Pagina 48 - costume di nettuno 2

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C
LEMENTE
M
ARIGLIANI
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Non meno incantata è la descrizione
lasciataci da Oreste Raggi«Dal vino passia-
mo facilmente alle donne, agli amori, alle
nozze, alle feste genzanesi. Il padre Kircher
diceva bello questo paese sopra tutti del
Lazio, le sue donne, io dico, sono egualmen-
te le più belle di quante del Lazio e di molti
altri dell’Italia si possono vedere. A loro si
accostano per venustà quelle di Albano e di
Ariccia, colle quali ebbero pure comuni le
usanze del vestire. Queste donne piuttosto
alte e ritte nella persona, con neri e folti
capelli, con ispaziosa fronte, con sopracci-
glia lievemente inarcate e grandi, con nero
ed aperto occhio, con naso profilato, con
vermiglie e pienotte labbra e così soavemen-
te tagliate, che ove si aprano al sorriso
lasciano intravedere disposti in tanta bella
ordinanza i più candidi denti, con mento
ovale, ben colorite, con un incedere sciolto e
dignitoso che ti richiamano i lineamenti
onde gli antichi figurano le Palladi e le
Giunoni. Il D’Azeglio che vedeva ai suoi
tempi gli aspetti delle Circasse e delle
Giogiane in quei luridi ceffi di Rocca di
Papa, ben avrebbe potuto vederli in questi
di Albano, di Ariccia e di Genzano. Il loro
vestire che da pochi anni è andato in disuso,
dicono da che è venuta la miseria con la crit-
togama delle viti perché dispendiosissimo,
era per altro assai gaio. Ora è un vestir
goffo, cittadinesco e fatto comune a tutti
questi paesi. Alcune più doviziose lo con-
servano e l’usano in certe feste solenni,
come nelle processioni o quando vanno a
nozze. Non coprivano il capo, ma vagamen-
te intrecciati i capelli li sostenevano con un
lungo spillo d’argento che finiva in bel lavo-
ro di spighe di grano o di svariati fiori. Poi
li circondavano con una specie di corona
formata da un nastro rappreso di seta color
rosa o rosso o celeste, che al nero e lucido di
quei capelli, faceva contrasto ed ornamento
vaghissimo. Nella state un corpetto di bian-
co pannolino, nel verno di panno scarlatto
stringeva la vita fino a mezzo l’antibraccio, e
un guanto, o di maglia bianco o di pelle
giallo, copriva il braccio fin dove giungeva
la manica. Sopra quel corpetto non era vera-
mente un busto, ma una specie di roba che
pure chiamavano busto di forma direi trian-
golare armata di piccole stecche di balena,
ricoperta di seta o di lana a vivi colori, e di
cui una estremità dava proprio nel mezzo
della cintura, le due altre tiravano inverso le
spalle e si andavano a congiungere con un
simile triangolo che stava alle terga. Quindi
scendeva dal natural fianco la veste molto
pannosa e di svariati colori, e tutta la perso-
na si mostrava libera e vagamente svelta.
Non così adorne erano nei giorni di lavoro
che allora, come non avesser tempo di
acconciare il capo, vi gittavano sopra un
fazzoletto di colore ripiegandolo con bel
garbo. La mattina in sul primo rompere del-
l’alba si vede nella piazza la radunata di
queste donne prima che si partano per la
campagna. Qui sogliono raccogliersi in su
quell’ora e ordinandosi sotto talune che
fanno loro da capo e che direttamente pat-
tuiscono in avanti le giornate coi padroni
dei poderi, muovono quindi dividendosi a
cinque, a sei, a dieci, per questo o per quel
quarto di terreno. Tornano poi su la sera alla
spicciolata e senza ordine, sicchè a voler
vedere tante belle riunite insieme non è ora
più opportuna di quella mattutina. Una
volta mi è venuto alle mani un piccol libro
intitolato
Il linguaggio dei fiori
, che mi parve
assai vago pensiero, dandosi a molti di que-
sti una espressione particolare secondo la
natura loro e uno significava dichiarazione
di amore, altro collera o disdegno e via
discorrendo, ma un così gentile pensiero io
ho trovato che si pratica egualmente fra
queste genti di contado. Sa l’amante per
dove passar deve l’amata donna che va o
torna dai lavori campestri, e lungo il sentie-