Il dubbio sul destino dell'arte, mai come oggi diviene coscienza di un problema che riguarda globalmente il senso dell'esistenza dell'uomo. E intanto una certezza, nella minaccia del caos, quella della sconfitta della forma rispetto alla vita. E ancora la perdita forse irrecuperabile di una dimensione di realtà. Ci ritroviamo in un mondo privo di significati e di riferimenti, dove i significati e i riferimenti si rivelano inadeguati ad una realtà che non corrisponde in alcun modo all'attesa e alla speranza dell'uomo e assistiamo al decomporsi di ogni cosa fino al dissolversi nel nulla in cui si cerca l'ultima dimensione. Ma fuori della vita storica dell'uomo non c'è realtà, nessuna possibilità di salvezza.
L'imperativo morale dell'artista diviene altro, se mai fu diverso. Non fermarsi mai: né nella vita mortale, né nell'opera: provare, esplorare, sempre nuovi orizzonti, nuovi mondi fino agli ultimi confini dell'esprimibile. E' mutato il messaggio dell'opera, segno di un frammento, della segreta lacerazione che consuma e brucia la nostra vita. E' il valore incontrastato che su tutto prevale del presente, a segnare di sé tutto, in una precarietà senza spiragli e fessure. Perciò l'opera d'arte attuale, non deve porsi irraggiungibile, come se fosse giunta al salvo nella rincorsa ansiosa del nostro quotidiano vivere. Consuma il suo itinerario nel mondo, si da in proprio, ferita e protesta nella lacerazione reale, si presenta lurido stendardo, insegna di una civiltà che distrugge se stessa.
Sono idee queste che segnano di angoscia le nostre riflessioni sull'arte contemporanea; indicazioni di uno stato comune, che lo spettacolo quotidiano non riesce a cancellare dentro di noi. E le ritroviamo come misura del lavoro degli artisti più autentici del nostro tempo, di quanti si sottraggono all'industria culturale, per essere ancora nel bene e nel male, nella disperazione e nel coraggio testimoni della realtà. E' il senso dell'inesausta sperimentazione di linguaggi e forme per dar corpo alle visioni che si accumulano dentro di noi e cercano consistenza nelle immagini. Dove va l'umanità? E1 la domanda che domina l'intera ricerca di Lamberto Ciavatta; una ricerca tesa, coerente che ha conosciuto la bruciatura dei suoi carboni, il frangersi dei cristalli, il segno, che trascrive con immediatezza il sussulto della sensibilità e l'emozione più segreta, la sottile meditazione dei graffiti.
E a questo punto conosce e si fa testimone partecipe della nostra stagione all'inferno. Come percezione acuta e dolente dì una condizione infelice, e forse prossima a ricordare la stessa infelicità come un atto vitale. Con patita coscienza sempre più assistiamo impotenti all'inquinamento del mondo in cui viviamo. Ecco il nostro tormento, l'inquinamento come segno di un mondo che non può più essere civiltà. Lo squilibrio ormai irreparabile tra biologia e natura; e ancora l'incapacità a vivere interamente la nostra vita momento di un dramma che si conclude nella contraddizione sempre più evidente tra la società dell'uomo e il sistema. È dentro, di fronte a questo amaro bilancio che forse segna la definitiva decadenza dell'Occidente, il senso di un ancora più radicale fallimento, dell'arte e della cultura; di un'arte e di una cultura che non sono riuscite a nascere; di fronte alla responsabilità di inventare una nuova struttura sociale e dell'uomo, le condizioni di una vita diversa. Hanno avuto paura: della solitudine e del silenzio che sempre sono compagni delle azioni che contano. Hanno cercato il successo e il potere, e così hanno perduto la verità. Per questo l'arte ha perduto il suo centro e è diventata illusione o peggio ancora strumento della corruzione. Misura è stato l'oggi, ma non come totale e attuale impegno al presente, bensì come losca complicità, inutile mondanità, bieca speculazione. Destinata al successo è rimasta estraneata dalla storia.
Lamberto Ciavatta ha voluto affrontare questo tema, come nelle figurazioni medioevali di pesti e di maledizioni, o nei cicli dei Giudizi universali, del Signorelli o della Sistina, non rassegnato a divenire testimone di un inesorabile Trionfo della morte.
Ha ritrovato l'uomo, o meglio la folla del nostro tempo, donne in un coro dove non c'è più la poesia, ma soltanto la contorsione di un urlo finale di fronte alla palude che cresce. Non più case e città, nudi, senza storia, regrediti allo stato d'inizio, o spinti definitivamente verso la notte.
La tela si è sempre più, come sotto l'effetto della radioattività, o di esalazioni venefiche caricata di luci livide e di ombre, fino a sparire nella rigidità di lavagna. E l'artista lotta, con se stesso per vincere lo smarrimento di morte, e con il tempo quasi possa venir travolto ad ogni istante dal fumo che sale; contro l'inquinamento. Non si rassegna a che l'orizzonte della nostra esistenza debba coincidere inesorabilmente da questa livida visione di lavagna, estrema lapide su questo mondo, il nostro mondo, che muore soffocato da questa nebbia e fumo e notte che tutto avvolge come in un sudario di morte e condanna al vuoto.
E come in un sussulto sgorga la parola, che è denuncia e monito; epilogo che conclude il ciclo. Ma resta sospesa, come trattenuta; qualcosa resiste. Ed è ancora speranza.
Dove va l'umanità? Possibile che solo futuro è la morte? Verso un inquinamento totale, dove non si sa più cosa preceda se quello dell'anima segno di una definitiva corruzione dell'uomo, o l'altro che sempre più ammorba l'aria e le acque e porta avanti l'insana distruzione della natura. Perché? Perché il diritto a vivere deve ridursi alla miseria dei nostri giorni; il diritto alla casa nella logica della più turpe speculazione: che mondo è quello in cui viviamo e che dovremmo lasciare in eredità alle nuove generazioni? Possibile che tutto debba risolversi in guerra, morte, miseria, ingiustizia, in questa maledizione che ci toglie il fiato? Gli incidenti, la rapina, la truffa, l'ignoranza, i falsi miti, il vuoto ma anche la resistenza della speranza, dell'intelligenza, dell'amore.
Ecco allora nel ciclo il coro di donne, che come in un'antica tragedia greca rompono nel grido vitale, vince il silenzio, e taglia l'onda nera che sale, estrema presenza dell'amore della maternità. Noi non amiamo per il vuoto. Noi non operiamo per la morte. Non siamo per morire; siamo per essere felici.
Di fronte ai gravi problemi Ciavatta ritrova il coraggio della risposta di S. Agostino. Ad uno che gli domandava come risolvere un problema diceva, se tu vuoi sapere, allora ti dico, attraverso l'umiltà, e poi umiltà e ancora umiltà.
Questo sentimento profondo di rispetto delle cose e dei valori, che è proprio quanto si oppone all'inquinamento. Ciavatta ha fatto sua questa verità, e pur nel tormento dell'ora è andato avanti. E di questo slancio, vo-gliamo^sottolineare il senso; il suo legame con l'impellente esigenza di ritrovare nella storia degli uomini, nello scontro degli uomini con le potenze negative della storia; la ragione fondamentale della propria azione creativa. E1 da questa esigenza che la pittura continua a vivere e a riproporre la propria dinamica, rinnovandosi nell'immutata fiducia delle proprie ragioni, le quali non sono stoli-damente ottimistiche, ma tuttavia sicure, pur dentro i dissidi e gli amari contrasti della storia, di risolvere umanamente i problemi dell'uomo. Anche quando tra queste ragioni e gli eventi, il distacco è troppo profondo perché il terrore del mestiere di vivere e insieme della morte non lo afferri segnando piaghe perenni.
L'età nostra offre il quadro di un mondo alienato, di una società che va alla deriva, di un'umanità che non riesce più a comunicare, mentre sovrastano immani pericoli cui le coscienze si adeguano con propensioni autodistruttive e suicide, rivestite dalle più varie forme ideo-logiche e mondane. L'arte di un artista autentico non può portarne i segni. Ma forse proprio per questo riesce a farsi testimone dell'estremo mistero della vita e affrontare al limite l'idea della morte; ma essa non può essere mai esperienza; soltanto presentimento e anticipazione, che scava dentro la forma, ormai sconfitta rispetto alla vita, e realizzarsi così in una ascesa senza fine. Fino all'ultimo.
Elio Mercuri
BIOGRAFIA
LAMBERTO CIAVATTA nato a Nettuno nel 1908. Diplomato al Liceo Artistico di Roma. Allievo del Prof. Alessandro Battaglia dell'Accademia di Belle Arti di Roma, per la Pittura e del Prof. Duilio Gambellotti per la Scultura. Ha studiato Architettura presso la Facoltà di Roma. Ha allestito una cinquantina di mostre personali in Europa ed in Medio Oriente. Ha esposto ripetutamente Roma-Firenze e Cortina D'Ampezzo (altre personali italiane a Milano, Genova, Napoli, Macerata, Iodi, Bologna, Perugia). Ha esposto in manifestazioni artistiche in Italia ed all'estero (Muenchen, New York, Chicago, Stanford, Philadelphia, ecc.). Sue opere figurano presso Enti Statali e Parastatali italiani e in musei e private collezioni: museo di Noto, Pinacoteca Cittadella Cristiana di Assisi. Litografie: Metropolitan Museum New York, Museo d'Arte Moderna New York, Municipal Gallery Dublino, Museo Reale di Bruxelles, Museo di Haifa, Rijksmuseum di Amsterdam, Museo di Zurigo, Museo di Mosca, Museo d'Arte Moderna di Madrid, Museo Giudad Bolivar-Venezuela.
Collezioni: LL, Maestà Reali del Belgio; Mr. Ike Eisenhower; William Allen (Londra); Prof. Chris Barnard (Città del Capo); Gary Grant; Dott. G.C. Papandreu, ecc. |