Pagina 328 - UNA REGINA SEDUTA SUL MARE

Versione HTML di base

Il dialetto nettunese
Il dialetto è un insieme di forme linguistiche che
vengono praticate in zone geograficamente limita-
te. Non è una derivazione dell’italiano, ma una lin-
gua di pari dignità all’italiano, cioè al toscano, che
si è evoluta parallelamente a questo, direttamente
dal latino. In Italia, dialetti e lingua si trovano
sullo stesso piano; riflettono tradizioni e culture
specifiche, possiedono un lessico e una grammati-
ca. L’unica vera differenza sta nella diversa esten-
sione: il dialetto è parlato in un’area di minor
estensione rispetto alla lingua. Un valore partico-
lare al dialetto è stato attribuito solo in tempi
recenti riconoscendogli il valore di bene culturale
prezioso da tramandare. Si deve recuperare la par-
lata locale, la storia è il vissuto di un popolo e fanno
parte di esso i costumi, le abitudini, le tradizioni e
soprattutto il linguaggio che in una piccola comu-
nità si identifica con l’uso del dialetto. L’Italia è uno
dei paesi più ricchi di dialetti nel mondo, conoscer-
lo è sinonimo di ricchezza culturale.
Pubblichiamo alcuni brani di articoli che il
Caffè, rivista sensibile alla storia e alla ricerca dei
dialetti romani e pontini, ha pubblicato nel corso
degli ultimi anni. Tenteremo poi di presentare un
primo elenco di vocaboli nettunesi sperando che in
futuro possano diventare un vocabolario nettune-
se – italiano. Per questo lavoro ha dato un contri-
buto decisivo Gianni Capobianco, la voce di
Nettuno, cantore, poeta, studioso di cose nettune-
si, conoscitore di vocaboli, modi di dire e proverbi
della
perla del tirreno
. Ha raccolto in due cd musi-
cali tante sue canzoni, arrangiate come sempre
dal maestro Enrico Meloni:
Souvenir e Il folclore
.
Espongono con dovizia di particolari la storia e la
bellezza della nostra cittadina e sono entrate a far
parte finalmente del patrimonio culturale della
città dando alla
voce di Nettuno
quel ruolo di
custode della cultura e del dialetto nettunese mai
in discussione. Pubblichiamo a fine capitolo
Nettuno
, vero inno della città ed il brano
O mia
Nettuno
da cui è tratta la frase che da il titolo al
libro:
Una regina seduta sul mare.
Anzio e Nettuno: città vicine, idiomi diversi.
Le parlate di mare.
Anzio nel medioevo subì un periodo di oscura-
mento, a causa delle distruzioni e dei saccheggi
dei pirati saraceni: gli abitanti si rifugiarono
nell’entroterra e nella fortificazione costruita
attorno al tempio del dio Nettuno. Il promonto-
rio si ripopolò nel settecento per opera di Papa
Innocenzo XII e il primo nato a Porto d’Anzio si
registrò nel 1761. Le prime famiglie che si rein-
sediarono nella zona del porto venivano da
Gaeta e dalla riviera Campana (Procida, Torre
del Greco, ecc…). Per questo Anzio non possiede
un vero e proprio dialetto.
La parlata locale è un romanesco infarcito di
contaminazioni campane e del basso Lazio.
Questo idioma locale si sta praticamente
estinguendo insieme alla generazione più
anziana, che era costituita da pescatori.
Ciò che ne rimane infatti è proprio il gergo
dei pescatori locali costituito da termini tecnici
inerenti alla pesca e alle denominazioni del
pesce che si pesca in zona.
Così, ad esempio se andate a comprare il
pesce ad Anzio, chiedete pure un chilo di mac-
carelli, se volete degli sgombri, e qualche rance-
fola, per la granseola o magari un bel bronco, se
vi piace il gustoso grongo.
Altri esempi: i granci, i granchi; la tremola,
la torpedine; la marmora, la mormora.
La pronuncia si distingue per alcune conso-
nanti molto marcate che si trasformano nelle
omologhe consonanti dure: la G per la C, la D
per la T, ecc…
Alcune forme tuttora in uso sono riprese
direttamente
dal romanesco:
ad esempio venghi
per vieni, o quer anziché quel o quello.
A Nettuno, invece, esiste un vero dialetto e
differisce molto da quello che rimane del dialetto
anziate. Questo perché, pur avendo ugualmente
inflessioni e vocaboli tipici del romanesco, essen-
do gli abitanti di origine autoctona ha più asso-
nanze con i dialetti dei
castelli o del basso Lazio.
Come in alcuni casi di
inversione
del verbo
ausiliare: ad esempio jo so’ detto invece dell’ita-
liano gliel’ ho detto o dell’anziate joo’ detto.Tre
soli chilometri di distanza e due idiomi quasi
completamente diversi
( Il Caffè’, del 9/22 set-
tembre 2004, n°57, di Paola Bonanni ).
Per quanto riguarda l’area dei castelli roma-
ni invece è più corretto parlare di dialetti al plu-
rale e non di dialetto unico, come
sostiene
Federica Cerretti, laureatasi in studi linguistici
e filologici con tesi sui testi dialettali genzanesi.
U
NA REGINA SEDUTA SUL MARE
318