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MOSTRA DI
LAMBERTO CIAVATTA

COMUNE DI NETTUNO

GALLERIA PORFIRI
Piazzale della stazione


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Testimonianze

1958-59
Dalla torre di Montaigne in cui si era ostinatamente trincerato, il 27 maggio 1959 il nostro è finalmente uscito; ed ha fatto una sortita con grandigia spagnola: tutto fiato alle trombe e bandiere al vento.
Ventiquattro composizioni e numerosi disegni ha esposto nella galleria che, con illuminato mecenatismo, l'importatore di tappeti orientali Alexanian ha messo a disposizione per questa rassegna, al 155 di via del Babuino, Ventiquattro opere di notevoli dimensioni (2,50x1,50 p. es.) di grandissimo impegno e respiro, che stanno ad indicare: come si possa uscire dalla nota crisi pittorica di cui troppo solamente si parla, come si possa riportare la pittura su un piano di alta dignità e splendore di cui ormai si era smarrito il ricordo.
Tanto era attesa negli ambienti artistici romani questa personale! Chi ha sempre creduto nelle elevate capacità creative di Ciavatta, può ritenersi pago, perché senz'altro non si è verificato il ridicolo parto della montagna.
L'interesse suscitato, soprattutto presso i collezionisti convenuti da varie latitudini, ha ripagato la fede e la tenacia con cui ha operato in questi ultimi anni il Nostro.
Egli ha saputo magistralmente trasferire sulla tela il suo superbo sogno pittorico.
BERTRANDO BIGI

 

1960
In Ciavatta c'è repugnanza a sformalizzare totalmente l'immagine e a rinnegare l'intervento coloristico in appoggio della pura fazione materica; o meglio, c'è nell'artista una esigenza di libertà che lo induce ad intuire e poi ad osservare l'andamento delle tendenze, e dopo averle anticipate o assorbite, a fare di testa propria, come l'animo dentro gli detta.
Le sue ultime opere potrebbero, del resto, testimoniare un certo ritorno al figurale, anche se in esse sono evidenti gli acquisti della precedente esperienza informale. E allora l'ultima parola spetta solo all'artista il quale solamente ci dirà " se " e " quanto " questo suo nuovo figurare sia effettivamente una " neofigurazione ", valida soprattutto su un piano di certezze universali.
" Perché Ciavatta è andato alla ricerca non soltanto estetica ma anche "morale" dell'arte, nei rapporti uomo-natura, individuo-società " (da un mio articolo sulla Fiera Letteraria). La sua avanguardia ha perciò operato dentro queste dimensioni di contenuto e l'impegno dell'artista si è estrinsecato soprattutto nell'ascoltare le voci di dentro non volendosi sacrificare del tutto nella ricerca e all'anonimato avanguardistico. Dripping, gestual art, informel, etc. sono tutti media dei quali l'artista si serve per esprimersi e documentare la propria analisi del mondo; analisi che in definitiva non è mai, nell'artista, una ricerca razionale e una verità funzionale ma soprattutto una sofferta intuizione dei problemi etici della società e degli abbandoni sentimentali dell'uomo contemporaneo.
VINICIO SAVIANTONI

 

1961-62
lo affermo che Lamberto Ciavatta con questa mostra liquida più della metà della pittura contemporanea italiana impegnata : chi non ci crede venga a Firenze, qui alla Galleria d'Arte Internazionale a rendersene conto e " senta il suo tempo " in questi quadri che esprimono appunto, nella concezione e nella dedica, la rivolta dello spirito umano contro le paurose vergogne della sua contingente miseria. Dirò di più: per me, e per quanti come me hanno cercato di veder chiaro in questi anni di confusione morale e formale, mercantile e politica della nostra pittura, Ciavatta significa una grossa rivincita, un fortunale giustiziere che sfascia a colpi di spatola il caravanserraglio dei falsi Magi, dei profeti stipendiati, dei lirici a cachet, ne fa un mucchio e gli da fuoco.
Certo che se fosse stato possibile allineare a queste opere alcune altre definitive, come il trittico " Salviamo l'umanità " (" Livido presagio ", " II misfatto ", " II caos ") che riassume la posizione dell'uomo contro il pericolo della guerra nucleare, ne esprime la minaccia, il delitto e la protesta, questa antologia di Ciavatta sarebbe stata più esauriente. Così come i quadri di folla, confluenza suggestiva delle esperienze di Pollock e dell'antica lezione di Ensor. Ma sono quadri enormi che soltanto un museo potrà accogliere sulle sue pareti, oltre che per dimensione anche per diritto. Così pure le grandi composizioni sacre ispirate al dramma di Cristo, degne di un altare maggiore.
Questi, comunque, specie gli ultimi del periodo che Ciavatta ha intitolato " Sento il mio tempo " sono sufficienti a rappresentare un uomo e un artista. La serenità virile, l'ansia delle masse, la disperazione del cosmo traspaiono da questi volti urlanti, da questi occhi sbarrati in cui si legge la bestemmia e la preghiera, la paura e la risoluzione. Se questi quadri sono per Ciavatta., leone irrequieto, febbrile, impaziente, un punto di arrivo che domani vedrà nella sua carriera come un punto di partenza, per noi hanno il valore storico dì un momento della pittura italiana: quello in cui, finalmente, si disperdono gli equivoci e si fanno i conti: quello da cui si può ricominciare a crederci, nella pittura.
UGO MORETTI

 

1963-64
Superando epoche scuole movimenti correnti e mode, io dividerei i pittori in due grandi categorie. La prima comprenderebbe coloro che hanno il fuoco di Dio in faccia: e dicendo fuoco intendo indignazione irritazione minaccia ripugnanza, riprovazione sorpresa angoscia pietà, suscitate dall'operato dell'uomo sulla terra, nel quadro del libero arbitrio e del rischio calcolato attraverso la perdita della grazia.
L'altra categoria, invece del fuoco, ha, di Dio, il sorriso tollerante (incoraggiamento, compatimento, perdono?) la curiosità, il tempismo, il lasciar fare anche sul terreno .minato del godimento della carne e dei beni, in vista del ritorno della creatura al Padre e del giudizio da trarre sul suo passaggio terrestre, secondo che esso sia stato ventilato dalla discrezione e dal rispetto altrui o invece ossessionato dall'amo?" sui, dalla collera, dall'invidia, dalla vanità, dalla volontà di potere.
Io metterei Lamberto Ci ovatta nella prima categoria, che potrebbe avere come punto di partenza i " Giudizi Universali " e le " festes des fous " medioevali e arrivare, con un salto di secoli, ai fauves e ai cubisti, dopo aver sfiorato nel suo passaggio il Masaccio della " Cacciata di Adamo ed Èva dal Paradiso " e i grotteschi quattrocinquecenteschi di Bosh e di Brueghel.
Nessuno supporrebbe in Lamberto Ciavatta, uomo dall'aspetto elegante sino alla ricercatezza, dai tratti misurati, dal parlare breve, dal sorriso raro, tanta forza, tanta violenza di temperamento e capacità di lavoro. Le tele grandissime, tempestate di colore, popolate di figure ricche di sangue vitale, gli enormi pannelli del " trittico " ispirato alla bomba atomica, sembra che li abbia dipinti un gigante con una spatola grande come un remo, con un ramo di pino al posto del pennello. Vorrei vederlo lavorare, credo che si trasformerebbe come Jeckill in Hyde, e che la sua furia pittorica sarebbe pari a quella di una tromba marina agitata dall'ansia di un ciclope. Forza e foga, ma non soltanto questo: Lamberto Ciavatta è mosso alla nobile fatica del dipingere da una coscienza ben più profonda, che non si appaga dei risultati splendidi, degli effetti, ma cerca nell'uomo i motivi dei suoi drammi e vi si immerge con passione missionaria.
Anarchico, non legato a nessuna scuola, solitario e autonomo, Ciavatta ha percorso da solo un cammino morale e artistico che altri della sua generazione hanno battuto in agguerrite e protette tribù, con dei punti di arrivo che non esito a definire superiori a quanto ci aspettavamo da lui quando cominciarono ad apparire i suoi primi lavori, circa quindici anni fa, in via Margutta. Lavori, i quali risentivano di una abilità disegnativa e di un ottimo gusto descrittivo mi mai avrebbero lasciato supporre la esplosione di una personalità erculea, una tale energia espressiva. Oggi Ciavatta, con mezzo secolo di esistenza sulle spalle dritte, con decenni di silenziosa osservazione dei fatti dell'umanità, con la coscienza pulita, rappresenta un caso eccezionale nella pittura italiana, soprattutto per la ricchezza della sua produzione e per l'incalzante progresso delle sue esperienze che hanno bruciato le tappe, concludendosi in quest'ultima produzione di cui però non potremmo giurare la definitività
Non ci sarà più stupore, la prossima volta: ormai siamo preparati a tutto ciò che Lamberto Ciavatta inventerà per noi. Abbiamo la sicurezza che ogni sua impegnativa fatica, e perfino nel più rapido dei suoi disegni, troveremo la nobiltà di un artista di razza, l'alta e toccante malinconia del pensatore solitario, il piacere dell'onestà che, raramente, come in questo caso, si accoppia alla bravura, una bravura eccezionale, da tutti riconosciuta.
LEONIDA REPACI

 

1965-66
II linguaggio di Lamberto Ciavatta si sviluppa nel clima della " nuova figurazione " italiana, di cui egli stesso è un esponente qualicato.
Le premesse non sono però, come in molti suoi colleghi, di ordine moralistico: ma nascono da un impegno severo per raggiungere l'immediata armonia dell'immagine, insistendo a lungo su uno stesso tema, senza disperdersi, attraverso molte ricerche sul disegno.
Queste esigenze di assolutezza che non lo pone affatto in contrasto con le antiche tradizioni, si risolve anche sul valore della materia: che si decanta, s'illumina nei suoi bitumi drammatici, diventa evocativa, preziosamente scabra, a volte anche elegante nella sua ossessività fosca e sempre suggestiva.
C'è sempre in Ciavatta un vigile controllo di cultura, quasi da estroso manierista moderno: il gusto si raffina, diventa prezioso, ma egli non perde mai il contatto con le cose terrene.
Ciavatta rappresenta, più che altri, l'incontro del rigore compositivo italiano con la segreta simbologia intima, ricca di colore allusivo. Egli ci propone l'esempio di fattura rifinita, da antica bottega, e un senso del rapporto tra forma disegnata e colore.
Il problema dell'arte d'oggi è dì salvare, tra mille minacce, il rapporto dell'uomo con la realtà. Non è certo il riscatto dell'immagine della figura umana che a Ciavatta preme, ma della presenza e della funzione dell'uomo come somma di valori vitali e garanzia di civiltà. Questo fantasma o carcassa senza nome che affiora dal magma minerale (che è anzi diventato minerale esso stesso) sopravvive in una irrelata esistenza.
Questi reperti di Ciavatta formano la nostra immagine più chiara e tragica: la materia corrosa, brulicante di terra e di fermenti umorali, di fango diventato argilla, di radici carbonizzate, di colore fatto di pietra.
Una radiografia futura drammatica e senza veli, da cui spesso emana il grido espressionista, l'urlo rappreso che la ragione vuole celare.
GIANCARLO POLITI

 

1968
Conosciamo la storia evolutiva di Lamberto Ciavatta, uno dei più sensibili e interessanti interpreti del rinnovamento figurativo d'oggi.
Uomo e pittore di alta moralità, dopo exploits giovanili, ritiene opportuno pausare nel silenzio più assoluto per molti anni la sua attività, preparandosi ad un ritorno alla pittura su basi del tutto nuove, mediante un atteggiamento vergine, attraverso una ricerca sperimentale, che ripercorre individualmente da zero, cioè dall'informe, la costruzione dell'immagine - dalla semplice forma figurale, alle vesitigia umane ritrovate, alla figura totale dell'uomo rinato da se stesso. E' un percorso e un ritrovamento spontaneo e cosciente al tempo stesso. Faticato e " sgobbato " attraverso lo studio e la analisi appassionati della materia. Grumi densi si formano circolari nello spazio del quadro, come crateri vibranti di eruzioni passionali e gesti pazienti e ricercatori. Ma da questi primitivi e sapienti ammassi di colore emergono, di lì a poco, figure ancestrali in atteggiamento materno. Nella sagoma primordiale e perfetta dell'uovo, prende forma la vita umana e il primo universale atto d'amore.
Ciavatta è il grande cantore dell'amore. Anche quando la foga espressionista del gesto lo ha guidato all'irruenza astratta del segno significante alla maniera pollockiana o vedoviana, quel segno era richiamo vibrante allarmato e coraggioso al rapporto, alla comunicazione interumana. Così nei bellissimi Cockes del '66/67, in cui attraverso una materia ardua alla resa pittorica, presenta " una radiografia futura drammatica e senza veli, da cui spesso emana il grido espressionista, l'urlo rappreso che la ragione vuole celare ".
Negli ultimi anni infine, Ciavatta conduce nuovamente al limite oggetti-vizzante le sue promesse ricostruttive. Egli ritrova, con spontaneità vera, frutto di attento studio, le sagome degli Umani. E li osserva teatralmente nel luogo del "dramma": lo spazio caotico e vago del loro stesso assembramento. Egli rappresenta così la sua Commedia umana. Fino dal 1967 il suo procedimento tecnico è nuovissimo e conduce a risultati interessanti. Su una tela o su un pannello tamburato preparati a gesso, Ciavatta conduce una preparazione accurata, sovrapponendo diversi strati di colore. Successivamente, con intervento paziente scava con la Urna, ritrovando il tono lumi-nistico proprio ad ogni futura figura. In questa luce, trovata nel grembo fecondo dell'immaginazione in nucleo, e che mette a fuoco essa stessa l'immagine, sostanziandola, consiste la scoperta e la proposta nuova in campo pittorico del Ciavatta.
In questi Graffiti, che rappresentano ed esprimono mirabilmente l'interesse umano e poetico del Pittore verso l'umanità sofferente nell'inferno terrestre, centinaia di corpi di teste si affollano, si toccano, si intrecciano in un continuum travolgente e dinamico. E' un segno itinerante, quello che traccia le sagome delle figure, che torna continuamente indietro su se stesso, e continuamente va oltre. E pertanto percorrendo col bulino il tratto, il Pittore, agendo, trova continuità, verità e realtà di esperienza al suo segno.
SANDRA GIANNATTASIO

 

1969-70
Lamberto Ciavatta è un valente maestro e interprete di una tematica che guarda a una umanità sofferente per le guerre e gli odi che si avvicendano nel tempo e i mezzi espressivi della sua. arte scavano nel segno la realtà di questa terribile esperienza di carattere sociale. Essa rappresenta per lui il dramma interiore dell'uomo in una struttura di masse itineranti di pieni e di vuoti che la sua sensibilità avverte nel segno e nel colore in un continuum che delinea le sagome delle figure di un giudizio finale dell'uomo. E la sua esperienza dei graffiti nei confronti di questa tematica è particolarmente interessante nel suo intenso reticolo dì figure che ripercorre individualmente dall'informe la costruzione delle immagini e le osserva e puntualizza dallo spazio caotico e vago dello stesso loro enuclearsi. E' un segno che traccia continuamente le immagini e continuamente va oltre. Ma già nel periodo dell'astratto informale, e soprattutto in quello espressionistico in cui la composizione era percorsa dal segno dell'action paintìng, Ciavatta avvertiva questo suo interiore tormento che si esprime nello scavare internamente nei
suoi accesi chiaroscuri di luce e ombra il volume della forma in nuce.
Il periodo materico-coke che l'artista adopera come materiale, non inteso come pura strumentalità nel processo di creazione, ma, nella stessa sua funzionalità, è reso espressivo in quella che è la formazione di grumi o di quei frammenti di immagine che anch'esse delineano sagome di figurazioni inquiete e tormentate. Come il Cristum dolens. Non si tratta di una rappresentazione in una sorta di figurativismo illustrativo, ma è guardare attraverso il dolore umano medesimo in senso emblematico e universale. E questo è anche in quelle sue composizioni percepite nel percorso della sua opera di artista quando ritrova in grossi blocchi immagini rappresentate o da grandi masse articolate e contrapposte nella loro realtà statica o mosse nelle contrazioni stesse del loro movimento. L'artista infatti nel processo di questa realizzazione ha trovato l'acme di una lacerante esistenza che si evoca nelle sue immagini drammatiche attraverso una ricerca sperimentale che è un percorso e un ritrovamento spontaneo e cosciente al tempo stesso. Ricerca sperimentale elaborata sempre attraverso lo studio e l'analisi appassionata della materia, ma soprattutto attraverso l'amore e lo sviluppo di quella radice feconda della immaginazione e del sentimento che vuole ritrovare nella stessa verità e realtà di esperienza il suo segno. Da cui sovrattutto emana quello che egli rappresenta ed esprime: l'urlo rappreso che la ragione vuoi celare.
ARTURO BOVI

 

1971
Lamberto Ciavatta, alla maniera dei fenomeni naturali non finisce mai di stupire i suoi più intimi amici, di esaltare l'intima essenza dell'Arte e di onorare la pittura attraverso il costante rinnovarsi di quella meravigliosa linfa creatrice che, a cicli costanti, esplode improvvisa e infrenabile come una forza bruta sempre imprevedibile e non controllabile dentro lo sconcertante divario fra causa ed effetto. Causa ed effetto che vorrei scindere nei due elementi essenziali della materia e dello spirito ovverosia nella natura umana dell'Artista (causa) e dei fenomeni pittorici (effetti) da essa promananti. Sarei, pertanto, portato a pensare, come già ebbi a scrivere recentemente in un saggio felicemente riuscito (suggerito dalla più recente " esplo-sione " pittorica dell'Artista) che Lamberto Ciavatta si aggiri nel suo studio come una specie di mostro dai capelli rossi in un laboratorio di antica alchimia medioevale o, se volete, come una specie di Baudelaire dalla chioma verde ramarro e dagli occhi spiritati, alla ricerca delle impossibili rime atee e delle pennellate anticonformiste.
Niente di tutto questo perché Lamberto Ciavatta pittore, titolare delle più spericolate avventure artistiche di questa seconda metà del secolo XX, è l'Uomo più semplice, buono, umile di questo mondo. Chi segue i miei scritti ricorderà di avere già letto questo mio pensiero e la ripetizione mi è necessaria perché di Lamberto Ciavatta, oramai Artista di leggenda, si è articolata una biografia che tende a farne una specie di Re di Mida: ciò che Egli tocca si trasforma in un fatto, in un fenomeno pittorico.
Il fatto è vero; ciò che Egli tocca si trasforma realmente in una di quelle esplosioni di forma e di colori, di volumi e di spazio, che lasciano senza flato, interdetti, gli amici (critici) e il mondo dell'Arte più qualificato. Solo il tempo dipanerà il mistero delle sue intuizioni e nel tempo saranno chiare e manifeste quelle sue interpolazioni fra spirito e materia ancora racchiuse nel segreto della sua ispirazione e del suo genio perché al Genio, e solo a questo, si deve attribuire questo suo discostarsi perentorio dai canoni comuni della pittura contemporanea ancorata agli schemi della tradizione anche quando sembra liberarsene attraverso le correnti anticonformiste di varia astrazione.
Lamberto Ciavatta si rinnova nel " fenomeno " pittorico non attraverso il ragionamento di una formula che elabori un qualsiasi tema d'Arte ma sulla costante della forza bruta di una manifestazione inferiore che nessun apparecchio elettronico potrebbe prevedere e controllare in quanto manifestazioni di genio e il genio ancora non è possibile controllarlo o soppesarlo con nessuna apparecchiatura moderna.
Lamberto Ciavatta mite, umile e buono, è portatore di queste cariche interiori formidabili che esplodono come meteore in fiamme nel rapido volo nel cosmo per condensarsi sulle sue tele sotto forma di " fenomeni " pittorici. E Ciavatta stesso non sa di sé, di questo suo infiammato colloquio esoterico che non ha mai avuto testimoni o interlocutori, non sa dare nemmeno a se stesso una spiegazione del raptus artistico che lo travolge spiritualmente e .lo involge artisticamente in quel mondo di fantascienza pittorica che rende perplessi e muti gli amici e il mondo dell'Arte, che induce noi critici d'Arte a cercare l'anima e il corpo dei personaggi che si agitano dentro le sue tele, la Genesi della sua tematica che ha tutte le carte in regola per essere accostata a quella di Michelangelo.
Gli uomini di genio, di qualunque tempo passato o di quello contemporaneo, hanno sempre avuto in comune la prerogativa di vivere la loro vita circondati dall'affetto e dalla stima di pochi e dalla incomprensione, dalla malignità di molti perché il frutto del genio schiaffeggia la mediocrità e la violenta alla maniera dei fenomeni soprannaturali che non trovano una giustificazione umana nel rapporto di causa ed effetto. Michelangelo turba ancora questo equilibrio perché la mente umana ancora non si è adattata al soprannaturale del suo genio: per la stessa ragione il mondo contemporaneo dell'Arte non si è adattato al fenomeno pittorico di Lamberto Ciavatta perché non ne ha, forse, ancora compreso il genio e Lamberto Ciavatta vivrà, nei secoli che verranno, circondato dal mistero delle sue meravigliose intuizioni così come è accaduto per molti " grandi " che lo hanno preceduto.
RENATO MARMIROLI

 

1971
CONTRO L'INQUINAMENTO ' ..
Il dubbio sul destino dell'arte, mai come oggi diviene coscienza di un problema che riguarda globalmente il senso dell'esistenza dell'uomo. E intanto una certezza, nella minaccia del caos, quella della sconfitta della forma rispetto alla vita. E ancora la perdita forse irrecuperabile di una dimensione di realtà. Ci ritroviamo in un mondo privo di significati e di riferimenti, dove i significati e i riferimenti si rivelano inadeguati ad una realtà che non corrisponde in alcun modo all'attesa e alla speranza dell'uomo e assistiamo al decomporsi di ogni cosa fino al dissolversi nel nulla in cui si cerca l'ultima dimensione. Ma fuori della vita storica dell'uomo non c'è realtà, nessuna possibilità di salvezza.
L'imperativo morale dell'artista diviene altro, se mai fu diverso. Non fermarsi mai: né nella vita mortale, né nell'opera: provare, esplorare, sempre nuovi orizzonti, nuovi mondi fino agli ultimi confini dell'esprimibile. E' mutato il messaggio dell'opera, segno di un frammento, della segreta lacerazione che consuma e brucia la nostra vita. E' il valore incontrastato che su tutto prevale del presente, a segnare di sé tutto, in una precarietà senza spiragli e fessure. Perciò l'opera d'arte attuale, non deve porsi irraggiungibile, come se fosse giunta al salvo nella rincorsa ansiosa del nostro quotidiano vivere. Consuma il suo itinerario nel mondo, si da in proprio,

 

ferita e protesta nella lacerazione reale, si presenta lurido stendardo, in-segna di una civiltà che distrugge se stessa.
Sono idee queste che segnano di angoscia le nostre riflessioni sull'arte contemporanea; indicazioni dì uno stato comune, che lo spettacolo quotidiano non riesce a cancellare dentro di noi. E le ritroviamo come misura del lavoro degli artisti più autentici del nostro tempo, di quanti si sottraggono all'industria culturale, per essere ancora nel bene e nel male, nella disperazione e nel coraggio testimoni della realtà. E' il senso dell'inesausta sperimentazione di linguaggi e forme per dar corpo alle visioni che si accumulano dentro di noi e cercano consistenza nelle immagini. Dove va l'umanità? E' la domanda che domina l'intera ricerca di Lamberto Ciavatta; una ricerca tesa, coerente che ha conosciuto la bruciatura dei suoi carboni, il frangersi dei cristalli, il segno, che trascrive con immediatezza il sussulto della sensibilità e l'emozione più segreta, la sottile meditazione dei graffiti.
E a questo punto conosce e si fa testimone partecipe della nostra sta-gione all'inferno. Come percezione acuta e dolente di una condizione infelice, e forse prossima a ricordare la stessa infelicità come un atto vitale. Con patita coscienza sempre più assistiamo impotenti all'inquinamento del mondo in cui viviamo. Ecco il nostro tormento, l'inquinamento come segno di un mondo che non può più essere civiltà. Lo squilibrio ormai irreparabile tra biologia e natura; e ancora l'incapacità a vivere interamente la nostra vita momento di un dramma che si conclude nella contraddizione sempre più evidente tra la società dell'uomo e il sistema. E dentro, di fronte a questo amaro bilancio che forse segna la definitiva decadenza dell'Occidente, il senso di un ancora più radicale fallimento, dell'arte e della cultura; di un'arte e di una cultura che non sono riuscite a nascere; di fronte alla responsabilità di inventare una nuova struttura sociale e dell'uomo, le condizioni di una vita diversa. Hanno avuto paura: della solitudine e del silenzio che sempre sono compagni delle azioni che contano. Hanno cercato il successo e il potere, e così hanno perduto la verità. Per questo l'arte ha perduto il suo centro ed è diventata illusione o peggio ancora strumento della corruzione. Misura è stato l'oggi, ma non come totale e attuale impegno al presente, bensì come losca complicità, mutile mondanità, bieca speculazione. Destinata al successo è rimasta estraneata dalla storia,
Lamberto Ciavatta ha voluto affrontare questo tema, come nelle figurazioni medioevali di pesti e di maledizioni, o nei cicli dei Giudizi universali, del Signorelli o della Sistina, non rassegnato a divenire testimone di un inesorabile Trionfo della morte.
Dove va l'umanità? Possibile che solo futuro è la morte? Verso un inquinamento totale, dove non si sa più cosa preceda se quello dell'anima segno di una definitiva corruzione dell'uomo, o l'altro che sempre più ammorba l'aria e le acque e porta avanti l'insana distruzione della natura. Perché? Perché il diritto a vivere deve ridursi alla miseria dei nostri giorni; il diritto alla casa nella logica della più turpe speculazione: che mondo è quello in cui viviamo e che dovremmo lasciare in eredità alle nuove generazioni? Possibile che tutto debba risolversi in guerra, morte, miseria, ingiustizia, in questa maledizione che ci toglie il fiato? Gli incidenti, la rapina, la truffa, l'ignoranza, i falsi miti, il vuoto ma anche la resistenza della speranza, dell'intelligenza, dell'amore.
Ecco allora nel ciclo il coro di donne, che come in un'antica tragedia greca rompono nel grido vitale, vince il silenzio,, e taglia l'onda nera che sale, estrema presenza dell'amore della maternità. Noi non amiamo per il vuoto. Noi non operiamo per la morte. Non siamo per morire; siamo per essere felici.
Di fronte ai gravi problemi Ciavatta ritrova il coraggio della risposta di S. Agostino. Ad uno che gli domandava come risolvere un problema diceva, se tu. vuoi sapere, allora ti dico, attraverso l'umiltà, e poi umiltà e ancora umiltà.
ELIO MERCURI

 

1972
Ma cos'è che muove e smuove Lamberto Ciavatta a tramutarsi, non romanticamente, ma in senso quasi mistico e medioevale a passare da una ricerca all'altra senza mai vanificarsi in un formalismo fine a se stesso? Se l'immagine alla quale si rivolge con puntuale ossessione giustificata è il Cristo Crocifisso, si può senz'altro alludere ad un'autentica inquietudine religiosa. Una religiosità che pudicamente si trasfigura in amata solitudine e soprattutto in costante meditazione.
Ed è a questo punto della interiorità straziata dialetticamente dal richiamo sia al Cristo che alla discesa all'Inferno che scatta, come una forza repressa, l'immagine illuminante e illuminatrice e di un Giudizio Universale, inteso come rivolta del Sacro contro la diabolicità di ciò che qui, sulla terra, è profano: il delitto contro l'innocenza: cioè la ripetizione del Cristo Crocifisso. Ed è in queste condizioni che si pone il problema di una pittura che, pur essendo nata dalle più raffinate ipotesi o esperienze contemporanee, contiene una sotterranea esigenza a integrare il centro stesso dell'arte, cioè l'uomo. In tal modo, per l'artista si giustifica oggi il richiamo a un Rinascimento che è più moderno dell'idea stessa di modernità, in quanto ricchissimo di una policromia e dì una morfologia stupende nella loro assolutezza.
La fallacia unicamente laica e sadica entro cui si muovono i distruttori della Bellezza viene sostituita da una pittura violentemente incarnata nella verità. Con Lamberto Ciavatta siamo in modo definitivo fuori dalla pittura-giuoco, dall'esperimento in superficie, dalla trovata, dall'infantilismo e, diciamolo pure, dalla presuntuosa barbarie.
E qui nasce la storia del paziente segno che si enuclea in graffito e, passando attraverso un dialogo luminoso di volti, fa sì che la Bellezza ritrovata evada dai labirinti. E questo pittore, che brucia in silenzio come un solenne tronco di quercia, si umilia, si mortifica consapevolmente negli esperimenti più intensi per condurre a compimento un processo di recupero anche della Tradizione. Qui è dunque l'autenticità di Lamberto Ciavatta. Il suo eclettismo, infatti, è soltanto di apparenza.
Il pittore cioè rivive il nostro tempo nelle espressioni più ricche di patos per poi bruciarlo perché fallimentare ed omicida. In tal modo si spiega il suo orgoglio ferito, il quale finisce quasi sempre per scaricarsi nella umiltà, nell'amore per l'opera, nella paziente attesa che qualcuno legga le sue tele, crocifisse anche esse allo stupore ed al terrore. E' così che noi leggiamo nelle sue statue-relitti i segni dell'Apocalisse; ma riscopriamo, attraverso la rivolta (una denunzia profondamente cristiana) il tempo di Dio. In questo clima di angoscia e di aspettazione ci vengono incontro quelle ombre e quelle luci che rivivono in colori squillanti, da cui emergono figure di donne ancora calde in una sorta di abisso bianco. Sono le donne, sono le giovani, sono le figlie, sono le madri che si sollevano su anche astate: volti che scattano nel fulmineo gesto accusatore e si fanno antiche " Madri ", offese da un presentimento di morte che è dell'aria e dell'uomo.


MARINO PIAZZOLLA




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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CONCESSA DA GIOVANNI CAPPELLA

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