Arti e mestieri scomparsi
RANOCCHIARI
Nell’agro romano e nelle paludi pontine, fino
all’immediato dopoguerra, le ranocchie sono
abbondantissime ed a Roma se ne fa largo uso.
Il regno dei ranocchiari è Maccarese, Tor Tre
Ponti, ma anche Nettuno vanta una lunga tra-
dizione. Si pescano nei fossi stendendo una rete
o adoperando una canna ed una specie di amo.
Vengono rinchiuse in sacchi e spedite vive e
gracidanti a Roma, dove si vendono a dozzine.
Nella foto, un gruppo di ranocchiari nei dintorni
di Nettuno, archivio Consorzio Bonifica di Latina.
“
Donne, ranocchie!” A piazza Montanara
se sentiva uno strillo appena giorno,
era la sora Rosa: ranocchiara,
a séde a un angoletto accanto a un forno.
Le mano tutte quante aruvinate,
li porzi ce l’aveva sempre rossi,
quante ranocchie s’era scorticate,
nell’acqua puzzolente de li fossi!
Co’ ‘na certa arbaggìa da gran signora,
ar posto der cappello, una gran crocchia,
la sora Rosa stava lì abbonora
a intolettà ranocchia pe’ ranocchia.
Poi dentr’ar zecchio, tutte ammazzettate,
degne de figurà ne li gran pranzi,
come ballerinette, preparate
p’er balletto de l’opera, ar Costanzi.
(
Antonietta Palombi Corrao,
da Mestieri e Mestieracci pag. 378)
LEGATORE
Negli anni settanta i giornali o i fascicoli
delle enciclopedie si portano in via XXIV mag-
gio dal ferrarese, trapiantato a Nettuno,
Giuseppe Barioni, persona affabile, simpatica,
competente.
In seguito si trasferisce in via Trieste dove
rimane fino al sopravvenire della malattia.
Uno dei suoi ragazzi, Marco Roda, ne rileve-
rà l’attività spostata fino a non molto tempo fa
in via della Libertà.
Er legator de libbri
Arieccheme cqua, sor Bonifazzi,
Vengo a ddivve pe parte der padrone,
Si j’javete legato er Cammerone
E quelle bbrozzodìe de li ragazzi.
E ddisce ch’ecco cquì st’antri du’ mazzi
De libbri c’ha ppijato a la lauzzione
Pe facce un po’ de legature bbone
Da risiste a ‘gni sorte de strapazzi.
E disce poi che ssenza tante sciarle
Je l’incollate cor lume de Rocco
Acciò nun ze li maggnino le tarle.
E ddisce pulizia e ccose leste,
Sinnò altrimenti non ve dà un bajocco!
E cco questo salute e bbone feste.
Il sonetto di Gioacchino Belli è tratto dalla pub-
blicazione:
Mestieri eMestieracci
nella poesia roma-
nesca dal ‘600 ai nostri giorni, a cura di Giorgio
Roberti ed edito dal Centro Romanesco Trilussa.
LAMPIONAIO
L’installazione dei due generatori di corren-
te, a gas povero, nei locali della Società Laziale
di Elettricità, in via S. Maria, nel 1890, non
risolve l’elettrificazione del paese.
Il lavoro per creare le linee aeree della distri-
buzione sarà alacre ma lento, tanto che nel 1906
si vede ancora in giro il lampionaio con scala,
canna e stoppini catramati per accendere i lam-
pioni a petrolio disseminati per il Borgo e fuori.
Il lampionaio è Isaia Restante, alto e stereo-
tipato, calzolaio nativo di Cori che ha il deschet-
to su via Romana, prima dell’incrocio con via
Cavour e prima della scuderia Marcobelli.
Abita in una baracca, nella vigna di Melchiorre
De Franceschi, prima della villa che verrà acqui-
stata dal capitano Donati.
FALEGNAMI
Nella numerosa ed eletta schiera di artigiani
nettunesi ricorda, il prof. Rondoni, tra i falegnami:
Cesare Siravo, Gigino Centi, Michele Marrone, don
Ciccio Vincenzo De Pascale, Cesare Zamperini,
mastro
Angelo Morelli che ha lavorato all’urna di
Maria Goretti, Enea D’Amico e Tancredo Vittori,
Salvatore Coppola, Orlando e Peppe Nocca i fratel-
li Evaristo, Oreste e Gaetano Pacini con Oscar
Procaccino ed infine
Giggi Raniero Avvisati
ottimo
ebanista in gioventù ma da dieci anni, giornalista e
maestro della fotografia.
Nazarena Pambianco
la sediaria
con i capelli
bianchi, invece impaglia le seggiole lungo via
Conte di Torino a fianco del forno della
sora Maria
.
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NA REGINA SEDUTA SUL MARE
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