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Incenzo
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gradualmente si modificava, una delle
descrizioni più complete di questa transi-
zione ci viene da calcedonio soffredini «le
camicie anzitutto di queste donne, aperte
nel petto, sono circondate da un merletto di
loro speciale lavoro, che dal collo discende
oltre i capezzoli, donde vien chiamato
capezzo.
sopra la camicia usano disporre
una veste da esse assai bene appellata
guar-
naccia,
senza maniche, che dalle spalle
giunge sino alle calcagna. e nella parte
superiore la stringono ai fianchi, rimanen-
do aperta nel petto, e ricchissima di pieghe
nella parte inferiore. sopra di questa veste
portano un corsaletto alla vita, aperto simil-
mente nel petto che chiudono con pezza di
drappo ricamato, o con due ordini di trine
d’oro od argento se maritata, con uno se
zitella. La guarnaccia e il corsaletto sono di
scarlatto finissimo, ornati all’estremità con
merletti e trine d’oro od argento. Le zitelle
portano invece un nastro verde, immagine
della speranza. I loro capelli sono intreccia-
ti di nastro rosso se maritate, verde se zitel-
le, di paonazzo come nell’abito se vedove, o
fossero in lutto. calzano ai piedi una foggia
di pianelle ricoperte di panno rosso, o di
pelle inargentata ad uso di sandali pontifi-
cali. Fino al secolo passato le bende del loro
capo chiamate le
mantricelle,
volgevano a
guisa di turbante tessute in oro e in seta di
svariati colori nelle due estremità, ricaden-
do negli omeri. dopo questo tempo inco-
minciarono ad usare le stesse bende ripie-
gate a mantile sopra la testa. Prima di
Gregorio XIII la veste era una gonnella che
giungeva succinta alle ginocchia alla quale
succedevano i borzacchini; ma quel ponte-
fice nel 1572 provvide che a maggior decen-
za calasse sino alle calcagna. Infine una cin-
tura chiamata
antricella,
tessuta di argento,
oro e seta, dalla quale pendevano campa-
nelli di argento, o argento dorato, ne cinge-
va i fianchi […]. Gli uomini ancor essi avea-
no un vestiario lor proprio, leggendosi in
un inventario di masserizie unito ad un
processo criminale del 1568 che usavano il
beretto e calzoni rossi, le calze vuoi gialle,
rosse o paonazze»
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.
dei più recenti studi sulle varie fasi del
costume nettunese, meritano particolare
attenzione oltre quello di marina sciarelli
contenuto nella seguente pubblicazione i
contributi a cura di Italo salvan e lo studio
di doretta davanzo Poli. nel primo leggia-
mo: «la forma rigida della montatura da
testa si rinveniva pure al di fuori dei
castelli, ad esempio a nettuno, dove il ret-
tangolo di tela bianca era arricchito da
balze a righe nere e rosse con inserti di filo
dorato, a costituire disegni zoomorfi o geo-
metrici. L’abito nettunense si configura
come una veste intera, priva di maniche,
confezionata in raso rosso e munita di vasta
scollatura (quadrata verso la metà del
settecento, rotonda a partire dal 1820 circa);
lo scollo era coperto da una pettorina orna-
ta di pizzo. Indossata sopra la corta camicia
denominata “capezzo”, la veste, cui confe-
riva un tono di ricercatezza la fitta pieghet-
tatura della gonna, era completata da un
casacchino realizzato nel medesimo tessuto
e colore, vistosamente guarnito di galloni
dorarti e mosso da falde aperte sul dietro
per mezzo di tre tagli: la struttura di questo
indumento rimanderebbe agli ultimi ven-
t’anni del XVIII secolo. Il nastro annodato a
coccarda sulla gonna costituiva un ulterio-
re arricchimento di quest’abito che, per il
suo monocromatismo – basato sul rosso,
colore frequentemente usato in abito nuzia-
le per la preziosità dell’insieme e dei detta-
gli, sembrerebbe potersi definire
di gala
»
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.
doretta davanzo Poli a sua volta fornisce
delle interessanti osservazioni sul costume
di nettuno conservato nella raccolta
bertarelli al castello sforzesco di milano
32
.
«anche il costume di nettuno, così