Il saggio che si propone non vuol essere una sintesi, nè un estratto, ma un'introduzione al più vasto studio condotto, su questo quadro d'autore, negli anni settanta; d'altronde ciò avrebbe richiesto uno spazio più ampio, per il fatto che, studiando l'opera nella sua giusta luce, il lavoro è andato via via articolandosi su diverse linee per gli spunti e suggerimenti che ha offerto, per i dubbi che ha posto, per l'interesse che ha suscitato.
Entrati in Nettuno si poteva leggere un segnale turistico: "Castel Sangallo - XV secolo".
Ben visibile l'insegna, molto meno il castello infossato e in gran parte coperto dall'edera e dagli alberi; prospetta del resto su una via a scorrimento veloce, seppur prossima alla piazza centrale, e dal livello stradale è possibile rilevarne solo il coronamento degli spalti superiori.
Totale invece, la vista del prospetto dalla parte del mare, da dove si gode una immagine della sua vetusta ed obsoleta magnificenza che forse strappa, nella stagione estiva, solo qualche occhiata ai distratti bagnanti.
Il Castel Sangallo, "espressione perfetta del nuovo sistema fortificatorio" di uno dei più valenti architetti in questo campo, attende di essere restituito all'antica dignità quale "prototipo" dell'architettura militare dell' ultimo scorcio del '500; primato mai riconosciuto o, da parecchi studiosi, affermato con voce troppo fievole.
La costatazione di fatto, che subito risalta da una visita sul luogo, è quella di un monumento dimenticato dal mondo della cultura, (tra l'altro non figura nella recente emissione di francobolli sui castelli d'italia) visto lo stato di abbandono, in cui tutt'ora versa, è insomma un'esperienza deludente toccata a molti. A ciò si potrebbe, intanto, ovviare presentando al pubblico un'opera che illustri - convenientemente - la storia del castello e poterne valorizzare almeno la memoria.
Affermare che il castel Sangallo è "espressione perfetta" e "prototipo" vuol dir poco se non si dimostra l'evoluzione strategica del "fronte bastionato" e perché nel tipo di Nettuno perviene a una fase mai più superata.
Un'opera del genere va inserita nel suo contesto storico illustrata una cartografia, a quel tempo, costituita spesso da mappe contraffatte.
Attribuire la paternità del castello è possibile solo attraverso il rilievo inserendolo nella castellologia del '500 e rapportandolo alla produzione martiniana e sangallesca per le affinità stilistiche e matrici comuni di derivazione.
Capire l'uso - incompatibile - di bastioni evoluti in un impianto - superato - quadrato è possibile raffrontando le piante attuali con quelle antiche, operazione che pone per di più l'ipotesi che il "mastio" fosse in origine una torre costiera poi inglobata nel circuito delle mura.
Il carattere fortificatorio di inespugnabilità e il valore artistico viene risaltato e avvalorato da quei particolari architettonici apparentemente nascosti.
E' possibile ricostruire la sua storia, i restauri e i rimaneggiamenti, anche attraverso la lettura degli stemmi qui presenti; e per poter sottolineare ulteriormente il suo primato, non può essere eluso il parere di eminenti storici, oltre ai già noti Rocchi e Guglielmotti.
Una rappresentanza del Consiglio Provinciale effettuò, nel '78, un sopralluogo tecnico-estimativo per poter valutare una possibile acquisizione, ma superato il ponte levatoio, si provò la solita delusione nell'accertare lo stato fatiscente del castello e la scarsa capacità recettiva, tanto che non si è ancora approdato a nulla.
C'è da domandarsi se potrà mai esserci qualcuno interessato o qualche ente che possa rilevare questo illustre sconosciuto, quanto inutile vigile della costa, e possa avviare un'opera di ripristino; e se ha un senso impegnare capitali per questi manufatti, che dopo tutto non si apprezzano quando problemi sociali di più impellente importanza battono alla porta inesorabilmente irrisolti: aborto, fame, lebbra, guerra, inquinamento; quando occorre rimuovere grossi ostacoli, come la mancanza di principi culturali e dì sensibilità artistica, per riconoscere le bellezze architettoniche poterle rispettare come tali; quando ci resta ancora difficile imparare a rispettare l'uomo.
Le innumerevoli indelebili offese arrecate all'ambiente e ai monumenti testimoniano infatti l'incapacità di un mondo praticistico chiuso in una concezione dell'utile e dell'economia, duro ad intendere i valori dell'arte degli uomini e della natura.
E' ravvisabile una esigenza dell'arte in una società tecnologica?
Il prof. Renato Bonelli sosteneva già nel '59 che "La cultura deve affrontare il compito più arduo che essa abbia mai avuto:: quello di riconquistare l'uomo ad una integrità di vita, nella quale completa il bisogno e il godimento dell'arte, e in essi la propria completa umanità" (1).
Sembra la professione di una fede.
Troppo nobile ed impegnativo il proposito?
Anche l'arte può edificare la personalità umana, arricchendola ed elevandola al di sopra degli interessi materialistici, al di sopra delle passioni. Era infatti ritenuta tale quando operava la cosiddetta "catarsi".
Ed è in questa fase che l'arte assume un valore d'interesse sociale. In quest'ottica si può capire la necessità, il bisogno di proteggere i beni culturali; ne trarrebbero vantaggi gli uomini, la cultura, il turismo.
Il castello dei Borgia ci propone questi vantaggi, non tralasciando prima alcune operazioni.
Prima operazione: restituire l'opera architettonica al "suo mondo storicamente determinato", reinserendola nell'ambiente in cui è sorta.
Seconda operazione: liberare l'opera d'arte dagli interventi secondari e posticci che camuffano ed alterano la lettura dell'impianto primitivo, ripristinandone il valore culturale che il tempo e le vicissitudini trascorse stanno definitivamente compromettendo.
Prima di qualsiasi valutazione sullo stato attuale del castello sarà quindi necessario conoscere i diversi interventi su di esso effettuati nel corso della storia: importanti opere di restauro furono eseguite al tempo di Paolo IV Carafa con Piero Strozzi (1557). Sotto i Colonna al tempo di S. Pio V (1569); sotto Paolo V Borghese (1617-18); Alessandro VII Chigi circa il 1660; Pio VII (1800-23); neI 1920-21 proprietario il barone Fassini; circa il 1938 proprietaria la principessa E. Barberini-Frankeinstein; gli ultimi lavori ne 1967-8 per l'Immobiliare Sangallo attuale proprietaria del Castello (2).
Ma quale il peso dell'intervento -1920- "in stile" non poco fuorviante per gratuite ricostruzioni? Come interpretare e con quale criterio è stato condotto il "restauro" del 1967, dove sono state operate gravi alterazioni?
Una proposta. Al di là di inutili recriminazioni o rimpianti è auspicabile che gli enti pubblici risolvano al più presto la trattativa per l'acquisto del castello perché venga tolto dallo stato di abbandono e di ulteriore degrado in cui tuttora versa. Il restauro dovrebbe indirizzarsi su due linee.
Presupponendo la necessità per Nettuno e per il Comprensorio di istituire un "Centro culturale polifunzionale", è urgente un primo intervento restaurativo finalizzato unicamente alla sua conservazione fisica ed alla esaltazione dei suoi valori storico-artistici tale che possa, al momento più prossimo, cominciare a trasmettere il suo messaggio culturale.
Il secondo intervento di destinazione d'uso che consenta nel contempo l'acquisizione dei valori del monumento stesso offrendo, possibilmente, discreta ospitalità alle eventuali destinazioni museografiche e non, da armonizzare al retaggio culturale del luogo.
Augurabile per questo il recupero della statuaria qui dissepolta che ora arricchisce di pregevoli opere famosi musei quali: il Nazionale, il Capitolino, il Louvre, il British Museum.
Lo stesso G.G. Winkelmann (3), venuto in questi luoghi al seguito del cardinale Alessandro Albani, ha attinto e classificato un ingente materiale archeologico per la sua opera "Monumenti antichi inediti" (1767). A ciò il Soffredini aggiunse che i manoscritti della famiglia Albani avrebbero potuto spargere molta luce intorno agli oggetti rinvenuti, qualora non fossero stati venduti all'antiquario Teodoro Mommsen che li perdeva in mare mentre venivano trasportati in Germania.
Grave e barbaro, in verità è stato il depauperamento e il depredamento, ancor oggi operato ai danni del patrimonio archeologico locale.
Nel castello potrebbero essere accolte, e avere migliore sorte, tutte quelle opere qui riportate alla luce che giacciono risepolte nei magazzini delle BB.AA., come pure preziosissime collezioni di privati.
Tra le varie utilizzazioni, potrebbe essere ospitato un "Archivio storico comunale" una "Biblioteca" specifica per settori della cultura, ad esempio di Storia e di Storia dell'arte. Inoltre possono trovare sede emeriti "Istituti culturali" locali - già esistenti o nascenti in omaggio ai grandi uomini che Nettuno annovera tra i suoi figli -; è ricavabile pure un ambiente spazioso per convegni rimovendo i tramezzi che servono a moltiplicare i vani.
Nelle ali degli spalti superiori potrebbero essere sistemate le residenze del custode e dell'amministrazione, e nei piani inferiori una sala per mostre audiovisive dove tra l'altro, verrebbe illustrata tutta la problematica del castello inserito nella sua tormentata storia.
Cesare Puccillo
1) "Il restauro come forma di cultura" in "Architettura e restauro'., Venezia 1959. da "Teoria e cultura del restauro dei monumenti e dei centri antichi" di F. Guerrieri, Firenze 1974, pag. 157.
2) Per un esame più dettagliato si può confrontare nell'A.S.R.: Camerale III, bb 1485-6, 1490.
3) In occasione dei lavori per la costruzione della omonima villa cardinalizia (1 731-35).
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