Da tale Breve è possibile evincere, sia direttamente che indiretta-
mente, alcune notizie circa la struttura economica del Castello di
Nettuno.
Il territorio, ancora sul finire del 1500, era quasi tutto boschivo, ster-
poso e quindi incolto, di contro vi era un agglomerato urbano abitato
da poche centinaia di residenti, circondato da mura e da torri, nel cui
centro sorgeva la Chiesa Collegiata di San Giovanni, quasi sicuramen-
te -secondo l’opinione di alcuni storici- edificata sull’altura dove una
volta era stato innalzato il tempio del Dio Nettuno.
Nonostante la gran parte del territorio fosse incolto, il Castello
aveva sviluppato negli anni una discreta economia tale da garantire ai
suoi signori rendite vantaggiose: la coltivazione del grano e dell’orzo,
la raccolta dell’uva, nonché il taglio della legna, la produzione del car-
bone, l’esistenza di una miniera di zolfo da cui si ricavava il vetriolo,
la conciatura delle pelli, la lavorazione della lana e infine soprattutto
la caccia di cinghiali e di capre selvatiche e la pesca che offriva pesci
di ottima qualità, assicuravano buoni guadagni, offrendo, da un lato,
lavoro anche a immigrati che venivano dall’Abruzzo e dal
Napoletano, e, dall’altro, favorendo lo sviluppo di un buon commer-
cio marittimo, proprio perché tali prodotti venivano imbarcati dal
porto di Astura con destinazione Napoli o Pisa.
La posizione geografica del Castello edificato sul mare e la relativa
vicinanza a Roma avevano reso necessaria la costruzione lungo la
costa di postazioni difensive a guardia di possibili assalti per via di
mare, sia ad opera dei turchi che avevano esteso la loro area d’influen-
za dalle regioni africane, alla penisola balcanica, alla Transilvania, alla
Moldavia, alla Valacchia, all’Ungheria, sia ad opera della pirateria
barbaresca dell’Algeria, vassalla del Sultano turco.
Affinché i turchi fossero costretti a rinunciare alle loro mire espan-
sionistiche fu necessario che essi venissero sconfitti a Lepanto nel 1571
dalla flotta della Lega Santa, promossa da Pio V, papa Ghislieri, alla
quale aderirono la Spagna e Venezia sotto il comando di Don
Giovanni d’Austria, fratello di Filippo II e in cui -come vedremo in
seguito- ebbe parte attiva Marcantonio II Colonna, ammiraglio della
flotta papale.
Del resto, prima di questa data, la minaccia della pirateria turca e
barbaresca era tanto avvertita e temuta dallo Stato Pontificio che Pio
IV in un Breve del 10 agosto 1563 aveva insistito a «tener munite le
torri di Anzio, Nettuno, Astura e Cuprolace» contro tale pericolo, e
quindi «di ricostruire la Torre alle Caldane» affidandone la cura a
Marcantonio II Colonna, e autorizzandolo a «riscuotere denaro dalle
terre» interessate, «per mezzo del tesoriere pontificio». Se allora, per
problemi economici, non si dette seguito a quanto aveva ordinato Pio
IV per la difesa delle aree costiere esposte ai pericoli degli assalti dei
pirati che interessavano in quegli anni soprattutto il Circeo e che
annoveravano tra le loro fila figure quali il Luccicali e il Dragut, è pur
vero però, che papa Ghislieri, Pio V, non appena eletto, nel gennaio
1566, ribadì quanto aveva ordinato nel suo Breve Pio IV, obbligando,
questa volta, i signori interessati a contribuire personalmente per le
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Giovanna D’Aragona, moglie di Ascanio Colonna
e madre di Marcantonio.
Marcantonio Colonna.
N
ETTUNO
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LA SUA STORIA