In una sala del palazzo municipale di Nettuno si conserva una pregevole tela raffigurante un suggestivo quadro di vita aulica rinascimentale (1).
Si tratta della rappresentazione del poeta Antonio Ongaro (1560-1593) mentre declama, dinnanzi alla corte dei principi Colonna raccolta nell'ampio salone dell'omonimo palazzo baronale di Nettuno, i versi del suo poema L'Alceo prima favola elegiaco-pescatoria della letteratura italiana scritta a imitazione del più famoso Aminta - la favola pastorale del Tasso - per cui venne chiamato "Amynta madidus" (2).
Che l'Ongaro svolgesse i temi della sua poesia in armonia con lo stile tassiano non meravigli perché in quello scorcio di secolo la popolarità del Tasso e della sua produzione letteraria erano ampiamente conosciute. D'altronde, anche oggi, se vogliamo indicare una poesia particolarmente rappresentativa di quell'epoca di tardo rinascimento e di riforma cattolica non rimane che ricorrere a quella del Tasso.
Malgrado ciò L'Alceo per la scioltezza e l'"eleganza del verso", (3) per la "dolcezza e la naturalezza dello stile", (4) per la "molta leggiadria messa in opera" (5) pose presto il suo autore in primo piano nel mondo letterario d'allora e non solo in quello italiano.
Ricordiamo che il breve poema venne tradotto e pubblicato in Francia già nel 1596, (6) cioè due anni prima dell'Aminta (7) e come, ancora nel 1648, il nome dell'Ongaro godesse molta stima in quel paese tanto che Valentin Conrart, fondatore dell'Académie francaise, in una sua opera lo elencava al primo posto fra i migliori poeti italiani allora in voga (8).
Di questo poeta, dalla vita intensa e breve, conosciamo poco. Egli, tutto preso a illustrare le gesta delle varie casate italiane presso le quali prestò i suoi servigi, di sé ci parla appena nei suoi scritti e poco ci hanno tramandato i suoi contemporanei.
Sappiamo che nel 1578, ultimati gli studi in giurisprudenza presso l'Università di Padova, (9) con lo spirito volto sempre alla poesia, venne a Roma. Nel corso del soggiorno romano l'Ongaro prese a frequentare le eleganti corti principesche ancora popolate di un gran numero di letterati e di forbiti accademici e qui avvenne l'incontro con un qualche principe della famiglia Colonna desideroso di avere presso di sé un poeta giovane ma di sicuro avvenire - l'Ongaro era poco più che diciottenne - il quale celebrasse nei suoi scritti le gesta e le glorie della sua famiglia e l'intrattenesse piacevolmente in occasione di sfarzosi ricevimenti e feste organizzati spesso per scopi politici e militari.
All'Ongaro non parve vero di trovare così presto un impiego anche favorevole alla sua naturale predisposizione letteraria. Per questo accettò subito l'invito del Colonna e con lui andò a Nettuno e venne ospitato presso il palazzo baronale nel cuore di un caratteristico borgo medievale, racchiuso da solidissime mura, posto su di una rupe che precipita sul mare e a due passi dalla Chiesa di S.Maria e ora di S. Giovanni Battista.
Per la validità dei suoi versi, per la ricerca di un genere letterario più elevato, per la spiccata personalità interiore l'Ongaro s'era posto al di sopra di quella massa cortigiana e adulatrice che prosperava all'ombra delle corti per assicurarsi pane e alloggio senza eccessiva fatica ma, spesso, con molte umiliazioni in quel difficile e travagliato momento storico. Di questo ambiente il poeta conosce bene ogni più segreto aspetto e ce lo descrive in certi suoi versi satirici rivolti a Francesco Panicarola (1548-1594), famoso predicatore e Vescovo d'Asti:
Non è Re, Duca, Conte, nè Marchese,
il qual non faccia a una lunga frotta
E di buffoni e di ruffian le spese,
E per questo la gente è scaltra e dotta
In tal mestier che seguita quell'arte,
Per la quale s'acquista la pagnotta... (10)
Molto probabilmente l'Ongaro era andato a Nettuno al seguito del quasi coetaneo Fabrizio Colonna (1557-1580) primogenito del famoso condottiero Marcantonio il quale aveva portato al successo, nel 1571, le armate cattoliche nella battaglia navale di Lepanto contro i turchi. Quel Fabrizio che, nel maggio del 1562, all'età di soli cinque anni, veniva fatto sposare, ovviamente per soli scopi politici, ad Anna Borromeo di dodici anni, sorella del cardinale Carlo, per favorire i tesi rapporti avuti con il papato dalla famiglia Colonna sino all'elezione di PioIV (11) e per ovviare, in favore di Marcantonio, la restituzione del palazzo dei SS. Apostoli in Roma, della villa annessa e di altri beni (12).
L'Ongaro si trovava ancora a Nettuno quando, nel 1580, improvvisamente morì Fabrizio e in quel triste avvenimento scrisse un sonetto d'occasione che è l'unico rivolto a un personaggio della famiglia Colonna. Se da una parte questo ci fa comprendere come il poeta dedicasse tutto il tempo della sua permanenza nella cittadina tirrenica per comporre la sua favola, d'altro canto ci fa anche presumere con buona approssimazione che il suo soggiorno a Nettuno non dovette essere eccezionalmente lungo e cioè dalla fine del 1578 ai primi del 1581.
Ma ecco i versi in "Morte di Fabritio Colonna" (13)
Gloriosa Colonna, onde attendea
Il gran nome Latin gloria, e sostegno,
E co 'I valor di cui sovrano, e degno
L'antico Impero ei ricovrar credea.
Già l'empio serpe oriental temea;
A la forza congiunto in te l'ingegno;
E più d'una Provincia, e più d'un Regno
Alto terror de la tua spada havea.
Già ti destavi ad alte imprese, e quando
Salir dovevi in Campidoglio, cinto
Di cattivi tiranni il carro intorno.
Morte di te trionfa; anzi tu vinto
L'esercito di vitij trionfando
Fai giovinetto Alcide al Ciel ritorno.
All'arrivo nella residenza dei Colonna l'Ongaro aveva già nella mente le linee principali del suo poema che si sarebbe snodato in un prologo e in cinque atti seguiti ciascuno da un coro.
Già da qualche anno, estate 1573, nell'isoletta fluviale di Belvedere sul Po presso Ferrara, ove sorgeva la splendida villa Ducale degli Estensi, era stato rappresentato l'Aminta di Torquato Tasso dinnanzi ad Alfonso II° e alla sua corte (14). Dell'avvenimento ne era venuto a conoscenza anche l'Ongaro che sicuramente possedeva una copia manoscritta della favola tassiana in quanto questa venne stampata solo nel 1580, a Cremona, da Cristoforo Draconi (15). D'altronde il Tasso sapeva che giravano, per l'Italia, diverse copie non autorizzate del suo ultimo poema e di ciò se ne lamentava pubblicamente (16).
L'ambiente marino nettunese influenzò l'Ongaro perché nel costruire la trama della composizione letteraria collocò i pescatori ove il Tasso aveva rappresentato i pastori. Nacque così la favola "pescatoria".
Il poeta, in cerca d'ispirazione, si sarà più volte incamminato in lunghe passeggiate nel seno lunato che corre dalla punta dì Astura al capo d'Anzio e, in barca, sino al Circeo (17). Era questo uno dei tratti più pittoreschi della costa: uno splendido mare, una spiaggia rocciosa e, alle sue spalle, una boscaglia verdeggiante di pini. Inoltre, disseminati qua e là, una serie di ruderi, di monumenti antichi, di ville, di templi (18).
Di fronte alla bellezza di questo spettacolo il poeta rimase dapprima incantato, poi comprese che era quello l'ambiente ideale per collocarvi il suo poema. Eccolo tornare al palazzo e chiudersi nella sua stanza.
I personaggi e le scene che da lungo tempo ricorrono nella sua fantasia sgorgano ora fuori e, a poco a poco, pagina dopo pagina, la favola prende forma e si anima nello snodarsi dell'invenzione fantastica della trasfigurazione poetica, nella descrizione di luoghi che stanno fra il visto e l'immaginato.
"La scena si finge ne i lidi dove fu già Antio, dove è hora Nettuno Castello de i Signori Colonnesi" (19) e l'azione si svolge in un sol giorno.
Il pescatore Alceo
...ch 'è prima gloria e ornamento
Di questo mar, che nacque nel castello
Che dal gran dio de l'onde ha preso 11 nome,... (20)
ama la leggiadra Eurilla ma, inutilmente, perché essa
...Piena di fasto, e d'alterezza
Tumida incede, e lui disprezza, ed have
Fuor che le sue bellezze, ogn 'altro a schivo... (21)
Nè a nulla servono le parole che, in favore dell'amico Alceo, Alcippe rivolge alla giovane:
...Che donna senz'amante è appunto come
Nave senza nocchiero in gran tempesta... (22)
e l'amore
...che con eterna legge
Il tutto informa, e regge. ..(23)
continua a suggerire ad Alceo i toni più accesi, le espressioni più profonde del suo cuore
...ma me mille volte
lndarno Amor la sua faretra spese... (24)
Quand'ecco che, un giorno, Eurilla mentre sugli scogli pesca in compagnia di altre giovanette improvvisamente cade in mare e viene messa in salvo da Alceo. Anche questo non basta perché la bella Eurilla accetti il devoto amore del pescatore il quale torna a rivolgerle poetici versi quando la fanciulla gli appare con la nascente aurora:
Ambedue vi mirava, e non sapeva
Scerner qual di voi due fosse più bella;
E più volte credei che tu l'Aurora
In terra fossi, ed Ella in cielo Eurilla... (25)
Il disperato Alceo, viste vane le sue preghiere, decide di uccidersi e dall'alto d'una rupe si getta in mare. Quando tutti lo danno ormai per morto, viene casualmente salvato da alcuni pescatori e portato a riva presso la quale Eurilla piange, solo ora che lo crede morto, l'acerba scomparsa del giovane innamorato.
...Eurilla, come
Ebbe veduto lui, spiccato un salto,
Entrò nel legno, e cadé tramortita
Sopra lui, dà begli occhi un rio versando... (26) .
"... Alceo, non riconosci
Colei che sì t'offese? Eccola, prendi
Di lei qual più ti par degna vendetta".
Al petto allor se la strinse Alceo,
E per risposta, in vece di parole
Le rese mille dolci abbracciamenti... (27)
La favola venne rappresentata pubblicamente a Nettuno, "nel Castello de' Signori Colonnesi" con la partecipazione di vari attori nel 1581 (28) dopo di che il poeta abbandonò Nettuno e ritornò a Roma. Quando esattamente ciò avvenne e per quali motivi non è dato saperlo. È probabile che l'Ongaro abbandonasse la corte dei Colonna per il suo carattere indipendente e per la smania giovanile di vagabondare in cerca d'avventure. Come già detto l'Alceo Venne rappresentato nei primi mesi dal 1581 perché nell'agosto dì quell'anno l'Ongaro era già a Roma ospite dei fratelli Girolamo e Michele Ruiz ai quali dedicò la favola (Di Roma, il dì 25. di Agosto 1581) che venne poi pubblicata a Venezia l'anno successivo da Francesco Ziletti (29).
Lo spirito di questo breve scritto non ci permette di soffermarci sulla raffigurazione della personalità dell'Ongaro. I toni di passione, di vigore o di prostrazione improvvisa, ancora intensamente vivi nella sue liriche, frutto dei suoi sentimenti intimi, fanno assumere alla sua persona un rilievo umano e patetico, reazionario e sottomesso a un tempo.
Il poeta si trovò a vivere nell'arco di un periodo dì tempo certamente non favorevole. Il Rinascimento, espressione luminosa della cultura letteraria e artistica d'Italia, era ormai al tramonto. La riforma cattolica, dopo il Concilio di Trento, condizionava gli scrittori e li privava della necessaria libertà di espressione, mentre un'atmosfera di passioni religiose e sociali arroventava gli staterelli italiani.
Non ebbe la fortuna dì vivere per lungo tempo presso corti insigni nè di risiedere in città ove la vita culturale fosse maggiormente seguita e aiutata. Ma non fu, per questo, un mediocre.
Nel breve corso della sua vita - morì appena trentatreenne - comprese il suo tempo e le sue contraddizioni, visse modestamente in un'esistenza sicuramente diversa dalle sue aspirazioni di letterato. Seppe svolgere anche mansioni di scrivano, segretario, giudice, meritandosi in ogni occasione la fiducia dei principi presso cui lavorava, ma ebbe sempre nel suo cuore la poesia e di ciò se ne fa quasi una colpa laddove scrive: <<essere poco dicevole a un giovanetto par mio che faccia professioni di leggi, attendere alla Poesia" (30).
Per il suo carattere ora quieto e ora impaziente, sgomento o intrepido, diffidente o fiducioso fu un essere tormentato e instabile segno anche lui di un tempo che non risparmiò nemmeno il Tasso.
Pochi hanno curato le sue memorie e i suoi versi, e il suo ricordo è svanito a poco a poco. Il ricordo di lui morto giovane d'anni ma vecchio per fama.
Romualdo Luzi
NOTE
(1) lI monumentale quadro a olio è opera del nettunese Giuseppe Brovelli Soffredini il quale scrisse, fra l'altro, una piccola monografia dal titolo Antonio Ongaro, la sua cittadinanza (Nettuno) ed il suo poema (Roma, 1911, pp. 16) purtroppo introvabìle.
(2) Fu l'umanista G.V. Rossi - latinizzandosi in Jani Nici Erythraei - a bollare con questo appellativo la favola deIl'Ongaro nell'opera "Pinacotheca imaginum... (Colonie Agrippine, 1645-48, vol, I, p. 166) pur riconoscendo l'Ongaro a poèta perfacetus ac dulcis".
(3) Tiraboschi G., Storia della letteratura italiana, Milano, 1822, Torno VII, p. 1927.
(4) Wiese-Percopo, Storia della letteratura italiana, Torino, 1904, p. 366.
(5) Bisso GB., Introduzione alla volgar poesia, Roma, 1777, p. 373.
(6) L'Alceo venne tradotto e pubblicato a Parigi da Roland Brisset sotto il titolo Alcée, pescherìe au comedie marine.
(7) Rouen, Villain, 1598 (Cfr. Storia della letteratura italiana, Milano, Garzanti, 1966, voI. IV, p. 749).
(8) Conrart V., Lettres familieres a Mr.Felìbien, Parigi, 1681, p 181.
(9) Lelj C., Voce Ongaro A., in Dizionario letterario Bompiani, 1969, voI. III, p. 18.
(10) Biblioteca Apostolica Vaticana, Mss. Chigi M.V 101, f. 31.
(11) Colonna P., I Colonna..., Roma, 1927, p. 216.
(12) Colonna P., op. cit., p. 217.
(13) Ongaro A., Rime, Venezia, Ciotti, 1620, p. 146.
(14) Caretti L., Ariosto e Tasso, Torino, 1970, p. 168.
(15) Caretti L., op.cit.
(16) AA.VV., Tasso, Milano, Mondadori, 1968, p. 36.
(17) L'Ongaro scrive nell'Alceo: ...Abbiam veduto verdeggiar le selve,!... biancheggiar la cima/Al monte che da Circe ha preso il nome.. (Atto 10-Scena 2k', versi 272/274) - La citazione dei versi deIl'Alceo è riferita - qui e appresso - all'edizione Volpi-cominìana della favola (Padova, 1722) ove, per la prima volta, i versi sono stati numerati.
(18) Nel prologo del poema Venere recita (Versi 12, 13, 14): "scendo oggi dal Cielo in questa parte/Dove serba i vestigj e le ruine/Del tempio di Fortuna il lido ancora ..".E' evidente il riferimento al famoso tempio della Fortuna Anziate fatto costruire da Nerone.
(19) Così precisa l'Ongaro nella prima edizione dell'Alceo (Venezia, Ziletti. 1582.)
(20) Alceo, atto I, scena I versi 212, 213, 214.
(21) Alceo, prologo, versi 29, 30, 31.
(22) Alceo, atto I, scena I °, versi 38, 39.
(23) Alceo, atto I", scena I°, versi 68, 69.
(24) Alceo, atto I, scena 2°, versi 309, 310.
(25) Alceo, atto III, scena 4°, versi 133, 134, 135, 136.
(26) Alceo, atto V°, scena 2°, versi 94, 95, 96, 97.
(27)Alceo, atto V°, scena 2°, versi 109, 110, 111, 112, 113, 114.
(28) Carrara E., La poesia pastorale, Milano, 909, p. 350.
(29) ALCEO / FAVOLA PESCATORIA / DI ANTONIO ONGARO / Recitata in Nettuno Castello de' Signori / Colonnesi: / Et non più posta in luce. / A gl'Illustri fratelli, il Signor Girolamo I e il Signor Michele Ruis /CON PRIVILEGIO. / [segue fregio) / IN VENETIA, / Appresso Francesco Ziletti, 1582. 24° (cm. 9x14) cc. (8)+54+(1)+(lb).
(30) Così l'Ongaro nella lettera dedicatoria ai Ruiz premessa all' Alceo.
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