PASSEGGIANDO AL BORGO
di OSCAR RAMPONE
Se si vuol conoscere veramente Nettuno, bisogna partire dal Borgo. La sua storia è accumulata lì. Le epoche si sono sovrapposte ed, a scavare si troverebbero tracce di tutti i suoi abitanti che, tra una guerra e l'altra, si sono succeduti.
Venendo a ritroso alla nostra epoca, perverremmo dagli idoli pagani agli dèi greci e romani, quindi al dio e santi cristiani. Era nel Borgo che sorgeva il tempio di Nettuno, il dio che alla città diede il nome, ed è qui che quando gli dèi romani tramontarono, proprio sui ruderi del tempio di Nettuno, sorse la prima chiesa cristiana.
Nel Borgo si respira aria di Medio Evo. Alla roccaforte si sono saldate le case, ma senza riuscire a cancellarne l'aspetto austero. Si tratta in gran parte di case minuscole, dalle persiane verdi o rosse, alcune con piccole scale esterne, sormontate da portoncini che lasciano passare una sola persona alla volta. Gl'imponenti torrioni e palazzi severi, come il Doria Panfili e quello Baronale, sono in contrasto schiacciante con la folla di casette che intimidite, si tirano da parte, si stringono insieme e si fanno più piccole, fino ad assumere un aspetto che ricorda Disney Land. Solo qui nel borgo si può trovare un vicoletto largo 90 centimetri ( Vicolo del Baluardo)e notare che la chiesa si bacia col fabbricato accanto ( Via delle Campane).
Il Borgo è nato in un'epoca di risorse limitate e di pericolo, quando era necessario fare economia, aiutarsi, stare tutti insieme per far fronte al nemico comune, che arrivava dalla terra o dal mare, (la famosa cultura del villaggio). Ora, la civiltà dei consumi ha portato una certa agiatezza e maggiore sicurezza collettiva, ma anche l'alienazione e, con essa, il bisogno di vivere lontano dagli altri. Così, o si ha, o si sogna una villa al mare, in campagna, o in collina, purchè lontana dalla città. Si sono acquisite tante cose nuove e perdute tante altre vecchie. Da una parte è stato un bene dall'altra un male, su questo punto le opinioni variano con l'età degli interlocutori. Certo è che quel tipo di poesia gozzaniana ed il calore umano sono spriti quasi dovunque. Fortunatamente qui nel Borgo qualcosa resiste ancora.
Nelle giornate di sole, vale a dire quasi sempre, la roccaforte, che una volta respingeva i corsari saraceni ed altri nemici, ora sorride e ride con la policromia delle casette, che le si attaccano addosso come ostriche allo scoglio, sventolando grandi lenzuoli e panni colorati ad asciugare.Il sapore di antico è così attuale che, nelle notti di luna, chi ha fantasia può vedere alabardieri, archibugieri e grandi condottieri lungo la Marciaronda, e sentirne perfino il passo pesante e cadenziato. Può anche veder avanzare, maestosamente, antiche bellezze nettunesi nei loro ricchi costumi rossi. Certe deliziose viuzze, in cui il mare viene ad occhieggiare, non hanno subìto l'oltraggio delle carrozze. Sulle vie e piazzette del Borgo affacciano finestre bifore e pesanti portoni rosicchiati e impreziositi dal tempo. Custodiscono chissà quali segreti.
Quando vi era il tempio di Nettuno, vennero i Caligola, Nerone, Vespasiano.... nei secoli più vicino a noi, si occuparono di Nettuno quasi tutti i papi a partire dal X, di Giovanni X, Benedetto VIII, Martino V, Alessandro VI, Giulio II, Clemente VIII, ed altri pontefici fino ai nostri giorni. Echeggia ancora nel Borgo il nome di antichi feudatari , succeduti dopo il 1100 ai monaci di Grottaferrata: i guelfi Orsini, i ghibellini Colonna, i Borgia, i Carafa, i Borghese Aldobrandini.
Vivono qui antiche famiglie nettunesi, ma anche alcuni professionisti che, per amor di silenzio o di passato o, più semplicemente per sete di azzurro, vi hanno eletto dimora. Le une e gli altri abitano nella folla di casette molte delle quali si affacciano dai muraglioni. Dalle alte finestre era dolce una volta osservare l'eterno mare dal mutevole umore, ora carezzoso lambire, ed ora minaccioso aggredire gli spalti della fortezza. Poi il mare fu spinto indietro, ed ora sono i macigni delle dighe a goderne le fresche carezze, o a romperne in alti spruzzi la furia degli assalti.
Dall'alto di questa roccaforte vennero osservati grandi avvenimenti come, ad esempio, nel 1286 l'incendio di Torre Astura o, nel 1378 la sanguinosa battaglia che oppose la flotta veneziana di Vittor Pisani a quella genovese di Luigi del Fiesco, che perdette quasi tutte le navi e 550 uomini, o nel 1550 l'arrivo miracoloso della pellegrina Madonna delle Grazie, ed altre grandi vicende, ultima delle quali lo sbarco alleato del 1944.
Anche se sui tetti è nata l'orrida selva di antenne, ed ora anche parabole, anche se tubi dell'acqua, fili elettrici e cavi telefonici feriscono un po' dovunque l'estetica, ed anche se le auto ( all'insaputa dei vigili) invadono piazza Marconi e piazza Colonna, resistono ancora usanze che hanno una loro soave e malinconica poesia. Si fanno ancora le conserve, i sottaceti, le marmellate. Si vedono ancora su qualche balconcino serti di aglio e mazzi di pomodori e peperoncini rossi. Anche se le antiche anfore sono sparite, ci si disseta ancora con l'acqua della fontana chiacchierina di piazza Colonna.
Fino a qualche decennio fa nel Borgo si trovavano ancora gli ultimi artigiani scampati all'avanzata della tecnica. E si sentiva il ronfare della forgia, il ronzio della mola, le martellate dell'idraulico e del calzolaio, lo strisciare della pialla del falegname ed altri rumori operosi ormai inconsueti. In autunno si sentiva l'odor di mosto, quando sulla strada, con moto circolare, le botti venivano lavate alla fontana chiacchierina di piazza Colonna per accogliere il vino nuovo. A volte si sente ancora la voce di qualche massaia che, mentre cuce, lava, rassetta o cucina, intona una bella canzone di tanti anni fa. Qui vi sono i vecchi che sembrano più antichi dello stesso Borgo. Non è raro trovarne qualcuno che, senza timore di essere disturbato, siede su di una sedia in mezzo al vicolo o alla piazza, e fa il bagno di sole.
Il Borgo è fresco ed ombroso d'estate, quando le i refoli di brezza marina si rincorrono lungo i vicoli. D'inverno è triste, ma non troppo, spesso il sole si cala a curiosare nei vicoli e nelle finestre, ed a sdraiarsi su piazze e terrazzi. Poi arriva la primavera con le mani piene di gerani, e corre ad infiocchettare i balconi. Ed ecco di nuovo l'estate, che apre tutte le porte, butta fuori da ristoranti e pizzerie sedie e tavoli, subito conquistati da villeggianti seminudi e pittoreschi. E' una folla allegra e chiassosa che, tuttavia non riesce nemmeno a scalfire la solennità e dignità del Borgo, il quale accetta divertito la parentesi estiva.
La chiesa di San Giovanni non si è lasciata sedurre dai nuovi tempi. E' rimasta all'antica anche se accogliente, dignitosa e discreta. E' la custode degli affetti e delle antiche usanze del Borgo. Il Borgo è bello così come è e così deve restare. E' un bene inestimabile, che diventerebbe fugace, se non venisse protetto e difeso, non solo dai suoi valori morali, ma anche nella sua integrità materiale.
L'autorità l'ha dichiarato monumento nazionale. Ma il Borgo è amato da tutti i Nettunesi, molti dei quali ne sanno cogliere l'intima bellezza, è come una persona cara e la vanno a trovare così, senza una vera ragione ed ecco che, via via che il Borgo racconta, i Nettunesi vengono risucchiati nel passato. Si sentono sempre più lontani nel tempo e le loro preoccupazioni non esistono più. Sono restate fuori dal Borgo, nella vita frettolosa e stressante di alcuni secoli dopo. |