" L'arte è finita " ha affermato in più occasioni il critico Argan, un vetusto e conservatore pittore Gregorio Sciltian considera la pittura " vera " morta fin dal tempo degli impressionisti, cui imputa di aver posto con la loro tecnica i presupposti della fine. Sono certo giudizi opinabili,, tutta via formulati da personalità che nell'arte e per l'arte hanno impegnato una vita. Essi partono da presupposti che sono agli antipodi, esaminano i fenomeni sia sotto il profilo prettamente tecnico, sia sotto quello di una fruibilità del prodotto artistico giungendo al medesimo risultato.
La presente stagione, pertanto, sopravvive artisticamente presso il pubblico non addetto ai lavori perché vi sono i superstiti di stagioni precedenti, giacché " le nuove leve " sono orientate essenzialmente verso un'arte applicata o verso moduli sempre più lontani dalla comprensione delle masse, consumandosi in speciose discussioni che si trascinano stancamente tra il disinteresse generale.
In questo humus è germogliata l'idea di Lamberto Ciavatta: non è né una trovata a tutti i costi originale, come tentato da alcuni colleghi coevi che per rimanere sulla cresta dell'onda non esitano a concepire tentativi che più di arte visiva sanno di arte circense, né da ribellione inconsulta, ma uno stato operativo cui l'autore è giunto dopo aver partecipato a mezzo secolo di fermenti artistici, non ricusando alcuna esperienza veramente e solamente artistica.
Ciavatta ha creduto per tutta la sua vita alla funzione etica dell'arte e nel tentativo di rendere il più accessibile possibile, senza venir compromesso il valore artistico, alle masse il pensiero ispiratore delle opere, ha tentato un nuovo stile pittorico.
In questa ottica deve essere considerata la presente produzione che non manifesta i segni tumultuosi dell'inquietudine interiore dell'artista: è il rifugio formale di un sogno impossibile di inserire una dimensione poetica nello sconvolgimento contingente; Ciavatta tenta mediante una riscoperta ed una nuova chiave di lettura dei valori pittorici che si richiamano al passato di ottenere quella comunicazione col pubblico e, quindi, quel riscatto dell'uomo tentato precedentemente con lavori impegnati espressivamente. Le figure femminee divengono mezzo etico, contrapposizione alla pura ricerca formale, richiamo alla necessità di una visione trascendente di un'opera d'arte.
Molti critici hanno lungamente esaminato i lavori precedenti di Ciavatta e, a prescindere dalla maggiore o minore propensione verso un modulo estetico piuttosto che un altro, succedutisi nel tempo, unimamente hanno riconosciuto la serietà operativa dell'autore per cui il suo " nuovo Rinascimento " può essere compreso come un preciso atto di volontà di rifarsi ad una pittura dai connotati ben definiti: Ri-nascimento della figura considerata come elemento catalizzatore per un dialogo col pubblico, Rinascimento dell'opera, intesa e realizzata come arte per arte, Ri-nascimento di una visione idealistica dell'arte.
Non è certo un revival, tanto di moda attualmente, sintomo grave della pochezza del momento, bensì è la volontà di dimostrare come l'esperienza astratta porti o al ritorno del figurativo o ad espressioni che conducono a ricerche patrimonio di altre scienze.
L'operazione dell'artista non avrebbe l'importanza che ha, malgrado le considerazioni fatte, se i mezzi espressivi ricalcassero morfologie già compiutamente esaurite; con Ciavatta, invece, nasce il "raggismo", dico nasce e non ritorna in quanto tale modulo non ha nulla in comune con il raggismo di Larionov sia sotto il profilo contenutistico che stilistico.
Infatti il raggismo o radientismo è stato uno dei fondamentali episodi dell'arte astratta e deve il suo nome ai raggi geometrizzanti, dai colori accesi, con cui Larionov e la Gontcharova costruirono le loro composizioni; i raggi, specie dopo il 1910, epoca dell'incontro dei due artisti con Marinetti, si intendono come linee forza simili a quelle dei futuristi.
La teorizzazione del Lucism fu eseguita nel 1913 a Mosca e dal contesto è rilevabile come essa sia sorta ed abbia avuto scopi ben lontani dalla partenza e dai risultati cui è pervenuto Ciavatta. Se da una parte la scomposizione ha una ragione d'essere nell'intersezione dei raggi, che crea una sinfonia segnica, nei lavori di Ciavatta i raggi non presentano fratture, procedono obliquamente e paralleli tra loro; non interferiscono con le figure, bensì formano il naturale contorno.
Il colore, oltre per i criteri adottati nella scomposizione in raggi, è differente sia da quello dei pittori russi cennati sia da quello degli artisti rinascimentali cui Ciavatta si richiama: agli spicchi cromaticamente vivis-simi il nostro autore contrappone linee cromatiche la cui funzione risiede nell'illuminare la figura senza che questa da tale operazione sia deformata; detta luminosità differisce da quella realizzata nell'antica iconografia di carattere religioso giacché i soggetti non presentano la tipica aureola, né sono illuminati limitatamente al viso: le figure si stagliano sulla tela come personaggi teatrali sul proscenio.
La luce vivida nella parte centrale si ammorbidisce ma non cessa nelle altre parti, le linee parallele luminescenti creano in tal modo un'ambientazione atemporale che giova al clima di perenne attualità dei valori espressi.
Cagli, prima di morire rilevò che " l'arte pop era tutta falsa ed è giusto che stia crollando. Bisogna tornare alla qualità, alla manualità, all'arte come artigianato " avvalorando con tale pensiero la motivazione che ha indotto Ciavatta a ricercare un modulo espressivo frutto di una tecnica affinata da un lungo lavoro. Anche coloro che hanno seguito le precedenti stagioni creative di Ciavatta rimangono meravigliati dalle odierne creazioni giacché non ritrovano quella violenza di tratto, quel cromatismo acceso distintivi dei lavori trascorsi; certamente la spigolosità dell'artista si è stemperata in parte, al magma materico, alle figure urlanti si sono sostituite, attraverso l'esperienza dei graffiti, le maternità, tuttavia l'intenzione originaria è rimasta; il ritorno alla figura di impianto rinascimentale non è una comoda dimostrazione di " saper ben fare " ma un richiamo alla vera pittura, ricca di tecnica e contenuto che si contrapponga e faccia risaltare i veri valori stilistici nei confronti di maldestri tentativi contrabbandati come espressione d'arte impegnata.
ENRICO FANCIULLI |