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GABRIELE D'ANNUNZIO
DESCRIVE TORRE ASTURA




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Indice dei monumenti
Storia di Torre Astura di Oscar Rampone
Astura di Augusto Rondoni
Gabriele D'Annunzio descrive Torre Astura
Origine e processo formativo di Cesare Ottaviani
Considerazioni storiche di Oscar Rampone
Itinerario turistico di Torre Astura
Foto di Torre Astura

GABRIELE D'ANNUNZIO
DESCRIVE TORRE ASTURA

- 27-28 febbraio 1897

Dall'altra la terra bassa e la torre d'Astura confusamente (la penisola Caprolace.)
Sulla spiaggia cumuli di foglie di quercia macerata provenienti dai querceti che stanno tra Anzio e Ostia, trasportate dalle correnti marine. (Suggestione,) La spiaggia era ricca si statue, di anfore, di oggetti antichi, ritrovati dai pescatori - Oh una statua divina, sotto le acque, una apparizione sublime dell'arte, fuor del mare - una Venere prassitelea che propiziasse il loro amplesso impetuoso!
V'erano nello scoglio impresse certe strane orme. Talune rispondevano esattamente ai piede di Lorenza Arvale, per modo che sembrava ella ve le avesse lasciate in un tempo remotissimo e ve le ritrovasse-
Gli escrementi delle capre su lo scoglio -
L'acqua si muove su gli scogli con una mollezza infinita, mettendo una bava voluttuosa, come una saliva lasciva -
Piccole sorgenti chiare che scaturiscono da un foro e si mescolano al mare -
Sassi in forma di enormi denti molari -
Nettuno con la Rocca dei Frangipani -
Il piede a volta a volta si profonda in uno strato soffice di foglie e di detriti - e si punta su uno spigolo vivo di roccia -
Piante grosse che pendono come capellature - Una roccia piange d'un pianto perenne, e intorno le ardono i grandi candelabri delle agavi - Tra le ghiaie pezzi di marmo antico - giallo - rosso -

Torre Astura -
Nell'arena calda camminano gli insetti neri, pesanti, stercorarii. La Pineta meravigliosa. Sì entra come in un incanto. Tutto il terreno e coperto d'un tappeto alto di aghi.
I tronchi sono così fitti che lasciano appena penetrare qualche occhio di sole. La parte inferiore sembra morta, nell 'ombra, e secca, arida. In tutte le congiunture dei rami si sono accumulati gli aghi morti, in fasci. I rami ne sostengono a volte grossi cumuli. Un intrico straordinariamente sottile e composto. Le pigne vuote o verdi sono sparse sul tappeto soffice e innumerevole. Nell'ombra, fra i rami, i ragni tessono le tele. Le tele circolari legate tra loro da lunghi fili palpitano e rilucono iridescenti, con uno splendore e una immaterialità indicibili, simili a larve di stelle o di fiorì, simili a quelle venature, a quelle nervature delle foglie che, macerate, rimangono come scheletri infinitamente delicati. E dal sole che penetra qua e là, gli alberi fulvi, con i loro rami carichi di aghi, brillano di questa divina iridescenza, di questa sovrarnmnirabile opera d'incanti - aracnéa.
I fusti si diradano, nelle radure si scorgono allora le cime degli alberi, verdi, fiorite, con le innumerevoli piccole dita tra bionde e rosee che oscillano in cima
Il vento a tratti fa crollare tutto il lungo fusto sottile che dà un gemito come l'antenna del naviglio. E s'ode, come vegente da un indefinita buiananza, il rumore del Mare.
Quando si va dalla torre verso la pineta per entrare si vede sul cielo azzurro la linea bassa degli alberi verdi sormontati dalle dita pendenti nel roseo: apparenza deliziosa.
La selva da prima sembra morta: i rami sono fragili, si spezzano come il vetro, al passaggio. Gli aghi sono secchi - Il tappeto è profondo, delizioso, per amare.

Da Nettuno si entra nella campagna aperta, verso il Poligono. La prateria, coperta qua e la, di macchie rossastre d'erbe, limita il mare. Le greggi nere e bianche. Una grandiosità triste. Si entra pei cancelli. Un soldato viene ad aprire. Uno spiazzo tutto ingombro di fusti di cannone in disuso, di vecchi cannoni arruginiti, di carcasse inutili. Tutta la campagna è dominata dal sentimento di quell'esercizio di guerra. Il prato qua e là porta i segni degli obici. E la pianura continua, continua, limitata da qualche bosco nudo. Intere estensioni sono sparse di alberi troncati, che si sollevano da terra. Si aprono i cancelli. Un color verde bronzino - Sotto le querci nude pascolano i cavalli fulvi e neri, dalle lunghe code, pelosi, selvaggi. A un certo punto della strada, su una colonna di granito è una piccola madonna di marmo bianco: una Concezione, fatta erigere dal principe Borghese in memoria d'uno scampato pericolo. (Mentre passava in carrozza, cadde una quercia enorme che - per miracolo - non lo schiacciò.) Le querci dalle braccia immani, alcune in punto di rinnovellare, si levavano nel sole.

Si apre un cancello e si entra in una strada arenosa dove le ruote della vettura si affondano. Si vede il mare. Sempre, in fondo, si vede la forma azzurrognola del Circeo.

Ecco la pineta, ecco la Torre. È una specie di penisoletta che si protende fra il mare di Anzio (Caprolace) e il mare di Terracina. Da una parte si vede il seno di Anzio con la lingua di terra biancheggiante si case fino al lontano molo: dall'altra si vede un altro seno limitato da una lingua di terra che prolungasi fino al Circeo. Verso l'estremità i vapori nascondono la riva, e il Circeo sembra isolato nel mare. In fondo la catena di montagne che va verso Terracina.
La sabbia qua e là acquitrinosa, è viva di vimini e sparsa di piccole strisce come d'un nastro argenteo che riluce al sole e biancheggia finemente. Una piccola cappella dalla porta rossa è di fronte alla Torre.

La Torre è nel mezzo del mare, legata alla terra da un ponte lungo e stretto su arcate. È una specie di piccolo castello di mattone, merlato. Si sale alle logge da cui si scopre tutto il mare e la duplice visione. Nel mare si veggono le fondamenta di antichi edifici con figure regolari, geometriche. A sinistra una corona di scogli su cui svolazzano i gabbiani. Una immensa serenità: il mare è apertissimo. La torre è abitata dalle guardie di finanza. V'è nel muro un foro, a cui si sale con una scala applicata alla parete. Si entra in una piccolissima stanza, in una specie di cella, che fu - dicesi- la prigione di Corradino. Dinnanzi al Castello il terreno è coperto di piante grasse e di cacti.
Nella Pineta i rami biforcuti sono carichi di aghi secchi, come le forche sono cariche di paglia. Cumuli ne sono ai piedi dei fusti - Tutta la vitalità degli alberi è parlata alle cime che si dondolano al sole impercettibilmente. Nelle radure alcuni fusti sono curvati a terra, toccano la terra con la vetta.
Di fuori, la pineta è tutta chiusa. I rami si partono da terra. È combustibile: una scintilla basterebbe a incendiarla. I giochi del sole sul viso della supina.
Lungo il mare, cumuli enormi di alghe disseccate, simili a nastri argentei, che formano come una diga molle. Le vele bianche curve sotto il vento, lungo la spiaggia del Circeo
La grande spiaggia argentea e deserta. I gabbiani che galleggiano. Le rane roche negli acquitrini.

La strada, per andare alla torre, passa per un piano tutto coperto di duri mirti color di bronzo - verdura forte tenace, aromatica d'uno straordinario vigore. (impossibile a Stelìo recidere un ramo.)
Poco dopo il cancello che s'apre sul viale conducente alla Torre, è un casale contornato di mucchi di paglia. Ivi è il traghettatore, che traghetta i passeggeri sul fiume presso la foce.
In mezzo al campo dell'artiglieria, ove sono i vecchi ordigni, sventola una bandiera rossa infissa in una pertica.
Mortella dice: - Sarà se la fiamma dura, non sarà, se si spegne. -Allora accendono un mucchio di aghi, ai piedi di un albero. Il fuoco si propaga con una straordinaria celerità. Ella si dona, mentre entrambi immaginano intorno al loro amore supremo l'incendio di tutta la fragrante foresta.
Il mare di Caprolace.
Di tratto in tratto, dalle macchie, si levano con un volo pesante le pavoncelle.
Le allodole cantano -(Ricordano quelle di S. Francesco nel Deserto)
('Nel libro) Essi - giunti a Nettuno per la via degli scogli, vanno alla Torre d 'Astura per mare, su una lancia a vela.
Mortella dice: - No, no, non qui Laggiù, laggiù su quella punta lontana.
La notte dell'arrivo ad Anzio - Il mare è calmo, con una musica fievole. Il cielo é palpitante di stelle, profondo, divino. I lumi del Molo gettano nell 'acqua scale d'oro. Si vede un fuoco alla Torre d 'Astura, su l'estrema punta.
La sabbia, sotto l'orma, a quando a quando dà un bagliore fosforico. I riflessi delle stelle, pallidi, tremano nel mare.

Gabriele D'Annunzio