C
LEMENTE
M
ARIGLIANI
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sta pezza prendeva la forma di un rettango-
lo, di cui una metà poggiava sull’alto della
testa, ove non rimanendo del tutto tesa,
incorniciava la fronte a modo di timpano, e
l’altra metà scendeva libera dietro la nuca.
Ad impedire poi che col movimento della
persona i lembi ripiegati sulla testa si scom-
ponessero, venivano appuntati con spilli
lungo la linea di sovrapposizione. Non si ha
ricordo che le donne lanuvine abbiano mai
portato quello strano cappello di
rat-musqué
dalla forma di piccola bomba di feltro a pelo
lungo e ruvido, color del caffè e latte ed
ornata di fiori, di cui vediamo abbigliate le
popolane romane nelle stampe del Pinelli;
né la “sinfarosa”, cuffione di seta o di vellu-
to, adorno di nastri, di piume o di fiori.
Ancora un altro numero dell’abbiglia-
mento festivo femminile era dato dalla pet-
tina con cui coprivasi sul petto il giubbetto,
che rimaneva scollato, e nel mezzo della
quale quasi mai mancava uno spilloncino
di oro (in dialetto spilletta).
Realmente consisteva in un vero e pro-
prio petto di mussolo, pieghettato longitu-
dinalmente, e raramente di maglia fissa
ricamata, il quale si appuntava sulla cami-
ciola all’altezza delle clavicole. Da ultimo, a
completamento del vestito, si gettava sulle
spalle un quadrato di maglia fissa ricamato,
ovvero di candido lino, piegato a triangolo,
del quale il pizzo ad angolo retto pendeva
libero dietro la persona e gli altri due scen-
dendo sul petto a croce di S.Andrea, si inse-
rivano tra la veste e il giubbetto, ai lati del
busto, che ne restava del tutto coperto.
Le scarpe di stoffa armonizzanti elegan-
temente col resto del vestito non pare che
siano state in voga a Lanuvio, ove le donne
calzavano le scarpette basse di cuoio con
calze bianche. Durante l’estate il vestito
femminile di festa differiva da quello ricor-
dato, non per la forma, ma solamente per la
sostituzione del giubbetto di candido lino
senza trine di oro a quello di panno scarlat-
to e della veste di seta o di cotone all’altra di
lana pesante. […] L’abbigliamento femmi-
nile lanuvino, di cui le parti ricamate erano
quasi tutte di fattura locale, sebbene altret-
tanto non possa dirsi delle stoffe, si comple-
tava con i finimenti di oro e di corallo, con-
sistenti nei grandi pendenti da orecchie ma
non così voluminosi quanto quelli che, per
esempio, vediamo in voga tra le ciociare e
le abruzzesi; negli anelli, dei quali sono
ancora pregiate le corniole, e nelle duplici
file di rosse grane di corallo, sostituite qual-
che volta dalla collana col ciondolo, volgar-
mente detto brillocco (breloque). Nei giorni
lavorativi la camiciòla di scarlatto si cam-
biava nell’inverno con un’altra di ruvido
panno, detto «borgonzone», durante l’esta-
te con una di cotone, non candido ma colo-
rato, affinché meglio togliesse le impronte
della fatica. Oltre a ciò negli stessi giorni
tutto il vestito si riduceva alla gonna di
panno in inverno e di cotone in estate; al
grembiule di cotonina; alle sciuccaje, orec-
chini tutti di oro senza perla; ai coralli ed in
fine al singolare busto, che si cominciava ad
indossare dalle giovinette nell’età pubere. E
qui cade in acconcio rammentare come, pel
fatto che l’uso del busto rappresentava per
le ragazze una specie di tessera, che le abi-
litava a sbrigare, con retribuzione, le man-
sioni ed i lavori campestri, di spettanza
delle donne mature, talvolta nelle famiglie
bisognose si costringessero le figlie ad
indossarlo, a scopo di lucro, anche prima di
raggiungere i tredici o quattordici anni.
Mentre nelle solennità, lo abbiamo già
detto, incedevano ordinariamente a capo
scoperto, gli altri giorni, sia in paese che in
campagna, lo coprivano col pannuccio, che
però non era di mussolo bianco inamidato,
ma di altra stoffa colorata.
Più conforme a quella dei paesi circon-
vicini, e molto meno caratteristica dell’ab-