L'ultima amarezza
Il ricordo di Giovanni Cappella
Conobbi personalmente Lamberto Ciavatta intorno al 1960, ma già lo conoscevo perché di lui mi parlavano spesso la sorella Igina e suo marito Michele Legittimo. Essendo io il loro medico si intrattenevano volentieri con me a parlare di questo "fenomeno", dei suoi successi, dei suoi progressi, delle sue mostre.
Non nascondo che in me c'era un pizzico di incredulità nei confronti di tanto genio: pensavo che nelle descrizioni entusiastiche di Igina e Michele vi fosse una buona dose di esagerazione, dovuta al grande affetto che li rendeva giustamente orgogliosi, ma che, io supponevo, li portava anche ad ingigantire il valore di sì già illustre parente.
Dovetti ricredermi allorché ebbi il piacere di incontrare e conoscere personalmente Lamberto Ciavatta. Avevo conosciuto il padre "sor Nunzio". In occasione dello sfollamento di Nettuno, nel 1944, aveva procurato alla mia famiglia una piccola abitazione in località Ferriere. Lamberto ne era una giovanile fotocopia: alto, asciutto, con un viso ravvivato da due occhi vivaci, luminosi, intelligenti, un sorriso appena accennato, che mascherava alla perfezione l'intimo travaglio di un'esistenza alla continua ricerca di una serenità, non so se mai raggiunta. Lamberto ha riversato nelle sue opere questa drammatica rincorsa verso qualcosa che appagasse il suo desiderio di pace.
Aveva avuto dei sani principi morali e un ottimo insegnamento cristiano, vuoi dai genitori, vuoi dai Padri Misericordisti, allorché a Velletri frequentò le scuole tecniche presso un Convitto tenuto da quei religiosi. Forse proprio in quel periodo fu gettato nell'animo di Ciavatta il seme che a distanza di anni, germogliando, avrebbe portato nelle sue opere la speranza dell'avvento di una società rinnovata, speranza che si nutre delle parole di Cristo ed illumina a sprazzi quel mondo grigio che fa da sfondo ad alcune opere dell'artista nettunese.
Nel novembre 1966 andai a trovarlo nel suo studio romano, in una strada nei pressi di San Giovanni. Mi accolse con la sua consueta signorilità. Neppure quando creava le sue opere rinunciava alla sua abituale eleganza, apprezzabile nello svolazzare del camice da lavoro. Ebbi l'opportunità di scegliere e acquistare due suoi quadri: un materico (Cristo degli astronauti, cm. 50 x 70, marzo 1968) e un graffito (Ansie ed aspettazioni dell 'umanità, cm. 60 x 70, marzo 1968). Non avevo idea di quale fosse all'epoca la quotazione di mercato di quelle opere, ma so soltanto che dopo circa un anno, se gli avessi restituito il graffito, Lamberto me lo avrebbe valutato il doppio di quanto mi era costato. Ovviamente non accettai la proposta.
Nel marzo 1969, in occasione di una serata di beneficenza per la Croce Rossa, da me organizzata all'Albergo Astura di Nettuno, invitai il Ciavatta quale ospite d'onore. L'invito non era disinteressato:
gli chiesi una sua opera da mettere in premio in una lotteria. Accettò con entusiasmo la mia richiesta e offrì un meraviglioso quadro, che fece lievitare le offerte degli aspiranti vincitori. Durante la cena, seduto al mio tavolo, sul cartoncino del menù, in pochi minuti disegnò con la tecnica del tratto continuo un Arlecchino, che offrì con dedica a mia moglie e che io conservo quale prezioso ricordo. Lo rividi in occasione della inaugurazione di una sua "personale" in via di Ripetta, alla quale mi aveva invitato
L'ultima volta che ho incontrato Lamberto è stato a Villa Malta, sede di Civiltà Cattolica, allorchè fu inaugurata la mostra permanente delle sue opere. Aveva invitato molti amici di Nettuno: forse nell'inconscio li voleva testimoni di quell'avvenimento. Era raggiante come non mai: molte sue opere finamente trovavano una degna definitiva dimora nelle sale di Villa Malta
Ben mascherava il suo volto sorridente e felice quell'intimo turbamento e l'amarezza che gli venivano dal non aver trovato nella sua Nettuno, che tanto amava, la possibilità di collocare quelle opere a suo perenne ricordo.
Nemo profeta in patria
Era orgoglioso di essere nettunese: spesso firmava le sue tele "Lamberto Ciavatta da Nettuno ". Ma Nettuno non lo aveva apprezzato. Della sua amarezza per tanta incomprensione seppi dalle sorelle. Oggi che. per merito dell'Amministrazione Comunale e per la disponibilità dei Padri Gesuiti, i suoi quadri tornano, sia pure per un breve periodo nella sua Nettuno, Lamberto, da quell'angolo di Paradiso dove certamente starà ritraendo non più le "ansie ed aspettative" di una umanità sofferente, ma le beatitudini del Popolo di Dio, aggiungerà un pizzico di gioia terrena a quella divina ed eterna, che certamente Iddio gli ha concesso
Un profondo sentimento religioso e di fratellanza
Il ricordo di Mario Di Cara
Il mio primo incontro con Lamberto avvenne tra il 1944 e il 1945 nella romana Via Margutta e divenimmo presto buoni amici per il comune amore per l'arte figurativa, intesa come linguaggio visivo i medium di comunicazione emotiva.
Ravvisai subito in Ciavatta l'impegno morale del suo lavoro d'artista. Come uomo era munito di un profondo sentimento religioso e di fratellanza e questo è stato il tema di fondo di moltissime sue opere prive tuttavia di presunzione retorica, ma un senso di timor panico trasuda (lo vediamo ancora oggi dalle sue tele per l'avvilente sorte esistenziale che sarebbe toccata, secondo lui, all'uomo qualunque dopo le rovine, i disastri, i massacri, le crisi materiali e spirituali provocati dalla seconda guerra mondiale.
Lo vedo ancora nel suo studio, nei pressi di San Giovanni, impegnato in opere a sfondo sociale dove sono stati creati autentici capolavori dall'apparenza religiosa, come "La Madonna dei poveri", i bellissimi bozzetti per "L'ingresso di Cristo a Gerusalemme" e tanti altri degni di nota, come gli espressivi sensuali ritratti muliebri. Ciavatta amava anche dipingere all' aperto "en plen air" e lo si incontrava spesso nelle vie della città a riprendere di getto scorci e vedute panoramiche sotto l'effetto vibratorio de raggi solari.
Le sue opere pittoriche sono state sempre impostate ad un vigoroso costrutto grafo-pittorico che, benchè autonomo e personale, non lasciano dubbi sul sottofondo dei contenuti espressivi.
E' difficile applicare un'etichetta stilistica alla sua pittura, certamente Egli ha guardato i macchiaioli toscani, ma anche Scipione e Mafai e altri artisti che nel secondo dopoguerra cercarono di ricollocare l'arte italiana in linea con la cultura europea. In definitiva Egli è rimasto fedele ai suoi credi, ai suo ideali, che trovavano rispondenza nei richiami del proprio Io interiore.
Ciavatta è stato artista e valido moralista del suo tempo. Lui stesso ebbe a dire: ". . . sento il mio tempo/nel tragico pianto/e nel sorriso/dolce della speme".
L'impegno morale che si ravvisa in tutta l'opera del Maestro ha in definitiva il significato concettuale di portare ad una vera dimensione di fraterna umanità la civile convivenza.
Infine vale la pena di ricordare, tanto per mettere in evidenza i Suoi molteplici interessi culturali, che nel 1958 fondammo insieme la rivista ". . .Due punti:" con sede in via Margutta, che per molto tempo fu l'organo portavoce critico-obiettivo delle manifestazioni artistiche più significative della Capitale.
Nonostante le mie lunghe permanenze tra gli anni sessanta e settanta, prima in Libia e poi in Sardegna. per ragioni professionali, la nostra amicizia è rimasta ben salda fino alla triste scomparsa dell'Amico e collega in arte, avvenuta dolorosamente nel 1981. |