiesa di San Francesco in Nettuno, raffigurante la "Vergine di Loreto e San Bartolomeo". la "Visione di San Romualdo" (Pinacoteca Vaticana). Una pala del Sacelli con una "Madonna di Loreto con Bambino" sovrasta l'altare di San Francesco a Nettuno. In architettura conosciamo un progetto di ristrutturazione del Convento della Minerva a Roma, il Battistero di Costantino in Laterano. Andrea Sacchi muore a Roma il 21 giugno 1661. Il suo allievo Pier Paolo Naldini gli dedica il monumento funebre in S. Giovanni in Laterano. Ricorrendo i 400 anni della nascita, il Comune di Nettuno gli ha dedicato una straordinaria mostra delle sue opere più celebri, esposta nel Forte Sangallo dal 20 novembre 1999 al 16 gennaio 2000.

14 - Salvatore Valeri, pittore (Nettuno 25 dicembre 1856 - 30 dicembre 1946). Non sono molte le notizie che si hanno di lui. Alla sua morte, avvenuta il 30 dicembre 1946 a Nettuno. così scriveva il giornalista Roberto Ottolini su un quotidiano di cui al momento non conosciamo la testata, né la data, avendo ritrovato solo un ritaglio lasciato dagli eredi di Angusto Rondoni al fondo 100Libri per Nettuno, inv. n. 489:
"GRANDI NETTUNESI CHE SCOMPAIONO. IN MEMORIA DI SALVATORE VALERI. Se ne è voluto andare in silenzio quasi timoroso che la sua veneranda canizie avesse potuto portare disturbo a qualcuno, potentemente spinto a progredire da una risultante di forze ulteriori che in analisi può scomporsi come segue: volontà ferrea, fede appassionata, genialità e lavoro. Il Valeri non indugiò: seguì la sua prepotente vocazione e come tutti gli artisti nati affrontò senz'altro una vita di peregrinazione nel mando. Peregrinò di città in città, come sospinto da una forza arcana, sempre alla ricerca di qualcosa che era come il suo sogno, il sogno che egli inseguiva con la certezza che un giorno sarebbe divenuto realtà. Lavorò e visse; studiò sempre e sempre più progredì. Ora dipinse e vendette i suoi quadri, ora diede lezioni di disegno o di pittura. Duro è ogni principio....ed anche, egli non poco tribolò per la lotta per l'esistenza estenuandosi in un lavoro incessante e poco rimunerativo. Ma eccolo raggiungere un giorno il lembo di terra sognato. Costantinopoli, fu per il Valeri la città fatata, la città ove si senti forte ed ispirato, ove si senti artista provetto, capace di immaginare e di alfine creare..... Dopo un'esposizione artistica, promossa da lord Duffery, esposizione che lo rivelò maestro, ebbe nel 1893 da S.M. il Sultano, l'incarico di insegnare il disegno e la pittura ai suoi tre figli. Di qui ebbe inizio la meritata fortuna del nostro grande concittadino. Burhan-Eddin effendi, Abdul-Kadir effendi e Ahmed effendi furono allievi di Salvatore Valeri e fu da essi amato e venerato al punto che spesse volte -caso unico- i figli del Sultano lo andavano a prendere in carrozza per condurlo seco loro a passeggio. Sotto la guida accorta ed intelligente del nostro concittadino i tre allievi imperiali progredirono in modo sorprendente nel disegno e nella pittura, si che S.M. il Sultano, in segno dell'alta sua soddisfazione elevò Salvatore Valeri al grado di Bey, concedendogli negli atti ufficiali il titolo di Eccellenza,, annoverandolo fra gli alti funzionari della Sua Casa imperiale. In seguito il Valeri fu incaricato da S.M. imperiale di fondare una Scuola di belle arti -l'unica di Costantinopoli - che cominciò a funzionare nel 1892 e dove il nostro concittadino insegnò per vari anni. Numerosi sono stati i suoi allievi e, ci si informa, sono sparsi in tutta Europa; molti di essi godrebbero di invidiabili posizioni. Il Valeri ebbe la sua prima decorazione dal Governo italiano, che lo insignì fin dalla sua giovinezza della croce di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Il Sultano lo nominò Ufficiale e poi Commendatore degli ordini imperiali del Medydiè e dell'Osmaniè. Ebbe la medaglia d'argento dell'Imtiaz e quella delle arti e scienze; la Gran Medaglia dei servigi resi allo Stato e quella d'oro al merito civile e militare ed altre onorificenze che ci sfuggono. I suoi lavori di pittura sono numerosi e sparsi un po' in tutta Europa. Eseguì i ritratti di numerosi grandi personaggi, di principi e principesse di sangue reale. Ricordiamo fra l'altro il ritratto dell'Imperatore Guglielmo II di Germania, tela di grandi dimensioni che fino allo scoppio della guerra 1915-18 trovavasi a Palma-Bagcè - palazzo del Sultano- palazzo di marmo candido lavorato finemente a ricamo e con le porte d'oro. I suoi più ragguardevoli lavori, a giudizio de'più competenti ed intelligenti, sarebbero: <Partenza per la guerra>, <Trasporto di un ferito>, <Arrivo di una carovana in un villaggio>, <Una truppa di zingari in viaggio>, <Un vecchio condottiero di cammelli>, <LA sera alle acque dolci>, <La buona ventura>, <Un cavaliere >, <Ritratto a cavallo di S.M. l'imperatore di Germania>, <Mater dolorosa> e molti altri lavori di notevole entità ed importanza artistica. Salvatore Valeri fu uno spirito libero e come tale intese l'arte nella sua sconfinata libertà: dipinse secondo il suo ingegno quasi noncurante della scuola e del metodo..., ma in tutti i suoi dipinti, ci viene assicurato, si vede il pittore geniale che possiede tutta la finezza psicologica del vero artista. Dorme ora, il grande maestro, dolce e pensoso. Sotto la pietra bianca, nel cimitero di S. Maria del Quarto fra il mare, la chiostra dei Lepini e la fiorente, campagna nettunese".

 



OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
"100 LIBRI PER NETTUNO" Edizione del Gonfalone 2004
AUTORIZZAZIONE PER LA PUBBLICAZIONE
CONCESSA DAL COMUNE DI NETTUNO

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta e trasmessa in qualsiasi forma
o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta
dei proprietari dei diritti.