Pagina 11 - S ANTONIO ABATE

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S.A
NTONIO
A
BATE
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già altri anacoreti facevano nei deserti attorno
alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e
castità. Si racconta che ebbe una visione in cui
un eremita come lui riempiva la giornata
dividendo il tempo tra preghiera e l’intreccio
di una corda. Da questo dedusse che, oltre alla
preghiera, ci si doveva dedicare ad un’attività
concreta. Così ispirato condusse da solo una
vita ritirata, dove i frutti del suo lavoro gli
servivano per procurarsi il cibo e per fare
carità. In questi primi anni fu molto
tormentato da tentazioni fortissime, dubbi lo
assalivano sulla validità di questa vita
solitaria. Consultando altri eremiti venne
esortato a perseverare. Lo consigliarono di
staccarsi ancora più radicalmente dal mondo.
Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in
una tomba scavata nella roccia nei pressi del
villaggio di Coma. In questo luogo sarebbe
stato aggredito e percosso dal demonio; senza
sensi venne raccolto da persone che si
recavano alla tomba per portagli del cibo e fu
trasportato nella chiesa del villaggio, dove si
rimise. In seguito Antonio si spostò verso il
Mar Rosso sul monte Pispir dove esisteva una
fortezza romana abbandonata, con una fonte
di acqua. Era il 285 e rimase in questo luogo
per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli
veniva calato due volte all’anno. In questo
luogo egli proseguì la sua ricerca di totale
purificazione, pur essendo aspramente
tormentato, secondo la leggenda, dal
demonio. Con il tempo molte persone vollero
stare vicino a lui e, abbattute le mura del
fortino, liberarono Antonio dal suo rifugio.
Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti
operando, secondo tradizione, “guarigioni” e
“liberazioni dal demonio”. Il gruppo dei
seguaci di Antonio si divise in due comunità,
una a oriente e l’altra a occidente del fiume
Nilo. Questi Padri del deserto vivevano in
grotte e anfratti, ma sempre sotto la guida di
un eremita più anziano e con Antonio come
guida spirituale.
Antonio contribuì
all’espansione
dell’anacoretismo in
contrapposizione al cenobitismo. Anche
Ilarione visitò nel 307 Antonio, per avere
consigli su come fondare una comunità
monastica a Gaza, in Palestina, dove venne
costruito il primo monastero della cristianità.
Nel
311,
durante la persecuzione
dell’Imperatore Massimino Daia, Antonio
tornò ad Alessandria per sostenere e
confortare i cristiani perseguitati. Non fu
oggetto di persecuzioni personali. In quella
occasione il suo amico Atanasio scrisse una
lettera all’imperatore Costantino I per
intercedere nei suoi confronti. Tornata la pace,
pur restando sempre in contatto con Atanasio
e sostenendolo nella lotta contro l’Arianesimo,
visse i suoi ultimi anni nel deserto della
Tebaide dove pregando e coltivando un
piccolo orto per il proprio sostentamento,
morì, a circa 106 anni, il 17 gennaio 357.
Venne sepolto dai suoi discepoli in un
luogo segreto.