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SANTA MARIA GORETTI


NETTUNO

SANTA MARIA GORETTI

Il Testo è tratto da un articolo sul sito del
Santuario di Corinaldo


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L'infanzia

Maria Goretti, terzogenita di sette figli, nacque a Corinaldo, in provincia di Ancona, il 16 ottobre 1890, da Luigi Goretti e da Assunta Canini, poveri ma onesti e religiosi contadini, che vivevano coltivando un piccolo appezzamento di terra. Fu battezzata entro 24 ore dalla nascita nella Chiesa parrocchiale di S. Pietro con i nomi di Maria e Teresa. Madrina fu la zia Pasqualina Goretti. All'età di sei anni, il 4 ottobre 1896, nella stessa Corinaldo, insieme col fratello Angelo, ricevette la Cresima da S.E. Mons. Giulio Boschi, vescovo di Senigallia.


L'emigrazione

Col crescere della famiglia il terreno di Corinaldo si dimostrò insufficiente a provvedere al suo sostentamento. Perciò i Goretti decisero di lasciare il loro paese, al quale erano tanto affezionati, e, verso la fine del 1896, si trasferirono a Paliano, in provincia di Frosinone, stabilendosi in località Colle Gianturco, dove presero a colonia il podere Selsi.
Vi restarono circa tre anni. Dapprima lavorarono da soli; poi,durante il terzo anno, si unirono in società con Giovanni Serenelli, il quale aveva due figli: Gaspare, che presto si separò, e Alessandro. Le due famiglie dividevano lavoro e raccolto; però vivevano ognuna per conto proprio. Nel febbraio del 1900 sia i Goretti che i Serenellì da Colle Gianturco scesero a Ferriere di Conca, a circa undici chilometri da Nettuno, avendovi trovato lavoro presso il Conte Attilio Mazzoleni. Fu loro assegnata una abitazione, che aveva nel mezzo una cucina per uso comune e ai lati tre stanze per ciascuna famiglia. Vi si accedeva dalla strada con una scala in muratura, che terminava, in alto, in un pianerottolo, sul quale si apriva la porta d'ingresso. Attualmente una delle stanze dei Serenelli non esiste più, essendo stata demolita per allargare il vano centrale.


Orfana

Il clima dell'Agro Pontino, allora malsano, spezzò in pochi mesi la fibra robusta di Luigi Goretti, il quale, colpito da malaria e, successivamente, da tifo, meningite e polmonite, morì il 6 giugno 1900, lasciando nella desolazione la povera Assunta, alla quale, prima di spirare, consigliò di ritornarsene alla nativa Corinaldo. L'infelice vedova, temendo che nel paese di origine non avrebbe potuto in nessun modo guadagnare sufficientemente per il sostentamento dei suoi sei figli (uno, il primo, era morto a soli otto mesi di età), decise, a malincuore, di rimanere a Ferriere e di lavorare ancora in società coi Serenelli. Maria, sensibile e affettuosa, ebbe il cuore lacerato per la morte del babbo. Tuttavia con tenerezza più che filiale e con profondo senso cristiano si dette a confortare la mamma affranta dal dolore. Le diceva: "Coraggio, mamma! Che paura avete? Noi ora ci faremo tutti grandi e poi... Dio provvederà"


La Prima Comunione

L'assennata fanciulla all'epoca della perdita del padre, nonostante avesse circa dieci anni, non aveva fatto ancora la sua Prima Comunione. Ne aveva vivissimo desiderio e lo manifestava a sua Madre, ma costei, presa dal lavoro e sempre a corto di denaro, la rimandava a tempi migliori. Di tanto in tanto avvenivano tra le due dialoghi come questo: " Mamma, quando farò la Prima Comunione?... Io voglio ricevere Gesù nel Cuore mio, come la puoi fare, se non sai la dottrina? E poi non ci sono soldi per il vestito e non c'è un minuto di tempo libero." - Ma così non la faccio mai. Io non voglio stare senza Gesù. - Figlia mia, chi ti insegna la dottrina? - Dio provvederà.
A Conca c'è Elvira Schiassi, la guardarobiera dei Signori Mazzoleni, che sa leggere; io, sbrigate le faccende, andrò da lei. La domenica viene qui D. Alfredo Paliani e lui pure me la insegnerà. Vinse la figlia. In undici mesi imparò il catechismo e il 16 giugno 1901, domenica dopo l'ottava del Corpus Domini, insieme con il fratello Angelo ricevette Gesù per la prima volta dalle mani di P. Basilio dell'Addolorata, Passionista, che dal 1899, per incarico della S. Sede esercitava l'assistenza spirituale nelle Paludi Pontine. Il vestito bianco le fu comperato dalla mamma, che volle anche metterle indosso i suoi orecchini e la sua collana da sposa; il cero e le scarpine le furono regalate; il velo le fu prestato.
Per tutto il giorno Maria rimase molto raccolta. Quando rientrarono in casa, la mamma le disse: "Ora dovrai essere più buona, perché hai ricevuto Gesù". Ed ella prontamente rispose: "Si, mamma, sarò sempre più buona". E mantenne la promessa.


Più in alto!

I Goretti, profondamente cristiani, si preoccuparono vivamente di dare una educazione religiosa e sana ai loro figli. La mamma, in particolare, benché analfabeta, fu sempre assidua nell'istillare i buoni sentimenti nei loro cuori, nell'inculcare le massime evangeliche, nell'insegnare i primi elementi del catechismo e le preghiere. Vigilava di continuo che non commettessero peccati, li conduceva alla messa festiva, voleva che tutti i giorni si recitasse il Rosario in famiglia. Maria, che sempre aveva corrisposto alle cure materne, dopo la sua Prima Comunione cominciò a camminare più speditamente nella via della bontà. Volle essere anzitutto l'angelo consolatore della mamma. Le infondeva coraggio e fiducia nella Provvidenza, la ubbidiva in tutto, cercava di alleggerirle il lavoro, pensando alla pulizia della casa, alla preparazione dei pasti, alla custodia dei fratellini, al rammendo delle vesti.Assunta dichiarò più volte che Maria (Marinetta, diceva lei) le obbedì sempre e mai le mancò di rispetto; che ai richiami, per errori involontari, non si ribellò mai e che fu sempre umile e servizievole. Ma anche verso i fratellini fu di una tenerezza squisita. Li assisteva in tutte le loro necessità, li spronava al bene, insegnava loro le preghiere e tutti i giorni, al mattino e alla sera, faceva loro recitare tre Ave Maria. Assunta poté attestare: "Voleva bene ai fratellini e li correggeva nei piccoli difetti. Li sgridava, quando mi disubbidivano... Essi la ripagavano di uguale affetto tanto che, quando li sgridavo o battevo io, ricorrevano a lei". Era molto pia e desiderava ardentemente di ricevere il Pane degli Angeli.
Purtroppo però nell'anno, che trascorse dalla sua Prima Comunione alla morte, non poté accostarsi che quattro o cinque volte alla Mensa Eucaristica. I motivi furono soprattutto due: ella credeva che fosse necessario confessarsi prima di accedere alla Comunione ed il sacerdote, che andava a celebrare a Conca, non aveva la facoltà di rimettere i peccati; inoltre la chiesa di Conca talvolta, in estate, veniva chiusa e per comunicarsi bisognava andare un pò troppo lontano, o a Campomorto o a Nettuno. Questa impossibilità di partecipare al Banchetto Eucaristico costituì un vero tormento per lei, che amava tanto il suo Gesù.
Il giorno della Prima Comunione, uscita appena di chiesa, domandò alla Signora Teresa Cimarelli, sua vicina di casa: "Teresa, quando ci torniamo?". E alla vigilia della sua morte, quando già stava per essere aggredita, supplicò ancora la stessa Cimarelli: "Teresa, domani andiamo a Campomorto? Non vedo l'ora di fare la Comunione!". Che dire del suo amore verso la Santissima Vergine? La mamma mi riferì: "Era molto devota della Madonna. Recitava sempre in suo onore il rosario e lo faceva recitare anche ai fratellini. Ornava con fiori la Sua immagine. Voleva che anche i fratelli ne fossero devoti". Possiamo aggiungere che dopo la morte del babbo alla corona recitata in comune aggiunse ogni giorno un'altra corona in suffragio del caro estinto.
Nessuna meraviglia che nel suo cuore, così attento alle cose celesti, germogliasse il fiore della modestia. Maria era una bella fanciulla. Alta circa un metro e mezzo, appariva precocemente sviluppata per la sua età. Aveva i capelli castani, il volto abbronzato, lo sguardo mite e profondo. Tuttavia era riservatissima e cercava di nascondere il suo volto con un piccolo scialle. Sfuggiva la compagnia di fanciulle un pò libere. Una volta, tornando dalla fontana riferì alla mamma: "Quanto parla male la tale!". Allora la mamma: "E tu perché sei stata a sentirla?". E lei: "Finché non si riempiva la brocca come dovevo fare?". La mamma: "Bada di non ripetere quelle parole". E Maria: "lo, prima di ripeterle, piuttosto mi faccio ammazzare". Anche l'uccisore depose che Maria non si metteva mai in libertà, neppure in piena estate.
A soli dodici anni dunque Maria Goretti, come ebbe a dire Pio XII, era "un frutto maturo" per il cielo, un frutto cresciuto in uno di quei focolari domestici, "dove si prega; ove i figli sono educati nel timore di Dio, nell'obbedienza verso i genitori, nell'amore della verità, nella verecondia e nella illibatezza; ove essi fin da fanciulli si abituano a contentarsi di poco, ad essere ben presto di aiuto in casa e nella fattoria; ove le condizioni naturali di vita e Yaura religiosa che li circonda cooperano potentemente a far di loro una cosa sola con Cristo, a crescere nella sua grazia". Ben giustamente quelli del vicinato ripetevano a Mamma Assunta: "O Assunta, che angelo di figliuola avete!".


Insidiata

La fresca bellezza di Maria, per quanto difesa e nascosta gelosamente, non sfuggì agli occhi e alla sensibilità di Alessandro Serenelli, di otto anni più grande di lei, il quale aveva già il cuore guasto a causa delle cattive compagnie e delle letture piene di fatti scandalosi.
Egli cominciò a nutrire per la fanciulla un vivo affetto, che, non controllato, degenerò in una cieca, morbosa e irrefrenabile passione. Ai primi di giugno del 1902 il giovane fece a Maria proposte insane. Ella, inorridita, le rigettò e fuggì piangendo. Mentre si allontanava, Alessandro la minacciò: "Se fiati, ti ammazzo". Dopo qualche giorno egli la tentò di nuovo, ma fu respinto ancora e con più energia. Confuso e irritato per la resistenza dell'innocente fanciulla, stabilì in cuor suo che la terza volta, se non l'avesse ascoltato, l'avrebbe uccisa. E con fredda premeditazione preparò un punteruolo lungo 24 centimetri.
Da quel momento la vita divenne per Maria un vero incubo.
Alessandro la trattava con durezza, la rimproverava per ogni inezia e la sovraccaricava di lavoro. Ella, da parte sua, evitava di incontrarlo, obbediva in silenzio e si raccomandava incessantemente alla Madonna, stringendo spesso in pugno la corona. Più volte, in quel mese terribile, ripeté alla mamma: "Mamma, per carità, non mi lasciate sola". Glielo disse anche alla vigilia della tragedia. Ma la povera mamma purtroppo non riuscì accogliere il terrore, che si nascondeva dietro quelle parole, e Maria, sola e indifesa, andò incontro al martirio.


Il martirio

Sono le prime ore pomeridiane del 5 luglio 1902.
Le famiglie Serenelli e Goretti sono intente alla trebbiatura delle fave. Sui covoni, distesi per terra, circolano due carri (le caratteristiche "barozze"), trainati ciascuno da un paio di buoi. Uno dei carri è guidato da Angelo Gorretti, l'altro da Alessandro. Altri tre, dei figli di Assunta, si divertono ad osservare e a salire di tanto in tanto sui carri. Giovanni Serenelli è disteso su una balla di fieno ai piedi della scala di casa, perché malato di malaria. Maria è sul pianerottolo, in alto, occupata a rammendare una camicia per ordine di Alessandro, e accanto lei Teresina di appena due anni, dorme sopra una imbottita. Assunta è sull'aia e bada a rimettere sul cammino dei carri, con un tridente, le fave che si sparpagliano.
All'improvviso scoppia la tragedia. Alessandro, che ha già preparato il suo piano, salta giù dal suo carro e, fingendo di dover salire un momento in casa per cose urgenti, dice ad Assunta: "Volete guidare un pò voi, finché vado di sopra un minuto?".La povera donna, non sospettando nulla, acconsente volentieri e sale tranquillamente sul carro col figlio.
Man mano Alessandro percorre in breve i quaranta metri di distanza, entra in camera, pone il punteruolo sulla madia della cucina e, aprendo adagio l'uscio, ordina a Maria di entrare in casa. Ella non risponde né si muove. "Allora confessò in seguito lo stesso Alessandro - l'acciuffai quasi brutalmente per un braccio e, poiché faceva resistenza, la trascinai dentro la cucina, che era la prima camera dove si entrava, e chiusi, con un calcio, la relativa porta d'ingresso col solo saliscendi orizzontale, applicato all'interno.
Essa intuì subito che volevo ripetere l'attentato delle due volte precedenti e mi diceva: "No, no, Dio non lo vuole. Se fai questo vai all'inferno". Io allora, vedendo che non voleva assolutamente accondiscendere alle mie brutali voglie, andai sulle furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla sulla pancia, come si pesta il granturco... Nel momento che vibravo i colpi, non solo si dimenava per difendersi, ma invocava ripetutamente il nome della madre e gridava: "Dio, Dio, io muoio, Mamma, mamma!". Io ricordo di aver visto del sangue sulle sue vesti e di averla lasciata mentre essa si dimenava ancora. Capivo bene che l'avevo ferita mortalmente. Gettai l'arma dietro il cassone e mi ritirai nella mia camera. Mi chiusi dentro e mi buttai sul letto".Le ferite all'addome sono così profonde che una parte dei visceri esce fuori ed è chiaramente visibile. Tuttavia l'eroica fanciulla trova la forza di alzarsi, di aprire la porta e di chiamare Giovanni: "Giovanni, venite su, ché Alessandro mi ha ammazzata".
Più tardi, all'ospedale, i medici riscontreranno in tutto sul suo corpo quattordici ferite con lesioni al pericardio, al polmone sinistro, al cuore, al diaframma, all'intestino tenue, all'iliaca e al mesenterio.Le chiesi: "Marietta mia, che è successo, chi è stato?". Mi rispose: "É stato Alessandro. Mi voleva far fare cose cattive e io non ho voluto".


La lunga agonia

La povera Maria è crivellata di ferite e perde abbondantemente sangue. Sembra già cadavere. Invece sopravvivrà ancora altre ventiquattro ore. Un vero miracolo!
Certamente la Provvidenza lo ha permesso, perché si potessero raccogliere notizie sicure sul suo martirio.Intanto i Cimarelli si prodigano con ammirabile sollecitudine per prestarle soccorso. Antonio e Teresa restano accanto ai Goretti; Domenico corre a Conca per narrare l'accaduto al Mazzoleni; Mario invece va a Nettuno per avvertire i Carabinieri e per chiamare il medico condotto Bartoli. Il Serenelli viene tradotto dai Carabinieri alla caserma di Nettuno.
Maria è trasportata in autoambulanza all'ospedale dei Fatebenefratelli della stessa città. l'accompagna la mamma. Il viaggio è un vero calvario. E stato loro proibito di parlare. Tuttavia la sventurata madre, intuendo le sofferenze della figlia, non può fare a meno di domandarle: "Ci stai male, figlia?". La fanciulla, per non rattristarla di più, risponde di no, però poco dopo domanda a sua volta: "Mamma, ci sta molto per arrivare?". "Ed io narrerà poi Assunta le assicurai che c'era poco".All'ospedale arrivano alle venti.
I medici disperano di salvare la ragazza, ma decidono di tentare operandola. In pochi istanti ella si confessa e va sotto i ferri. L'operazione dura due ore ed è dolorosissima, perché non è possibile addormentarla. Terminato l'intervento, è concesso alla mamma di avvicinarla. "Appena mi vide - riferirà poi Assunta - mi chiamò con accento espressivo "Mamma!". Io, avvicinandomi al suo lettino, le chiesi come stesse ed essa mi rispose "Bene, mamma". Poi volle notizie dei fratellini e delle sorelline e mi domandò se sarei restata con lei la notte. Avendole risposto che il dottore non lo permetteva, mi disse: "E dove vai tu a dormire?". Io la rassicurai. Più tardi mi pregò: "Mamma, mi dai una goccia di acqua?". Le risposi che il medico lo aveva proibito; si rassegnò ed ella per venti ore soffrì l'orribile spasimo della sete. La lasciai che era quasi mezzanotte...
La mattina, prima dell'orario, potei entrare all'ospedale e, rivedendola, le domandai come stesse. Con voce più fioca che nella sera precedente mi rispose che stava bene. Mi chiese inoltre dove avessi passato la notte. Più volte nella giornata mi domandò dei fratellini, che essa desiderava rivedere. Con me c'erano ad assisterla un'infermiera e due Suore dei Poveri. Verso le dieci venne il dottore per curarla.
Nel frattempo arrivarono anche i Carabinieri per sottoporla all'interrogatorio". Intanto le vengono suggerite delle giaculatone ed ella le ripete con fervore.
Bacia più volte il Crocefisso e l'immagine di Maria Santissima. L'Arciprete di Nettuno, Mons. Temistocle Signori, nota in lei un sensibile peggioramento e pensa di amministrarle il Viatico. Per disporla, le parla del perdono, concesso da Gesù ai suoi carnefici.
Poi le domanda: "Maria, volete perdonare anche voi al vostro uccisore?'. Ella prontamente risponde: "Sì, per amore di Gesù, gli perdono e voglio che venga in paradiso con me". Fatta la Comunione, china il capo sul petto e rimane a lungo raccolta, in intimo colloquio con il suo Gesù. Riceve anche l'Estrema Unzione.Il Cappellano dell'ospedale le propone di iscriversi all'associazione delle Figlie di Maria ed ella si dichiara felice di poterlo fare. Le viene posta al collo la Medaglia benedetta e la fanciulla non finisce più di baciarla.
Su proposta dei Carabinieri, la mamma le chiede se il Serenelli l'avesse infastidita anche altre volte ed ella rivela come circa un mese prima il giovane avesse tentato due volte di farle violenza. Allora Assunta, turbata e rattristata, esclama: "Amore mio, perché non me lo hai detto, che almeno non facevi questa morte?". E Maria, scusandosi, risponde: "Mamma, egli giurò che, se l'avessi detto, mi avrebbe ammazzata... intanto mi ha ammazzata lo stesso".


La santa morte

Le condizioni della fanciulla si aggravano rapidamente di ora in ora, sia per le emorragie subite, che per la peritonite settica prodotta dalle ferite all'addome. E debolissima e cade spesso in delirio. Si vede talvolta sotto la minaccia del pugnale e grida: "Che fai, Alessandro? Tu vai all'inferno. È peccato, è peccato".
Talvolta invece si crede stesa sul pavimento e supplica: 'Portami a letto; voglio stare più vicino alla Madonna". Allude alla cara immagine, che tiene appesa sul suo capezzale. In un momento di lucidità invoca: "Mamma, babbo". Assunta abbassa lo sguardo dolorante ed ella, temendo di averle recato dispiacere con il ricordo del padre defunto, le dice: "Perdonami, mamma". Allora la mamma, quasi porgendole l'estremo addio, dolcemente le sussurra: "Marietta, prega per noi... perdona tutti... raccomandati al Signore". Si baciano.Il delirio si fa più frequente.
Ad un tratto esclama: "Che bella Signora!". E come se notasse della incredulità nei presenti, aggiunge: "Possibile che non la vedete? Guardate! E tanto bella, piena di luce e di fiori". Infine si fa preoccupata in volto e, quasi per chiedere aiuto, invoca: "Teresa!" e si abbatte sui cuscini. Il suo calvario è finito.
Sono le 15,45 del 6 luglio 1902. Assunta col cuore stretto in una morsa di dolore torna in famiglia. Racconterà più tardi: "A sera inoltrata io ritornai a Ferriere dai miei figliuoli, che si trovavano in casa Cimarelli, dove rimasi, senza mettere più il piede nell'abitazione di prima, fino a quando non mi trasferii definitivamente a Corinaldo".

Il trionfo

Non appena Maria ebbe chiuso gli occhi alla luce del sole, ci fu nel popolo una esplosione di entusiasmo: "E morta una santa", "Marietta è una martire", "Coraggio, Assunta, vostra figlia è già in cielo".
I funerali furono una vera apoteosi. Vi partecipò una folla immensa con associazioni e autorità venute anche da Roma. L'Arciprete Mons. Temistocle Signori tessé l'elogio della piccola martire in due commoventi discorsi. La Tribuna del 7 luglio ne fece conoscere all'Italia intera la tragica fine, mentre il Messaggero del giorno successivo ne mise in risalto l'incomparabile eroismo.
Due anni dopo, nel 1904, per iniziativa del giornale romano "La vera Roma", le fu eretto, in Nettuno, il primo monumento marmoreo. Nello stesso anno l'avv. Carlo Marini ne pubblicò la prima biografia. Intanto la fama del suo martirio andava crescendo di giorno in giorno e la sua tomba diveniva mela di numerosi pellegrini
.Nel luglio del 1929, presenti la mamma ed altri parenti, il corpo della Santa fu traslato al santuario della Madonna delle Grazie in Nettuno coll 'intervento di una folla imponentissima. in quella circostanza Mamma Assunta ne fece dono ai Padri Passionisti perché lo conservassero, curando contemporaneamente la glorificazione della martire nella Chiesa. Fu composto in uno stupendo monumento marmoreo. opera dello scultore Zaccagnini.
Lo visitarono innumerevoli personaggi anche prima del trasloco; tra gli altri: Mons. Achille Ratti (il futuro Pio XI) prima di partire Nunzio in Polola Signorina Armida Barelli, circa 1.800 Padri del Concilio Vaticano Il e Paolo VI il 14 settembre 1969. Nel 1935 la diocesi di Albano, da cui dipendeva la città di Nettuno, chiese ed ottenne di poter iniziare il processo informativo per la causa di Beatificazione.
Il 6 giugno 1938 uscì il decreto di introduzione della causa stessa presso la S. Congregazione dei Riti. Postulatore ne fu il P. Mauro dell'Immacolata, passionista. Il 4 giugno 1939 si procedette alla ricognizione del corpo.
Finalmente, il 27 aprile 1947, Maria Goretti, con dispensa dai miracoli, fu solennemente beatificata in S. Pietro a Roma da S.S. Pio XII alla presenza della mamma, delle sorelle, Ersilia e Suor Teresa delle Francescane Missionarie di Maria, e del fratello Mariano. Dopo solo tre anni, il 24 giugno 1950, sotto lo stesso Pontefice, ebbe luogo la sua solennissima Canonizzazione.
A causa dell'immensa moltitudine (si calcolarono presenti circa 500 mila persone), la cerimonia si svolse in Piazza S. Pietro, il pomeriggio di un sabato. Ancora una volta era presente la mamma, benché anziana e malaticcia, con i figli. Per l'occasione ritornò dall'America il fratello Angelo (Alessandro era deceduto nel 1917 in America). L'aver potuto rivedere dopo 35 anni questo figlio fu una delle più grandi gioie che Mamma Assunta ebbe in quella circostanza, come ella stessa mi riferì. Il giorno seguente il Papa celebrò un pontificale in S. Pietro in onore dell'angelica fanciulla giolina, Ida e fu consegnata al "conservatorio" di Senigallia. Un giorno dirà con tanta tristezza: "Non conobbi mai i miei genitori, né potei sapere chi fossero". All'età di cinque anni fu adottata dai coniugi Aguzzi Vincenzo e Segoni Maria, contadini di Corinaldo. I due erano dei buoni cristiani, le vollero bene e le dettero una seria educazione conforme alla loro fede. A venti anni, il 25 febbraio 1886, sposò, a Corinaldo, Luigi Goretti. Era povero, ma buono, onesto e amante del lavoro. Il 26 gennaio 1929 fu presente all'esumazione dei resti mortali di Maria, fatta nel cimitero di Nettuno, dove la fanciulla era stata sepolta dopo la sua morte. Essi furono riposti provvisoriamente nella cappella delle Suore della Croce. Il 28 luglio 1929, come si è detto, furono trasferiti in modo solenne nel santuario di 5. Maria delle Grazie, retto dai Padri Passionisti. In quella occasione Assunta, in riconoscenza per quanto essi avevano fatto in favore della figlia, donò ai Padri stessi ben volentieri il corpo di Maria. Dopo la beatificazione confermò con atto notarile il dono fatto nel 1929. I Padri, a loro volta, promisero che avrebbero promosso e curato la canonizzazione della giovane, se ciò fosse stato di gloria a Dio. Il 26 successivo fu ricevuta ufficialmente in udienza privata da S.S. Pio XII, che, accogliendola, disse: "Ecco la mamma di una martire" e che la intrattenne affabilmente per venti minuti. Era la prima volta che un papa riceveva la madre di una santa.
Visse ancora quattro anni. Molti pellegrini, desiderosi di renderle onore e di conoscere particolari inediti su Maria, andarono a farle visita ed ella li accolse sempre con cortesia, cercando di accontentarli in tutto. Ma intanto il fisico si andava logorando celermente. Il 7 ottobre 1954 ricevette l'estrema unzione ed il giorno seguente passò serenamene all'eternità. Aveva compiuto da circa due mesi gli 88 anni. Ai suoi funerali intervennero autorità civili e religiose, tra cui sette Vescovi e un Rappresentante del Governo. Era presente inoltre una grande folla di sacerdoti, di religiosi e di fedeli.
Assunta si può definire veramente una "donna forte", quale la descrive il libro sacro dei Proverbi. Aveva sortito da madre natura un carattere quasi duro, autoritario, ma seppe dominarlo, ingentilirlo, addolcirlo. Fu perciò ferma senza essere ingiusta, autoritaria senza essere dura. All'occasione riusciva ad essere affabile, mite, cedevole. Nella lunga vita incontrò innumerevoli difficoltà, ma le superò tutte con la pazienza, la fortezza, la perseveranza. A soli 36 anni rimase vedova con sei figli da mantenere. Dopo la morte di Maria ritornò a Corinaldo. La povertà, che le era stata sempre compagna, sembrò allora trasformarsi in estrema miseria. Si sentì sola, senza lavoro, senza un quattrino. Mi confidò una volta: "Per un pò di tempo dovemmo dormire in una stalla accanto all'asino". Affrontò tante penose prove con cristiana rassegnazione e con ferma fiducia nella Provvidenza, la quale, a dire il vero, per varie vie e nei modi anche più impensati, le andò sempre incontro.


Alessandro Serenelli

Alessandro nacque a Torrette di Ancona nel 1882. Perdette presto la mamma. "La mia prima disgrazia fu quella di non avere una mamma", dirà egli stesso al processo ecclesiastico di Albano. Fece la prima Comunione a 12 anni.
Nel 1897 si trasferì con il padre e col fratello Gaspare a Paliano in cerca di lavoro. Il padre, sempre assillato dal problema economico, poco curò la sua formazione religiosa e morale. Giovanissimo frequentò a Torrette compagni licenziosi, che gli corruppero il cuore. Le letture cattive fecero il resto. Nei tempi liberi infatti leggeva il Messaggero e la Tribuna illustrata in cerca di notizie di cronaca nera e di immagini oscene. Di questo ritagliava le più piccanti per adornarne la sua camera. La mancanza dell'affetto materno, una educazione più che superficiale e le letture difatti immorali fecero sì che in lui le passioni perverse prendessero il sopravvento.
Al processo penale fu riconosciuto responsabile del delitto commesso e condannato a trenta anni di reclusione, di cui cinque in cellulare. Non gli fu assegnato l'ergastolo, perché minorenne. Nel quarto anno del tremendo cellulare ebbe un sogno, che egli così raccontò: "Idee sempre più violente di disperazione mi turbavano la mente, quando una notte faccio un sogno: mi vedo davanti a un giardino e in un riquadro, tutto di fiori bianchi e gigli, vedo scendere Manetta, bellissima, biancovestita, la quale, man mano che coglie i gigli, me li presenta e mi dice: "Prendi" e mi sorride come un angelo. lo accetto quei gigli fino ad averne le braccia
Fu dismesso dal carcere nel 1929, avendo avuto il condono di tre anni della pena. Trovò una discreta occupazione al paese nativo e cercò di compiere coscienziosamente il suo dovere. Tuttavia, sospettato di un reato, perdette, benché innocente, il posto di lavoro.
Respinto dai familiari e dal mondo, fu assunto, come ortolano, dai Padri Cappuccini di Ascoli Piceno, coi quali rimase fino al 1956. In quell'anno, resosi inabile al lavoro, fu mandato dai Religiosi nella loro casa di riposo a Macerata, dove soggiornò fino alla morte, avvenuta il 6 maggio 1970.
Passò gli ultimi anni in grande raccoglimento, pregando e accostandosi ai Sacramenti con ammirabile fervore. Nel 1961 stese il suo testamento, che vale la pena di riferire:

<< Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia giovinezza infilai una strada falsa: la via del male, che mi condusse alla rovina. Vedevo, attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi, che la maggior parte dei giovani seguiva quella via senza darsi pensiero ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta, che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent'anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l'angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore. Seguirono trenta anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice. Col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I Figli di San. Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come servo, ma come fratello. Con loro convivo dal 1936. Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio Angelo protettore e alla sua cara mamma Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione con i suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, l'unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita. Pace e bene!.>>



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