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LA FIGLIA DI IORIO

Tragedia pastorale
di Gabriele D'Annunzio

a cura di
BENEDETTO LA PADULA

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I dialoghi


VOCE NARRANTE

Alla terra d'Abruzzi
Alla mia madre alle mie sorelle
Al mio fratello esule al mio padre sepolto
A tutti i miei morti a tutta la mia gente
Fra la montagna e il mare
Questo canto
Dell'antico sangue
Consacro

 

VOCE NARRANTE

In casa di Aligi è in corso la festa di sposalizio
(dall'atto primo, scena seconda)

 

ALIGI

Laudato Gesù e Maria!
E voi, madre che mi déste
questa carne battezzata,
benedetta siate, madre.
Benedette voi, sorelle,
fiore del sangue mio.
Per voi, per me, la croce mi faccio
in mezzo al viso dove non passi
il falso nemico né morto né vivo,
né fuoco né fiamma,
né veleno né fattura;
né malo sudore lo bagni né pianto.

Padre, Figliuolo e Spirito Santo!

Io mi colcai e Cristo mi sognai.
Cristo mi disse: "Non aver paura",
San Giovanni mi disse: "Sta sicuro.
Senza candela tu non morirai".

Disse: "Non morirai di mala morte".

E voi data m'avete la mia sorte,
madre; la sposa voi l'avete scelta
pel vostro figlio nella vostra casa.
Madre, voi me l'avete accompagnata
perché dorma con me sopra il guanciale,
perché mangi con me nella scodella.

Io pascevo la mandra alla montagna,
alla montagna debbo ritornare.

Alla montagna debbo ritornare. Madre,
dov'è la mazza del pastore,
che giorno e notte sa le vie dell'erba?
Io l'abbia, quando viene il parentado,
che la veda com'io la lavorai.

 

VOCE NARRANTE

Inseguita dai mietitori irrompe in casa Mila, che si rifugia presso il focolare, tra lo sgomento delle donne. All'esterno della casa, un mietitore l'accusa di essere una strega e una puttana.
(Dall'atto primo, scena quinta)

 

MILA DI CODRA

No, no, non è vero. Menzogna!
Menzogna! Non gli credete,
non gli credete a quel cane.
" il maledetto suo vino
che gli fa regurgito in bocca.
Se Dio l'ha udito, in sangue
nero glielo converta e l'affoghi!
No, non è vero. E' menzogna.

Madre cristiana, la terra
io bacerò sotto il tuo passo.
E perdóno ti chiedo, perdóno,
con l'anima mia nella palma
della mia mano, per questa
pena che ti reco io sciagurata!
Ma non io la tua casa cercai.

Cieca, cieca io era di spavento.
Su la via dello scampo condotta
fui dal Signore che vede,
perché presso il tuo focolare
io perseguitata trovassi
la pietà che santifica il giorno.
Abbi pietà, madre cristiana,
abbi pietà; e per ogni granello
del frumento che è in quelle canestre
Dio te ne renderà più di mille.
Madre di Ornella, madre d'amore,
Dio tutto perdona, e non questo.
Se mi calpesti, Dio ti perdona.
Se mi strappi gli occhi e la lingua,
se le mani mi tagli, che credi
malvage, Dio ti perdona.
Se mi soffochi, Dio ti perdona.
Se mi stronchi, e Dio ti perdona.

Ma se ora (ascolta, ascolta
la campana che suona per Santo
Giovanni) se ora tu prendi
questa povera carne di doglia
che fu battezzata in Gesù,
la prendi e la getti su l'aia,
sotto gli occhi delle tue figlie
immacolate, la prendi
e la getti su l'aia allo strazio,
alla mala brama degli uomini
la dai, all'immondizia e alla rabbia,
o madre di Ornella, madre
d'innocenza, se tu questo fai,
se fai questo, Dio ti condanna.

 

VOCE NARRANTE

Ma Aligi difende Mila e mette sulla porta di casa una croce di cera, di fronte alla quale i mietitori indietreggiano.
(dall'atto primo, scena quinta)

 

ALIGI

Or che volete da me, madre?
Io pur dissi: "Ponete
contra la soglia l'aratro,
il carro, i buoi, le pietre, le zolle,
la montagna con tutta la neve."
Io che vi dissi? voi che diceste?

Ecco, sì, la croce di cera
benedetta il dì dell'Ascensa,
l'acqua santa nei càrdini. Madre,
che volete ch'io faccia? Era notte,
era prima dell'alba, era notte
quando per venire si mosse.

Profondo, profondo era il sonno,
o madre. Però non m'avevate
voi messo papavero nel vino.
E fallito è quel sogno di Cristo.
Io so questa cosa onde viene;
ma ratterrò la mia bocca.

Femmine, che volete da me?
ch'io l'afferri per i capegli?
ch'io la trascini su l'aia?
ch'io la getti ai cani affamati?
Bene, sì, lo farò. Farò questo.

 

MILA

Non mi toccare! Peccato fai
contro la legge del focolare,
tu fai peccato grande mortale
contro il tuo sangue, contro la legge
della tua gente, de' vecchi tuoi.

Io su la pietra del focolare
il vino verso che mi fu dato
da una sorella della tua carne.

Se tu mi tocchi, se tu m'offendi,
tutti i tuoi morti nella tua terra,
quelli degli anni dimenticati,
i più lontani, i più lontani,
settanta braccia sotto la zolla
avranno orrore di te in eterno.

 

ALIGI

 

Cristiani di Dio, questa è la croce
benedetta nel giorno dell'Ascensa.
Posta l'ho su la soglia della porta
perché vi guardi dal fare peccato
contro la poverella di Gesù
ch'ebbe rifugio in questo focolare.

Io ho veduto dietro le sue spalle
l'Angelo muto che la custodisce.
Con questi occhi che debbono morire,
piangere io l'ho veduto, in ferma fede,
cristiani di Dio. Perciò l'attesto.

Tornate al campo a mietere il frumento.
Non fate male a chi non fece male.
E che il falso nemico non v'inganni
con i suoi beveraggi un'altra volta!
Mietitori di Norca, il Ciel v'aiuti
e vi cresca alla mano le mannelle.
E San Giovan Battista Decollato
vi mostri il capo suo nel sol levante,
se questa notte andate su la Plaia.
E non vogliate male a me pastore,
a me Aligi povero di Cristo.

 

VOCE NARRANTE

Ma ormai il rito nuziale è profanato e quindi viene interrotto. Aligi è tornato col suo gregge in montagna e Mila è con lui, compagna casta e fedele.
(dall'atto secondo, scena terza)

 

ALIGI

Io non so, tu non sai l'ora che viene.
Rimetti l'olio nella nostra làmpana.
Prendi l'olio dall'otro. Ancor ve n'è.
E aspettami, che vado dal crocifero.
Bene ho pensato quel che gli dirò.

 

MILA

Aligi, fratel mio! Dammi la mano.

 

ALIGI

Mila, il cammino è là, poco lontano.

 

MILA

Dammi la mano tua, ch'io te la baci.
E il sorso che concedo alla mia sete.

 

ALIGI

Mila, col tizzo io la volli bruciare.
E quella mano trista che t'offese.

 

MILA

Non mi rammento. Io son la creatura
che trovasti seduta su la pietra,
che veniva chi sa da quali strade.

 

ALIGI

Su la tua faccia il pianto non s'asciuga,
creatura. Una lacrima ti resta
nei cigli; trema, se parli; e non cade.

 

MILA

S'è fatto un gran silenzio. Aligi, ascolta.
Non cantan più. Con l'erbe e con le nevi,
siamo soli, fratello, siamo soli.

ALIGI

Mila, tu sei come la prima volta
là su la pietra, quando sorridevi
con gli occhi e avevi i piedi sanguinosi.

 

MILA

E tu, tu non sei quello inginocchiato
che i fioretti di San Giovan Battista
posò per terra? Ed una li raccolse
e se li porta nello scapolare.

 

ALIGI

Mila, una risonanza nella voce
tu hai, che mi consola e mi contrista
come d'ottobre quando con le mandre
si cammina cammina lungo il mare.

 

MILA

Camminare con te per monti e spiagge,
vorrei che questa fosse la mia sorte.

 

ALIGI

O compagna, preparati al viaggio.
Lungo è il cammino, ma l'amore è forte.

 

MILA

Aligi, passerei sul fuoco ardente,
e che l'andare non avesse fine!

 

ALIGI

Pei monti coglierai le genzianelle
e per le spiagge le stelle marine.

 

MILA

Se dovessi pontare i miei ginocchi
nelle tue péste, mi trascinerei.

 

ALIGI

Pensa ai riposi, quando farà notte!
La menta e il timo avrai per origlieri.

 

MILA

Non penso, no. Ma lascia, anche per questa
notte, ch'io viva dove tu respiri,
ch'io t'ascolti dormire anche una volta,
che anch'io vegli per te come i tuoi cani!

 

ALIGI

Tu lo sai, tu lo sai quel che s'attende.
Con te partisco l'acqua il pane e il sale.
E così partirò la giacitura
fino alla morte. Dammi le tue mani!.

 

MILA

Ah, si trema, si trema. Tu sei freddo,
Aligi, tu ti sbianchi... Dove va
il sangue del tuo viso che si perde?

 

ALIGI

O Mila, Mila, sento come un tuono...
E tutta la montagna si sprofonda.
Dove sei? dove sei? Tutto si perde.

 

MILA

Miserere di noi, Vergine santa!

 

ALIGI

Miserere di noi, Cristo Gesù!

(Sarà grande silenzio)

 

VOCE NARRANTE

Nella grotta sulla montagna, Lazaro di Roio tenta di impossessarsi di Mila.
All'improvviso appare Aligi. Vedendo il padre, perde ogni colore di vita. Lazaro si ferma per volgersi a lui. Il padre e il figlio si guardano fissi negli occhi.
(dall'atto secondo, scena settima)

 

LAZARO

Che c'è egli, Aligi? Che è?

 

ALIGI

Padre, come siete venuto?

 

LAZARO

Succhiato ti fu il sangue, che sei
sbiancato così? Te ne coli
come il siero dalla fiscella,
pecoraio, per lo spavento.

 

ALIGI

Padre, che volete voi fare?

 

LAZARO

Che voglio io fare? Dimanda
rivolgere a me, non t'è lecito.
Ma ti dirò che prendere voglio
la pecora cordesca nel cappio
e trarla dove più mi talenta.
Poi giudicherò del pastore.

ALIGI

Padre, non farete voi questo.

 

LAZARO

Come ardimento hai di levare
il viso inverso me? Tu bada
ch'io non te l'arrossi di sùbito.
Va e torna allo stazzo, e rimanti
con la tua mandra dentro la rete
finché io non venga a cercarti.
Per la vita tua, obbedisci.

 

ALIGI

Padre, tolga il Signore da me
ch'io non vi faccia obbedienza.
E voi giudicare potete
del figliuol vostro; ma questa
creatura lasciate in disparte,
lasciatela piangere sola.
Non l'offendete. E' peccato.

 

LAZARO

Ah mentecatto di Dio!
Di quale santa tu parli?
Non vedi (ti cascassero gli occhi)
non vedi che costei ha di sotto
le sue pàlpebre, intorno il suo collo
i sette peccati mortali?
Certo, se la vedono i tuoi
montoni, la cozzano. E tu
hai temenza ch'io non l'offenda!
Io ti dico che la carrareccia
della strada maestra assai meno
delle costei vergogne è battuta..

 

ALIGI

Se non mi fosse a Dio peccato,
se all'uomo non mi fosse misfatto,
padre, io vi direi che di questo
per la strozza avete mentito.

 

LAZARO

Che dici? Ti si secchi la lingua!
Mettiti in ginocchio e domanda
perdóno con la faccia per terra,
e non t'ardire più di levarti
innanzi a me, ma carpone
vattene e statti coi cani.

 

ALIGI

II Signore sia giudice, padre;
ma questa creatura alla vostra
ira non posso lasciare,
se vivo. Il Signore sia giudice.

 

LAZARO

Io ti son giudice. Chi
sono io a te, pel tuo sangue?

 

ALIGI

Voi siete il mio padre a me caro.

 

LAZARO

Io sono il tuo padre; e di te
far posso quel che m'aggrada,
perché tu mi sei come il bue
della mia stalla, come il badile
e la vanga. E s'io pur ti voglia
passar sopra con l'erpice, il dosso
diromperti, bé, questo è ben fatto.
E se mi bisogni al coltello
un manico ed io me lo faccia
del tuo stinco, bé, questo è ben fatto;
perché io son padre e tu figlio,
intendi? E a me data è su te
ogni potestà, fin dai tempi
dei tempi, sopra tutte le leggi.
E come io fui del mio padre,
tu sei di me, financo sotterra.
Intendi? E se del cervello
questo ti cadde, io tei riduco
in memoria. Inginocchiati, e bacia
la terra, ed esci carpone,
e va senza volgerti indietro!

 

ALIGI

Passatemi sopra con l'erpice
ma non toccate la donna.

 

LAZARO

Giù, giù, cane, mettiti a terra!

 

ALIGI

Ecco, padre mio, m'inginocchio
dinanzi a voi, bacio la terra.
E al nome di Dio vivo e vero,
pel mio primo pianto di quando
vi nacqui, di quando prendeste
me non ancóra fasciato
nelle vostre mani e m'alzaste
verso il Santo Volto di Cristo,
Io vi prego, vi prego, mio padre:
Non calpestate così
il cuore del figlio dolente,
non gli fate quest'onta! Vi prego:
Non gli togliete il suo lume,
non lo date alla branca del falso
nemico che gira d'intorno!
Vi prego, per l'Angelo muto
che vede e che ode nel ceppo!

 

LAZARO

Va, va, esci fuori, esci fuori
e dopo ti giudicherò.
Esci fuori, ti dico. Esci fuori.

 

ALIGI

II Signore sia giudice, e giudichi
fra voi e me, e vegga, e mi faccia
ragione; ma io sopra voi
non metterò la mia mano.

 

LAZARO

Maledetto! T'appicco il capestro...

 

ALIGI

Cristo Signore, aiutami tu,
ch'io non gli metta addosso la mano,
ch'io non faccia questo al mio padre!

 

LAZARO

O Ienne, o tu, Ferno, venite,
venite a vedere costui
quel che fa (lo freddasse una serpe!).
Portate le corde. Invasato
è per certo. Minaccia il suo padre!

(Accorreranno due bifolchi membruti, portando le corde).

Mi s'è ribellato costui!
Maledetto fu sin nel ventre
e per tutti i suoi giorni e di là.
Lo spirito malo gli è entrato.
Guardatelo, senza più sangue
la faccia. O Ienne, tu prendilo.
O Femo, hai la corda, tu legalo.
Legatelo e gettatelo fuori
che io non mi voglio macchiare.
E correte a chiamare qualcuno
che l'escongiurazione gli porti.

 

ALIGI

Fratelli in Dio, non fatemi questo!
Non ti perdere l'anima tua,
Ienne. Ti riconosco. Di te
mi rammento, quand'ero bambino,
che venni a raccoglier l'olive
nel tuo campo, Ienne dell'Età.
Mi rammento. Non farmi quest'onta,
non vituperarmi così!
Ah, cane! Di peste perissi!
No, no, no! Mila, Mila, corri,
prendimi là un ferro. Mila! Mila!

 

MILA

Aligi, Aligi, Dio ti vaglia!
Dio ti vendichi! Non disperare.
Forza non ho, forza non hai.
Ma, finché m'è in bocca il mio fiato,
sono di te, sono per te!
Abbi fede. L'aiuto verrà.
Fa cuore, Aligi. Dio ti vaglia!

 

VOCE NARRANTE

La tragedia sta per consumarsi. Lazaro cerca di convincere Mila a concedersi alle sue voglie.
(dall'atto secondo, scena ottava)

 

LAZARO

Femmina, or hai tu veduto
che il padrone son io. Dò la legge.
Rimasta sei sola con me.
Si comincia a far sera; e qui dentro
è già quasi notte. Paura
non avere, Mila di Codra,
né di questa mia cicatrice
se accesa la vedi, che ancóra
mi ci sento batter la febbre...
Accostati, Consunta mi sembri.
Nel giaccio del pecoraio
non avesti per certo la grassa
pasciona. Da me tu potresti
averla, se tu la volessi,
alla pianura; che Lazaro
di Roio è capoccio fornito...
Ma che guati per là? che aspetti?

 

MILA

Nulla aspetto. Non viene nessuno.

 

LAZARO

Sei sola con me. Non avere paura. Ti sei persuasa?

 

MILA

Ci penso, Lazaro di Roio,
ci penso, a quel che prometti...
Ci penso. Ma chi m'assicura?

LAZARO

Non ti scostare. Mantengo
quel che prometto, ti dico,
se Dio mi da bene. Vien qua.

 

MILA

E Candia della Leonessa?

 

LAZARO

Metta amara saliva e con quella
bagni il filo di canapa e torca.

 

MILA

E tre figlie tu hai nella casa,
e la nuora. Non mi confido.

 

LAZARO

Vien qua. Non ti scostare. Qua, senti:
ho vénti ducati cuciti
dentro la pelle. Li vuoi?
Tieni! Non li senti che suonano?
Sono vénti ducati d'argento.

 

MILA

Vò prima vedere; vò prima
contare, Lazaro di Roio.
Ora prendo le forbici e sdrucio.

 

LAZARO

Ma che guati? Ah, magalda, tu certo
preparando mi vai qualche sorte
e tenermi a bada ti credi.

 

MILA

No! No! No! Lasciami! Lasciami!
Non mi toccare. Ecco, viene! Ecco, viene
la tua figlia... Ornella ora viene.
No, no! Ornella, Ornella, aiuto!

 

ALIGI

Lasciala, per la vita tua!

 

VOCE NARRANTE

Aligi ha ucciso il padre e la comunità dei pastori ha emesso la sua sentenza di morte. Prima dell'esecuzione, Aligi viene portato alla presenza della madre Candia della Leonessa, per riceverne il perdono, ma l'anziana donna sembra come impazzita dal dolore. La figlia Ornella cerca di consolarla.
(dall'atto terzo, scena seconda)

 

ORNELLA

Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.
Alla prova più trista Iddio ti chiama.
Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo
che fa afa; e t'è grave questo panno.
Tutto in sudore t'è il tuo caro viso.
Ah, sorelle, sorelle mie, perduta
l'abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo
perduta! Escita è di senno, vedete.
Madre, mi senti? Dove vuoi andare?
Madre, ora viene Aligi, viene Aligi
a pigliar perdonanza dal tuo cuore,
a bevere la tazza del consólo
dalle tue mani. Svegliati e sta forte.
Maledetto non è. Col pentimento
il sacro sangue sparso ei lo riscatta.
Madre, andiamo. Fa questo passo. Volgiti.
Aspettarlo bisogna innanzi casa.
Donàmogli commiato, a lui che parte.
E poi ci colcheremo tutte in pace,
a fianco a fianco, nel letto di giù.

 

VOCE NARRANTE

Quando la condanna a morte sta per essere eseguita, compare Mila che, per salvarlo, si assume la colpa di tutto, dichiarando di aver spinto al delitto il compagno.
(dall'atto terzo, scena ultima)

 

MILA DI CODRA

Madre d' Aligi, sorelle
d'Aligi, sposa, parenti,
stendardiero del Malificio,
popolo giusto, giustizia
di Dio, sono Mila di Codra.
Mi confesso. Datemi ascolto.
Il santo dei monti m'invia.
Son discesa dai monti, venuta
sono a confessarmi in conspetto
di tutti. Datemi ascolto.
Aligi figliuolo di Lazaro
è innocente. Commesso non ha
parricidio. Ma sì, il suo padre
ucciso da me fu con l'asce.
Gente di Dio, datemi ascolto;
e poi fate scempio di me.
Sono pronta, venuta per questo.
Aligi figliuolo di Lazaro è innocente.
Ma egli non sa.

 

ALIGI

Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
Ornella (perdóno, se fui oso
nominarti), tu sei testimone
ch'ella inganna il popolo giusto.

 

MILA

Egli non sa. Di quell'ora
non gli sovviene. E magato.
Io gli voltai la ragione.
Io gli voltai la memoria.
Son figlia di mago. Non v'è
sortilegio ch'io non conosca,
ch'io non operi. Se tra le donne
del parentado è quell'una
che mi fece accusa qui proprio,
la vigilia di Santo Giovanni,
quando entrai per la porta che è là,
venga innanzi e l'accusa ripeta.
Mi confesso. Il santo dei monti
m'ha toccata quest'anima trista.
Mi confesso e mi pento. Non voglio
che l'innocente perisca.
Voglio il castigo, e sia grande!
Per fare ruina, per rompere
vincoli distruggere gioie
prendere vite, in giorno di nozze
varcai quella soglia che è là,
del focolare mi feci
padrona e lo sconsacrai.
Il vino ospitale falsai,
non bevvi, adoprai per fattura.
Le sorti del padre e del figlio
torsi a odio, e posi a pressura
la gola della sposa novizia.
E per arte le lacrime care
di quelle giovanette sorelle
a mia difensione io le trassi.

 

VOCE NARRANTE

Mila, condannata come magalda, salva Aligi. Aligi cerca disperatamente di discolparla, ma la giovane donna viene portata al rogo.
(dall'atto terzo, scena ultima)

ALIGI

No, no, non è vero. Tinganna,
non la udire, popolo giusto;
questa creatura t'inganna.
Tutti e tutte le stavano contro,
e così le facean vitupero.
E io vidi l'Angelo muto
dietro a lei. Con questi occhi mortali
che non debbon vedere la stella
di questo vespro, io lo vidi
che mi guardava e piangeva.
O Iona, miracolo fu
per mostrare eh'eli'era di Dio.

 

MILA

Oh povero Aligi pastore!
Oh giovine credulo e ignaro!
L'Angelo apostàtico era.

L'Angelo apostàtico apparve
(perdonata da Dio non sarò
né da te perdonata giammai)
apparve agli occhi tuoi per inganno.
Era l'Angelo iniquo, il fallace.
Aligi, perdonata da te
non sarò, se pure da Dio!
Ma debbo scoprir la mia frode.

Aligi, quando venni allo stazzo,
quando tu mi trovasti seduta
su quella pietra, in silenzio
la tua perdizione compiei.
E tu lavorasti nel ceppo,
ah misero te, co' tuoi ferri
l'effigie dell'Angelo malo.
(E quello, coperto col panno:
lo sento.) E io mane e sera
opravo con l'arte mia falsa.

Non ti sovviene di me? di tanto
amore ch'io t'ebbi, di tanta
umiltà che m'era negli atti,
nella voce, dinanzi al tuo viso?
Non ti sovviene che mai
ci contaminammo, che monda
presso il tuo giaciglio rimasi?

E come, come (tu non pensasti),
tanta purità, tanta temenza
nella straniera malvagia
che i mietitori di Norca
avean svergonata al conspetto
della madre tua? Bene opravo,
bene opravo con l'arte mia falsa.

Non mi vedevi tu raccattare
intorno al tuo ceppo le schegge
e bruciarle dicendo parole?
Preparai l'ora di sangue,
che contra Lazaro antica
rancura, odio antico nudrivo.
Tu lasciasti Fasce nel ceppo.

Ora uditemi, gente di Dio.
Una grande potenza venuta
era in me sopra lui vincolato.
Quasi notte faceva nel luogo
maligno. Imbestiato il suo padre
presa m'avea pè capegli
e mi trascinava furente.
Ei sopraggiunse e su noi
si gettò per difendere me.
Rapidamente brandii
l'asce, nell'ombra; colpii,
forte colpii, sino a morte.

Sul colpo gridai: "L'hai ucciso!"
Al figlio gridai: "L'hai ucciso,
ucciso!" Potenza era in me grande.
Parricida lo fece il mio grido
nell'anima sua ch'era schiava.
"L'ho ucciso!" rispose; nel sangue
tramortì, più altro non seppe.

Sì, sì, popolo giusto, sì, popolo
di Dio, piglia vendetta su me.
E l'Angelo apostàtico mettilo
nella catasta con me,
che faccia la fiamma per ardermi,
che si consumi con me.

 

ALIGI

Oh voce di promessa e di frode!
Toglietemela di dentro
così come bella mi parve,
come cara mi fu, soffocatela
nell'anima mia, fate che mai
udita io l'abbia, che mai
n'abbia gioito! Rempietemi dentro
tutti questi solchi d'amore
che mi scavò, quando io era
alle sue parole d'inganno
come la mia montagna rigata
dalle acque di neve! Rempietemi
il solco di quella speranza,
per ove mi corse la grazia
di tutti i miei giorni ingannati!
Cancellate da me ogni traccia!
Fate che udito e creduto
io non abbia giammai!
Ma, se questo
da voi non si può, s'io son quello
che udii credetti sperai,
quello che adorai l'Angelo iniquo,
mozzatemi entrambe le mani,
nel sacco di cuoio cucitemi
e gittatemi nella fiumana
ch'io vi dorma settecent'anni
ch'io dorma sottacqua, nel gorgo
profondo, ancóra settecent'anni
e più non mi ricordi che il giorno
di Dio ha illuminato quegli occhi!

Sì, per un poco scioglimi, Iona,
solo ch'io possa levar le mani
contra costei (no, non l'ardete:
la fiamma è bella!), chiamare i morti,
tutti i miei morti nella mia terra,
quelli degli anni dimenticati,
i più lontani, i più lontani,
settanta braccia sotto la zolla,
a maledirla, a maledirla!

 

MILA

Aligi Aligi, tu no,
tu non puoi, tu non devi!

 

LA TURBA

Christe eleison. Kyrie eleison.
- Alle fiamme alle fiamme la figlia
di Iorio! La figlia di Iorio
e l'Angelo apostàtico al fuoco!
- Alla catasta! All'inferno!

 

ORNELLA

Mila, Mila, sorella in Gesù,
Io ti bacio i tuoi piedi che vanno!
Il Paradiso è per te!

 

MILA

La fiamma è bella! La fiamma è bella!

 

Nettuno: il 29 di agosto - alle sette di sera -1903





OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
"100 LIBRI PER NETTUNO" Edizione del Gonfalone 2003
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