Tale fuga dal mondo -come vuole Walter Benjamin- fu propria del
Barocco, in cui la crisi delle certezze rinascimentali sfociò, anche se
solo in rarissimi casi, in un’arte della crisi, mentre nella maggior parte
dei casi -come scrive Guido Morpurgo Tagliabue- sfociò in un’arte
della conciliazione, della soluzione, del risultato facile e artificioso,
ancorché iperbolico. Insomma, l’intellettuale che si formò sul finire
del Cinquecento e massime nel Seicento, fu un intellettuale che, evi-
tando di “sporcarsi le mani” con la realtà, finì per abdicare alla sua
propria responsabilità personale-storica, scegliendo di essere puro let-
terato, o, che è lo stesso, puro ricercatore di una utopica e asettica isola
dell’arte, nella quale potesse realizzare un ideale di vita serena e tran-
quilla. Proprio su tali basi, fiorirono numerose, in quegli anni, le
Accademie, vere e proprie istituzioni letterarie, in cui gli intellettuali
si riconoscevano parte di un gruppo, di un micro-universo cultural-
mente omogeneo. Accademie che, specialmente nel Seicento, sorsero
numerose sia nelle grandi città, sia nei centri di periferia e che espri-
mevano o una volontà di impegno intellettuale e di resistenza ai con-
dizionamenti esterni (
Accurati, Coraggiosi, Illuminati, Infaticabili,
Riformati, Risoluti
), oppure denunciavano l’effettiva situazione di disa-
gio (
Addolorati, Inutili, Negletti, Sfaccendati
), o, infine, avevano scopi
scientifici ben marcati e finalizzati come l’Accademia dei
Lincei
, fon-
data a Roma nel 1602 dal Principe Federico Cesi e che annoverò fra i
suoi membri anche Galileo Galilei, e come l’altra del
Cimento
, fondata
nel 1657, da Leopoldo di Toscana, il cui prestigio e la cui notorietà le
vennero da scienziati quali Vincenzo Viviani, Francesco Redi,
Lorenzo Magalotti, Evangelista Torricelli. A queste due ultime
Accademie seguirono più tardi, a livello europeo, la
Royal Society
di
Londra, costituitasi negli anni quaranta, ma riconosciuta ufficialmen-
te da Carlo II d’Inghilterra solo nel 1662, e l’Accademia
Royale des
Sciences
, istituita nel 1666 dal ministro francese Jean Baptiste Colbert.
Del resto, tale cambiamento dell’intellettuale secentesco era specu-
lare di un’Italia notevolmente mutata -come sottolinea Claudio
Varese- rispetto a quella del Rinascimento: mutata nei centri cultura-
li, mutata nel rinnovato zelo religioso, mutata nelle convezioni senti-
mentali dell’amore che non era più quello illustrato dai poeti della tra-
dizione cortese, ma era quello dipinto e condannato dai predicatori
della Controriforma quindi «non nobiltà, spiritualità, ma lascivia,
voluttà, peccato»; mutata infine nella concezione che l’uomo aveva di
sé stesso nell’universo e che aveva finito con l’accentuare la consape-
volezza della sua piccolezza e del suo smarrimento di fronte al crea-
to.
In questo clima di rinnovamento si inscrissero sia le vicende artisti-
che di Andrea Sacchi, Paolo Segneri e Pier Francesco Mola, sia la sto-
ria politico-economica di Nettuno.
I tre intellettuali in questione, ebbero a che fare con Nettuno, e
quindi parteciparono e contribuirono alla sua storia: Pier Francesco
Mola, piùmarginalmente, e direi, occasionalmente, che non Sacchi e Segneri.
Il primo vi soggiornò il tempo necessario per portare a termine gli
affreschi di Palazzo Pamphilj, il secondo vi ebbe la sua formazione arti-
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Ritratto di Carlo II d’Inghilterra.
Paolo Segneri.
D
AL
C
INQUECENTO AL
S
ETTECENTO