LAMBERTO CIAVATTA non ama il venticello della morbidezza critica che accarezza e non scuote. Egli vive sulle alture libero e interamente suo, capace lassù di fare scelte risolutive e rappresentare per es. un nembo di sputi raschiato dal petto dell'umanità che, raggiunto il vertice e nell'atto di cadere, si muta in nimbo di gioielli come nell'affresco di Signorelli nel Duomo di Orvieto.
Ha dentro il petto angoli acuti d'una luce casta e dura. Sente il popoloso silenzio che viene dall'Orto degli ulivi e il rumore che fanno le pietre simili a crani rotolando dal Golgota sulla sua tela. I grovigli di panico che scoppiano improvvisi sui nostri occhi li ingrana in scatti cromatici. La struttura che da un lungo viaggio arriva a lui disintegrata, la reintegra dalla sua interiorità. La figura che si ferma sulla soglia all'avanguardia del tempo, ha la bocca ostruita ed egli l'accarezza con le dita intrise nel dolore. Se nelle sue pitture scioglie a ondate i bizzarri cavalli dell'ira, poi si mette quieto a discorrere con due parenti amati, Cristo e il materico.
La sua estetica è un cielo capovolto percorso da nere ondate sulle quali galleggiano ali bianche macchiate delle nostre ferite.
Lodiamo questo uomo mite e schivo di vanità e questo pittore autocontrollato valicatore di limiti nel pensiero e nell'arte. |