C
LEMENTE
M
ARIGLIANI
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giunoniche, inalberate sulle carrettelle fiori-
te e tamburellanti del Divin Amore. Addio,
piccole tube di largo e ruvido feltro color
caffelatte, arruffate a bella posta e ornate di
rosette o di altri fiori per posare sulle treccie
d’ebano
delle
Trasteverine,
delle
Monticiane, delle Regolanti. Voi avete rag-
giunto nel dimenticatoio moderno gli abiti
maschili del “romano de Roma”: i giubbetti
di velluto verde, panciotti di panno rosso
ovvero a righe od a quadri sul fondo di vel-
luto, le giacchette aperte, i corti calzoni e
l’ampia fascia intorno ai fianchi poderosi.
Cadeste nel baratro dell’oblìo con tutto l’ar-
mamentario delle coperte da letto in dama-
sco rosso o bordò, dei “ramoschè” a tuba coi
fiori e coi nastri, dei pratici cappelli “alla-
come-ce-pare” che il popolino contrappone-
va alle bombe della “milordaria”, degli abiti
in voga tra le belle borghesi ove boccoli
verde – rosa o righe gialle e rosse spiccava-
no sul bianco e sul crema.[…] Uscendo ora
nuovamente da Roma, potremmo andarce-
ne per lestre e procoi, ma incontreremmo
soltanto il buttero, centauro che cavalca “ a
panza avanti” con l’inseparabile mazzarella
tra le mani. E questo moderno
boum ductor
veste tuttora, con originalità silvestre, il cal-
zone e il giacchetto corto ereditato dagli avi,
cinge la rossa fusciacca, mette sotto al cap-
pello il cappuccio o cuffia di lino, ostenta
sproni e gambali.
Preferiamo i Castelli dalle uve dorate e
dai ceruli laghi: essi ci additano più vaghi e
riposanti aspetti nei costumi delle loro non
rustiche beltà. Ma anche qui è una rovina; il
soffio distruttore e livellatore della moder-
nità ha spazzato via quanto v’era di caratte-
ristico ad Albano, ad Ariccia, a Rocca di
Papa, a Grottaferrata.
Chi trova più nel Tuscolo verde, se non
in qualche solennissima processione reli-
giosa il costume maestoso della frascatane,
o a Castelgandolfo i nastri con lustrini d’oro
che dicevano tanto bene ai volti delle genti-
li castellane, o a Marino i collari merlettati e
i manichini e i guanti o mezzi – guanti di
seta sfoggiati dalle fiere viragini marinesi?
Che velo di squallore nelle città delle frago-
le e dell’infiorata quando sparirono le gale
paesane che pure avevano fronteggiato vit-
toriosamente l’urto dei secoli»
43
.
L’esposizione del 1927 fu «una rievoca-
zione veramente competente e documenta-
ria»
44
.
Un’altra rievocazione del costume
popolare di Roma e del Lazio veniva fatta a
Torino nel 1947 per le celebrazioni del
Parco del Valentino, un’occasione che tutta-
via dimostrava come l’abito tradizionale
tramandato nei secoli da tante generazioni
era ormai destinato ad essere esposto nelle
sempre più rare manifestazioni per rag-
giungere definitivamente le sale dei musei.
Così scrive Paolo Toschi nel catalogo della
mostra di Torino «Da questa rassegna,
necessariamente sintetica, si può trarre un
utile insegnamento: questo, che pur col
modificarsi dei gusti, col cambiare delle
correnti artistiche e culturali, con lo stan-
dardizzarsi della vita moderna, l’interesse
per la vita popolare e specialmente per le
fogge di vestire delle classi rustiche non è
mai venuto meno. Segno che i nostri costu-
mi tradizionali posseggono un valore asso-
luto in bellezza e di grazia»
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.
Le testimonianze degli antichi abiti
popolari sono per la maggior parte affidate
ai vari pittori, ai grafici o alle descrizioni
dei numerosi scrittori dell’epoca soprattut-
to per il periodo del Settecento e della
prima metà dell’Ottocento.
Per i periodi successivi vi sono abiti che
sono stati amorevolmente raccolti ed affi-
dati a musei che oggi li conservano.
Tra tutti i benemeriti che si sono occu-
pati di salvare un patrimonio così impor-
tante bisogna almeno ricordare Attilio