Pagina 47 - NETTUNO LA SUA STORIA

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Papa Martino V.
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Rocco Paternostro
Il Cinquecento
Sei anni dopo la morte di Rinaldo Orsini, viceré degli Abruzzi,
avvenuta, nel 1420, nel palazzo baronale di Nettuno (già nell’845 colo-
nia saracena), il papa Martino V, Oddone Colonna, assegnò quel
feudo, imponendo una permuta agli Orsini che lo detenevano ininter-
rottamente dal 1220, al nipote Cardinale Antonio Colonna. Da allora i
Colonna, tranne due brevi periodi (il primo andò dal 1501 al 1503
quando il feudo passò ai Borgia, il secondo dal 1556 al 1559 allorché
passò ai Carafa), furono signori di Nettuno sino al 1594, anno in cui
Marcantonio Colonna III, figlio primogenito di Fabrizio e di Anna
Borromeo, vendette, per far fronte a ingenti debiti, insieme alla nonna,
sua tutrice, Felicia Orsini, vedova di Marcantonio II morto nel 1584,
Nettuno, Astura e tutte le terre, per 400.000 scudi alla Camera
Apostolica, così come attesta il Breve del 15 dicembre di quell’anno di
Clemente VIII Aldobrandini, con cui il pontefice informava i «diletti
figli della comunità e uomini della […] terra di Nettuno Provincia
Marittima» di tale acquisto.
Oltre a comunicare l’avvenuto acquisto, papa Clemente VIII tenne
ad informare gli abitanti del feudo di Nettuno delle sue intenzioni di
disboscare e ridurre a coltura il territorio acquistato, nonché di voler
ristabilire, anche se solo parzialmente, l’antico porto neroniano. In
proposito così scriveva nel Breve del 15 dicembre 1594:
«[…] E siccome da poco acquistammo il territorio tutto del detto Castello [di
Nettuno], ma quasi tutto boschivo e sterposo e […] incolto, Noi, riflettendo di poter-
lo in parte disboscare ed estirparlo e ridurlo a coltura, a Dio piacente speriamo di
fare, in modo di beneficiare massimamente il pubblico e privato interesse di questa
terra e luoghi circonvicini; e perché abbondino di molto frumento e di tutto quello
che umanamente necessita, e in breve tempo ne usufruirebbero in gran copia gli abi-
tanti dello stesso Castello e perché questo accada al più presto e sicuramente per il
commercio, ristabiliremo almeno in parte il porto dell’antica Anzio, non del tutto
rovinato […]».
Nettuno nella metà del Cinquecento.
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