A tal proposito facciamo un po’ di chiarezza sul fenomeno delle
incursioni saracene, coadiuvati dal testo pubblicato da Rinaldo
Panetta dal titolo
I Saraceni in Italia
: le azioni di pirateria da parte di
diverse popolazioni arabe, che in alcune fasi diventarono una vera e
propria occupazione territoriale, vanno dalla metà del VII sec. al XVIII
sec. ed hanno tutte un comune denominatore, al di là del loro manife-
starsi in un preciso periodo come una vera e propria “guerra santa”:
sono volte cioè a far razzia di beni e di ricchezze, con un’azione
distruttiva di inaudita ferocia, a rapire le donne, a farne prigioniere le
più belle per poi venderle ai notabili arabi, a far prigionieri uomini e
farne schiavi. Resta difficile immaginare dunque che, al seguito dei
pirati vi fossero nuclei familiari saraceni, più ovvio credere casomai
che se donne vi fossero state sarebbero quelle fatte prigioniere.
Ricordiamo a tal proposito le parole del Gregorovius in
“Pellegrinaggi in Italia” quando definisce la città di Nettuno “bruna
e pittoresca, costruita sul mare, celebre in tutto il mondo per la bel-
lezza delle sue donne”… Una cosa è certa: fino all’812 le coste lazia-
li sono le uniche ad essere ancora al riparo dalle incursioni sarace-
ne, come testimonia la lettera scritta da Papa Leone III
all’Imperatore Carlo Magno: “nei nostri confini – egli scrive – tutto
è rimasto illeso e salvo per la grazia di Dio e l’intercessione della
Santa Vergine e per le disposizioni della Vostra prudenza”.
Guarnigioni del Papa si trovavano in quel momento a Gaeta, a
Nettuno, ad Anzio, a Ostia mentre la flotta era di stanza a
Centocelle (oggi Civitavecchia). Proprio da Centocelle inizia l’inse-
diamento stabile dei saraceni nel Lazio; a seguito delle continue
scorribande operate dai Saraceni papa Gregorio IV allestì una spe-
dizione che doveva colpire i musulmani sul loro territorio, l’Africa
settentrionale. A comandare la flotta era Bonifacio conte della
Gherardesca, capitano generale del Tirreno sia per conto
dell’Imperatore che del Pontefice. La spedizione ebbe successo ma
scatenò la reazione furibonda dei Saraceni che puntarono con la
loro poderosa flotta verso il porto di Centocelle, da dove era parti-
to Bonifacio. Dopo due mesi di assedio la città capitolò, i Saraceni
penetrarono nella città e la misero a ferro e a fuoco, massacrando la
maggior parte degli uomini, violando le donne, saccheggiando le
case e le chiese. Correva l’anno 829.
L’anno seguente gli invasori presero a marciare verso Roma, sac-
cheggiarono la basilica di San Paolo sulla via Ostiense e quella di San
Pietro trasformando gli altari in mangiatoie di cavalli; depredarono
devastarono come “un nugolo di cavallette predatrici”; non riusciro-
no però a penetrare nella città di Roma, all’interno delle mura. Ma la
capitale della cristianità, oltre ad essere un simbolo da distruggere,
nell’immaginario dei Saraceni era considerata una fonte inesauribile
di tesori e ricchezze. Un nuovo attacco venne sferrato nell’agosto
dell’846. Ci riferisce il Gregorovius che “S. Pietro cadde in preda alla
furia saccheggiatrice dei Saraceni. L’arca del culto di Cristo, che Goti,
Vandali, Longobardi non avevano osato toccare cadeva ora in preda
ad un branco di corsari africani”.
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Battaglia di Clavijo
combattuta contro i Saraceni nel 930
dalle truppe di re Ramirez di Castiglia.
Incisione raffigurante una veduta della Basilica di
S. Paolo fuori le mura eretta da
Costantino Magno.
N
ETTUNO
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LA SUA STORIA