Dalla lettera a Giuseppe (Pepi) Treves
21 giugno 1903
''Anch'io ho preso un appartamento
nell'immensa Villa Borghese a Nettuno.
E farò l'esperimento della pace.
Desidero d'essere già là il primo di luglio, pronto al lavoro.
Come Ulisse, molte cose conobbi e patii e godetti;
e, in verità, nulla è paragonabile all'ebbrezza del lavoro.
Il resto è fango o fumo. Prego la Natura che mi dia
la stessa felice abbondanza mentale onde mi rallegrò
nell'estate scorsa. Oggi è il solstizio!
Tira un gran vento, che passa attraverso i nervi
come attraverso un canneto gemebondo."
Dalla lettera a Giuseppe (Pepi) Treves
5 luglio 1903
"Ho veduto Cicciuzza con grande commozione.
E un pò sciupata; ma la gioia di rivedermi la illumina,
e i suoi belli occhi sembrano più vasti.
Spero di poterla condurre con me al mare,
e di udire la sua voce melodiosa
tra i lecci della vecchia villa...
Io anelo alla pace e al lavoro.
Sono più <incinto> della mia levriera Crissa
che fra due settimane partorirà
una mezza dozzina di cuccioletti"
Dalla lettera a Giovanni Pascoli
16 luglio 1903
"... sono qui, dinanzi al Mare neroniano,
in vista del promontorio Circeo; e ricomincio a lavorare.
Oggi è per me giorno di grande purità;
ho qui su la tavola la buona carta su cui sto per scrivere
i primi versi d'una tragedia pastorale"
Dalla lettera a Francesco Paolo Michetti
31 agosto 1903
"Caro Ciccillo, queste settimane d'estate resteranno memorabili per me.
Non avevo mai lavorato con tanta violenza
e non avevo mai sentito il mio spirito in comunione così forte con la terra.
Quest'opera viveva dentro di me
da anni, oscura. Non ti ricordi?
La tua Figlia di Iorio fece la sua prima apparizione
or è più di vent'anni col capo sotto un dramma di nubi.
Poi d'improvviso, si mostrò compiuta e possente
nella gran tela, con una perfezione definitiva
che ha qualche analogia con la cristallizzazione
dei minerali nel ventre delle montagne"
Dalla lettera a Benigno Palmerio
3 settembre 1903
"Caro Benigno. Confesso che non ho aperto le tue lettere,
sapendole piene di seccature.
Sabato scorso, al tramonto terminai la Figlia di Iorio
che mi sembra la più alta opera da me composta fin qui, profonda e semplice.
Ho sentito, scrìvendola, le mie radici nella terra natale.
Ora ho ripreso il lavoro per condurre a termine
le poche cose che mancano al volume delle Laudi;
poi subito metterò mano a una commedia.
Così avrò provveduto all'inverno,
cantando come la cicala ingiustamente accusata dalla formica". |