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Lamberto CIAVATTA

NETTUNO, FORTE SANGALLO
4 - 30 MAGGIO 2003

a cura di
BENEDETTO LA PADULA

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Profilo artistico


LAMBERTO CIAVATTA A VILLA MALTA
P. Virgilio Fantuzzi

Chi entra per la prima volta in contatto con l'insieme della produzione artistica di Ciavatta resta impressionato dalla quantità di opere, dalle grandi dimensioni dei dipinti e dalla varietà del loro stile. Tutto ciò fa pensare ad una attività febbrile, condotta sotto lo stimolo di una costante inquietudine. Tale attività è resa possibile da due condizioni di apparente contrasto tra di loro. Da una parte c'è la facilità con la quale Ciavatta si esprime coi pennelli (che è all'origine dell'impetuoso gettito della sua produzione). Dall'altra una perenne insoddisfazione, da parte dell'artista, nei confronti di quello che fa (che è all'origine dei suoi continui cambiamenti di posizione e della ricerca di soluzioni sempre nuove).
Ma queste condizioni non rendono conto né dei motivi profondi che spingono Ciavatta a dipingere, né delle ragioni per le quali, pur avendo conseguito lusinghiere affermazioni in gioventù, ha successivamente abbandonato l'attività artistica, per riprenderla, in età matura, rispondendo a un appello che egli stesso non sa dire da dove venisse. Vicende pubbliche e personali, belliche e familiari, hanno trattenuto per vent'anni Ciavatta lontano dalla pittura. Altre vicende, collegate tra loro da un filo misterioso, lo hanno indotto a riprendere in mano i pennelli quando pensava di avervi definitivamente rinunciato...
L'origine della nuova pittura di Ciavatta data dal 1953. Il termine di seconda nascita, nel senso religioso, e più specificatamente giovanneo, le può essere attribuito con proprietà, anche per un susseguirsi di avvenimenti riguardanti la vita spirituale dell'artista che la precedettero e, in qualche modo, la determinarono. Si capisce come, svegliandosi da un lungo sonno egli abbia avvertito la necessità di assimilare esperienze artistiche diverse, quasi per recuperare il tempo che aveva trascorso dedicandosi ad altre occupazioni. Dagli anni della sua formazione accademica molta acqua era passata sotto i ponti, soprattutto per quanto riguarda l'evoluzione delle arti visive. Il quarantacinquenne pittore, fattosi di nuovo apprendista, incominciò col ripercorrere, alla sua maniera, le stagioni dell'impressionaismo e dell'espressionismo, prima di lanciarsi, sull'onda dei tempi nuovi, nell' avventura della pittura informale, materica e gestuale.. .Il costante ritorno alla figura scandisce, come un refrain, questi molteplici spostamenti. La figura, a dire il vero, non è mai del tutto assente dai suoi quadri, anche nei momenti in cui sembra essere bandita.
In questa molteplicità di esperienze, voracemente assimilate e rapidamente superate, c'è il rischio di veder franturmarsi la personalità di un artista che, per eccesso di versatilità, finisce col sembrare dispersivo. Ma una costatazione si impone a chi osserva con attenzione l'evolversi della pittura di Ciavatta. Non si può infatti non rilevare la presenza di un elemento stabile e unificante, al di là del moltiplicarsi fenomenico delle apparenze. Frammentario in superficie, il discorso che Ciavatta ha sviluppato in decenni di attività, trova la sua compattezza originaria nel movente dal quale procede. Si tratta di un imperativo morale che sovrasta, per così dire, a ogni suo colpo di pennello, un atteggiamento interiore che si manifesta all'esterno, ipedendogli qualsiasi gesto gratuito, e si traduce, nell'opera eseguita, in uno stretto rapporto tra il segno e il suo significato.
L' adozione, da parte di Ciavatta, delle tecniche dissolvitrici del legame tra le forme artistiche e la loro tradizionale funzione di riprodurre l'aspetto visivo della realtà, si svolge all'insegna di un'esigenza, che rimane sostanzialmente estranea ai postulati estetici dai quali quelle tecniche erano scaturite. Ciavatta si avvicina all'arte informale, materica e gestuale, senza perdere il contatto con la sua matrice di origine. Così facendo, egli arricchisce la gamma delle proprie esperienze, e, allo stesso tempo, filtra le moderne tecniche pittoriche depurandole dal presupposto di una assoluta autonomia dell'opera d'arte nei confronti del dato riconoscibile della visione.
Ciò che vi è di contraddittorio nell'evoluzione delle moderne espressioni delle arti visive, trova nell'elaborazione proposta da Ciavatta la via per una ricomposizione organica dei più disparati elementi. Permangono antinomie e conflitti all'interno del tortuoso itinerario percorso dall'artista, eco degli interrogativi irrisolti che pervadono l'epoca nella quale egli si è trovato ad operare. Tali antinomie e conflitti convergono, all'interno della sua singolare esperienza, in un punto nel quale l'attività artistica si fonde con l'aspirazione religiosa, come se la risposta agli interrogativi, che non hanno soluzione nell'incalzare concitato degli eventi storici, dovesse venire da un'altra sfera, quella del soprannaturale. Si veda come i soggetti religiosi, e in particolare il mistero del Golgota, ritornano con frequenza, affrontati con tecniche diverse, sotto l'incalzante turbinio del suo pennello....
La risposta agli interrogativi della storia non va ricercata, secondo quanto Ciavatta fermamente ritiene, nelle pieghe della storia medesima razionalisticamente interpretata. Egli diffida di ogni sistematizzazione ideologica e guarda con distacco perfino al progresso scientifico, che non sempre corrisponde alle esigenze più autentiche dell'umanità. L'approccio dell'artista con la realtà si sviluppa in una direzione diversa. Pur non considerandosi avulso da nessuno dei problemi che si addensano sull'ora presente, egli pensa che la loro soluzione non debba essere conseguita mediante uno sforzo che parte dal basso, ma piuttosto ricevuta come un dono che discende dall'alto e si manifesta, o si cela, nel mistero dell'incarnazione e della morte del Figlio di Dio.
Abbiamo già parlato dell'insistenza con la quale la morte di Cristo viene riproposta nei quadri di Ciavatta. Il Crocifisso è segno di contraddizione per chi non crede, e sorgente di speranza per chi è abbastanza umile da non riporre esclusivamente la propria fiducia nelle conquiste della mente umana. li uomo dei dolori, che pende dal legno, assomma in sé le ansie, gli anditi, i sospiri, e le lacrime di tutti coloro che gemono sotto il peso di una condizione nella quale la morsa del dolore non spinge alla disperazione, ma alimenta l'attesa del riscatto...
Ci è sembrato di capire che dietro l'uomo che dipinge c'è un uomo che ascolta. Egli recepisce echi che arrivano da lontano, li confronta con le situazioni nelle quali è più direttamente coinvolto, e trae da tale confronto il motivo per un intervento che si concretizza nel singolo elaborato della sua arte o in una serie di opere. Gli artisti sono i testimoni della libertà, ed esercitano questo loro insostituibile ruolo nell'ambito del linguaggio. La pittura non è che uno dei tanti sistemi di segni escogitati dall'uomo per comunicare.
L'attività dell'artista, come quella del poeta, libera i termini del linguaggio dalle incrostazioni che vi si sono sovrapposte in seguito all'uso corrente che ne è stato fatto, e li restituisce alla loro purezza originaria. La funzione connotativa che i termini del discorso assumono nei linguaggi artistici allarga il cerchio dei rapporti tra significante e significato, in modo da consentire una lettura aperta del messaggio, che lo rende suscettibile di ulteriori e sempre nuovi arricchimenti. . ." (g.c.)

Lamberto Ciavatta
di Rosanna Barbiellini Amidei - Claudia Tempesta"

Leonida Rèpaci così presentava nel 1974 l'opera di Lamberto Ciavatta: "I primi lavori di un'abilità disegnativa e di un ottimo gusto descrittivo non avrebbero lasciato supporre l'esplosione di una personalità erculea, una tale energia espressiva"
Un medesimo stupore abbiamo provato nel prendere in esame il corpus delle opere donato dall' artista ai padri gesuiti di Villa Malta. Dall'unica opera giovanile, assimilabile al realismo degli epigoni della scuola romana, ma già iper-realista, e dalle opere di stile "marguttiano", inteso nel senso di endogeno alle esperienze del linguaggio di via Margutta, alla fine degli anni Cinquanta si assiste nella produzione dell'artista a una frattura netta dovuta all' incontro con l'opera di Pollock, certo detenninante, come rivelano gli stessi titoli dei dipinti, che vicino al titolo riportano come una dedica: "omaggio a Pollock". Del dripping, più del processo di action painting, Ciavatta sembra interessarsi ai risultati materici: la presenza dell'immagine permane sotto le trame spaziali costruite dal colore. Da Pollock a Fautrier, l'artista arriva all'informale, ma sempre con l'intento malcelato di giustificare una nuova figurazione, anche se quasi invisibile. Nella ricerca di questa esperienza, in sintonia con altri artisti italiani, come Giannetto Fieschi e Sergio Vacchi, Ciavatta si allontana dall'erotismo dei surrealisti o dall'elemento ludico che c'è in Baj o in Dubuffet, ma contro-tendenza sviluppa il senso del mistico come esperienza esistenziale; l'artista affronta il problema dell'arte sacra tenendo anche presente le difficoltà di collocare nelle chiese opere d'arte moderne. Un'arte sacra non narrativa, anche se basata sull'insegnamento dogmatico e vissuto nella liturgia.
A questo punto la lezione di un padre spirituale gesuita ha forse fornito l'elemento dogmatico per la comunicazione espressiva. C'è contraddizione tra la poetica informale e la tensione religiosa, ma il trittico della Crocefissione formula una proposta moderna per l'arte sacra, un'eco del mutamento dei rapporti tra chiesa e artisti, auspicato da Paolo VI.
Il "coke materico", come Ciavatta definisce la materia pittorica del trittico, evoca un'ombra sacrificale di grande suggestione spirituale. L'immagine è concepita per una visione da lontano e raggiunge quella maestà che da anni veniva ricercata in diversi modi dagli artisti che si cimentavano nell'arte sacra. L'aggregazione e la disintegrazione del "coke" rimanda alla materia della ceramica di Leoncillo, il Cristo sembra una scultura sospesa nella nube nera di un'abside affumicata, scampata a un incendio, è ciò che resta di una combustione. Ma la figura ha vinto e nel Cristo sembra tornare quel labirinto di segni che facevano del ritratto di "Limone" un' opera inquietante e iperrealista. L'immagine-icona è stata lasciata ai gesuiti, un ordine che non ha conosciuto l'iconoclastia.





OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
"100 LIBRI PER NETTUNO" Edizione del Gonfalone 2003
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