IL CIMITERO AMERICANO
Tratto dal libro "Nettuno vista da un giornalista"
(di Oscar Rampone)
Il 22 giugno 1944, preceduto da un bombardamento infernale dal ciclo e dal mare, avvenne lo sbarco alleato di Nettuno. Vi parteciparono 146 mezzi da sbarco, appoggiati da sette incrociatori, 24 cacciatorpediniere, e altre 96 unità. Ebbe, così, inizio una battaglia che, con alterna fortuna, si protrasse per quattro mesi e mezzo, e si concluse con la liberazione di Roma.
Sia da parte alleata che tedesca, molte vite vennero sacrificate.
Per dare degna sepoltura ai loro caduti, gli Stati Uniti d'America costruirono in Nettuno un memoriale e un cimitero, in cui furono riuniti, non solo i caduti di Nettuno, ma anche quelli della campagna di Sicilia, dello sbarco di Salerno, e della successiva avanzata verso nord.
Cimitero e memoriale sono in mezzo a grandi giardini che coprono 35 ettari. Sono così ben tenuti che sono diventati uno dei posti più visitati dai turisti e dagli stessi nettunesi, che non li considerano un luogo dove pregare e meditare, ma un parco per sostare e rilassarsi.
Durante le mie frequenti visite, avevo notato giovani signore che spingevano dolcemente carrozzine in cui dormivano placidi bimbi. Una volta, durante una conversazione con una di esse, le chiesi: " Scusi, signora, come mai, per le sue passeggiate, ha scelto proprio un cimitero? ".
" Come si fa a chiamare cimitero questi giardini? " rispose. " Ha mai visto un funerale, o dei becchini al lavoro, qui? ". " È vero ", dissi, " non ne ho mai visti. " Ma tutte quelle croci non le dicono nulla? ".
" Oh, le croci! " esclamò, e sorrise. " Le guardi ", e indicò i prati affollati di candide croci marmoree, " le guardi, le croci, sembrano gigli ".
Aveva ragione, e mi fece pensare a tanti altri cimiteri stipati di morti, dove, prima di seppellire, bisogna esumare. Mi passò innanzi agli occhi il cimitero ove riposano i miei cari: una folla marmorea di pietre tombali, con su incise frasi strazianti; piccole cappelle, monumenti che mostrano angeli custodi, madri piangenti, giovinette in preghiera, fiori e lampade accese innanzi alle foto degli estinti.
Mi tornarono alla mente il Verano di Roma, il Monumentale di Milano, il cimitero genovese di Staglieno, dove il dolore ha bisogno di manifestarsi, di sfogarsi, di esibirsi; il dolore che mobilita l'arte e si fa monumento; il dolore che chiede solidarietà.
E mi ricordai anche di un altro cimitero tanto diverso da quelli e alquanto somigliante a questo. Quello di Copenaghen, dove il dolore cerca pudicamente di nascondersi, di dire il meno possibile.
Non si vedevano tombe marmoree né tanto meno monumenti: solo minuscoli giardini fioriti, bordati da una siepe bassissima. In un angolo, una grossa pietra grezza con su soltanto un nome e due date. Accanto alla pietra, una panchina per eventuali colloqui muti coll'estinto.
Tutto ciò non voleva dire niente a nessuno. Era solo necessario, per segnare il luogo della sepoltura. Insomma, un fatto privato.
Anche lì magnifici viali alberati, un laghetto con cigni, intorno al quale passeggiavano giovani mamme con carrozzine conversando piacevolmente. Gente a passeggio, nei viali, o seduta sulle panchine. I custodi avevano la loro villetta, con un bel giardinetto ed alberi da frutto.
Lì, la morte non si vestiva di nero. Era un avvenimento né buono né cattivo: un fatto naturale e, come tale, accettato.
Ne fui così piacevolmente sorpreso, che dissi a mia moglie: " Lo sai che non mi dispiacerebbe essere sepolto qui?".
Il cimitero americano di Nettuno, non solo è tutto questo, ma anche qualche cosa di più.
Se credete, lo visiteremo insieme.
Non appena varcate il cancello in bronzo, vi appare un laghetto, in cui, sotto galleggianti ninfee in fiore, nuotano pesci rossi. Al centro del laghetto, fra due gruppetti di cipressi, un cenotafio di travertino.
Proseguite diritto, e trovate dei grossi lecci. Li oltrepassate, e la vista si apre sulla immensa " moquette " verde di un prato all'inglese, che va fino al candido memoriale marmoreo, sul quale svettano dai pennoni le stelle e strisce di due bandiere.
Sulla facciata, due allegorie. In quella di sinistra, un angelo sfiora volando le croci, e vi depone una corona d'alloro. Nell'altra, l'angelo custode vola via dal cimitero con un soldato resuscitato sulle braccia.
Attraversate il peristilio, in cui a candide colonne di travertino si avvicendano altre di rosso levante, e vi appare il monumento ai " Fratelli in Armi ": due giovani a torso nudo che, allacciati col braccio, si tengono fianco a fianco. Rappresentano il soldato e il marinaio americani.
Ai due lati del peristilio, due grandi sale. In quella di destra, sulle pareti est ed ovest, due affreschi indicano i teatri di guerra d'Italia, Germania e Giappone, mentre, al centro della sala, vi è un modello in bronzo e marmo dell' Italia, su cui sono indicati i luoghi ove si svolsero le operazioni militari.
All'altro lato del peristilio, vi è la cappella. Una sala senza finestre, per creare un'atmosfera più raccolta. Sull' altare impreziosito da un trittico, fanno bella mostra sei bandiere. Scolpiti sui muri, i nomi.di 2031 aviatori e 1063 marinai dispersi. Sul soffitto sono riprodotti i segni dello zodiaco e gli dèi Marte, Giove e Saturno.
Adiacente al memoriale, dalla parte nord, vi è un magnifico giardino in cui fioriscono rose, oleandri, gerani e bougainvillee. Nel silenzio, il danzante zampillo d'una fontana suona il suo xilofono.
Qui, intorno al memoriale, s'infittiscono i pini romani, ma altrove vi sono altre conifere, lecci, eucalipti e perfino olivi.
Tutto è bello, lindo e ben curato. Una squadra operosa di giardinieri rasa ed inaffia i prati, pota gli alberi, rifila le siepi, spazza e porta via quintali di foglie e di rami. Dietro di loro vi è una efficiente organizzazione qui rappresentata da una soprintendenza.
È piacevole sedere su una panchina ed ascoltare gli uccelli che, qui, al sicuro da ogni insidia, si raccolgono numerosi. È un'oasi serena, in cui i morti sembrano felici. E perché non dovrebbero esserlo? Qui non sono soli come tanti altri morti che riposano accanto a sconosciuti. Sono fra i compagni coi quali hanno diviso lo stesso pane, le stesse speranze, gli stessi rischi, le stesse paure, lo stesso destino,
Vi sono 7860 croci, in dieci campi separati da siepi e filari di pini. È un insieme gentile e tuttavia potente. Infatti, mentre il biancheggiare delle croci ricorda coltivazioni di gigli, la loro disposizione simmetrica fa pensare a una imponente parata militare.
Le tombe non hanno lastre di marmo. Sono nascoste sotto il tappeto erboso. E se non fosse per le croci, non si potrebbe distinguerle.
Solo il 39 per cento dei caduti riposa qui. Gli altri sono stati rimpatriati su richiesta dei parenti (cosa che ora non avviene più).
In nessun altro cimitero come in questo il detto che la morte rende tutti uguali è così vero. La guerra aveva già parzialmente livellato le loro differenze. La morte le ha cancellate totalmente e definitivamente. Qui, essi sono soldati e basta. Non importa chi erano prima, ora sono solo soldati e lo saranno per sempre.
Lo dicono chiaramente le 7860 identiche croci di marmo-bianco che segnano le tombe invisibili. Su ogni croce sono scolpiti un nome, un grado (da soldato a colonnello), la data della morte. Ma si stenta a leggerli. Per 490 di essi non vi è nome. La scritta dice: " Qui, nell'onore della gloria, riposa un compagno d'armi. Solo Dio sa chi è ". Alcune tombe sono segnate dalla stella di Davide, ma è messa in modo da adombrare la croce. Ventuno coppie di fratelli caduti insieme riposano in tombe adiacenti.
I nomi di questi soldati richiamano la loro origine, più o meno lontana. Quella vicina, si comprende dal nome di battesimo, che è Francesco o Giovanni e non ancora Frank o John. Vi è l'Esposito italiano, il Dominguez spagnolo, il Mclntosh scozzese, l'O'Hara irlandese, il Kovacevic jugoslavo, il Kaminski polacco, l'Hoffmeister tedesco, il Van Demark olandese, il Mellstrom svedese e così via. Ma le loro origini erano state già cancellate, erano state fuse nel crogiuolo della cittadinanza americana.
Quando vennero chiamati alle armi, avevano una casa, una famiglia, una professione. Anche questo venne cancellato. Essi diventarono solo soldati americani. Erano tutti giovani e morirono tutti per la stessa causa. Erano soldati e la morte li ghiacciò da soldati. Cancellò la loro età: sulla croce vi è solo la data della morte. Li fuse in un altro grande crogiuolo, quello della giovinezza eterna. Li livellò a tal punto, che essi non sono più migliaia di soldati, ma uno solo, il Soldato Americano. Infatti, come avviene per le croci, se provate a immaginarli, li vedrete tutti eguali, tutti con lo stesso volto e la stessa uniforme, come 7860 copie tirate da uno stesso cliché, quello del Soldato Americano.
Pure, vi è un momento particolare in cui il soldato cessa di essere soldato. È quando, dalla lontana America, i parenti vengono a trovarlo. Allora, se osservate attentamente il gruppetto, ad un certo punto vi accorgete che, sollecitato dall'amore dei suoi cari, il soldato è uscito dalle righe, ed ha messo da parte la divisa. Ora non è più un soldato esattamente uguale agli altri, è il fratello, il marito, il padre o - quando vicino alla tomba si vede qualche testa bianca - anche il figlio. Ora sentite che ha ripreso la sua personalità e veste abiti civili.
Ma solo per poco. Non appena i suoi parenti lasceranno il cimitero, egli indosserà di nuovo l'uniforme, e rientrerà nella tomba.
II suo posto è lì, accanto ai suoi compagni d'armi che, come lui, diedero la vita per la loro patria, e non soltanto per la loro. |