C
LEMENTE
M
ARIGLIANI
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vesti è verde marino, blu violetto, oppure
tutto nero o turchino e pare che questo
costume principesco induca ad un fiero e
nobile portamento, in verità ho visto queste
povere nettunesi attraversare solennemen-
te la loro città logora dalle intemperie, con
la maestà delle romane e non meno belle di
esse; molte avevano il più nobile profilo
greco, capelli nerissimi ed occhi scintillanti,
un quadro d’insieme squisito che avrebbe
toccato il più duro dei cuori. Dopo gli scop-
pi dei mortaretti che si sparsero sopra le
antiche mura come una ghirlanda, e tra i
colpi del cannone, vedendo, attraverso una
nuvola di fumo, queste nobili figure di
donne nelle loro vesti rosse ricamate d’oro,
scintillanti, si aveva l’impressione di trovar-
si al cospetto di tutte le divinità
dell’Olimpo»
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.
Ad Alberto Galieti si deve una esposi-
zione molto accurata dell’abito femminile
di Lanuvio «l’abbigliamento femminile dif-
feriva secondo la stagione; come pure nei
giorni festivi non era simile a quello dei dì
feriali. Ma diciamo subito che il tono cro-
matico era dato dalla muta (in dialetto
mutata) invernale nei giorni di gala.
Consisteva in un giubbetto, localmente
chiamato camiciola, di panno color scarlat-
to molto attillato alla vita e con maniche
lunghe, orlate da una trina d’oro. Al di
sopra del giubbetto si metteva un reggipet-
to intessuto di vimini e ricoperto di seta, o
semplicemente di panno nero, dalla forma
molto arcuata e quasi triangolare, di cui la
punta era voltata in basso, e la base, che
misurava non più di 25 cm, in alto a soste-
nere il seno. Anteriormente ai lati di esso,
con un nastro che attraversava due occhiel-
li, si attaccavano due strisce alquanto spes-
se e rivestite della medesima stoffa, le quali,
montando sulle spalle, riunivansi in una
sola sulla schiena a modo di stracche.
Questa singolare foggia di busto rimaneva
assicurata alla vita mediante cordoni, che si
legavano all’altezza della cinta, tra le estre-
mità della lista posteriore ed ai lati della
porzione anteriore, attraverso quattro
occhielli per parte. Di modo che, non cin-
gendo del tutto la vita, oltre permettere alla
persona la sua ritmica e flessuosa andatura,
specie quando le donne si recavano ad
attingere acqua con la conca di rame
appoggiata all’anca, lasciava scendere natu-
ralmente sui fianchi, fino al tallone, l’ampia
gonna (in dialetto guarnello) che restava
sovrapposta al busto ed al giubbetto.
In genere la gonna era di lana dal colore
blu o differente, ma preferibilmente scelto
nella gamma dei toni scuri. Di più, al di
sopra di essa si portava il grembiule (in dia-
letto zinale) di seta, di satin o di cotone a
vivaci colori, che cadeva in basso quasi
quanto la veste e veniva legato ai fianchi
mediante un lungo nastro di seta o di cotone
col nodo, ad ampio fiocco, intrecciato davan-
ti. Nelle feste generalmente le donne non
usavano coprire il capo, poiché fermavano le
trecce con lunghi aghi crinali di argento,
spesso di carattere apotropaico, finienti in
alto a forma di spada,di losanga, di mano
che, chiudendo il pollice tra l’indice ed il
medio, per dirla con Dante, “fa le fiche” o di
palla, i più semplici; a fiori od a spighe di
filigrana i più appariscenti, detti tremolanti,
pel fatto che avendo il gambo formato a spi-
rale oscillavano al muoversi della persona.
Inoltre le circondavano con una specie di
corona formata da un nastro di seta (fiocco
nel dialetto) color rosa, rosso o celeste, che
faceva simpatico contrasto col nero ebano
dei capelli. Abbiamo detto generalmente,
perché nel recarsi in chiesa, sia pure per la
cerimonia del matrimonio, solevano mettere
sul capo non già un velo, ma una pezza qua-
drata di lino o mussolo inamidato, chiamata
dai paesani pannùccio. Piegata, affinché
acquistasse una maggiore consistenza, que-