C
LEMENTE
M
ARIGLIANI
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ammirare Roma e la Campagna Romana.
Così scrive Massimo D’Azeglio: «Non c’è
dubbio che con un po’ di cattivo umore
indosso si può non vedere in essa altro che
la terzana ed il deserto; ma bisogna pur
confessare che ad onta della filosofia della
storia, della logica, della morale, dell’amore
per l’indipendenza e dell’odio per la con-
quista, è impossibile sottrarsi al senso di
rispettoso stupore, che imprime l’aspetto di
questa vasta tomba nella quale giace sepol-
ta l’antica prepotenza romana»
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. Certo i
vari viaggiatori, non trascuravano le
“belle” di Roma e della Campagna Romana
agghindate nei tradizionali costumi che
conferivano alla naturale bellezza delle
donne un’aria particolare che li esaltava.
Leggiamo la descrizione estasiata di
Annunziata di Albano lasciataci da Gogol
«Pròvati a guardare la folgore quando,
squarciati i nembi neri come carbone, guiz-
za irresistibile con un fiotto di bagliori: tali
sono gli occhi di Annunziata d’Albano.
Tutto in lei ricorda i tempi antichi quando il
marmo prendeva vita e brillavano gli scal-
pelli degli artisti. La pece densa dei capelli,
in pesante treccia, s’innalzava in due anella
sul capo, e in quattro lunghe buccole si
discioglie sul collo. Comunque ella volga la
neve splendente del volto - l’immagine sua
s’imprime tutta nel cuore. Si mette di profi-
lo - di portentosa nobiltà alita il suo profilo,
e ne folgora una tale bellezza di linee che
mai pennello alcuno ha creato. Volge la
nuca dai meravigliosi capelli raccolti in
alto, mostrando il collo superbo e lo splen-
dore di spalle mai viste sulla terra - e così
anche allora è un portento. Ma cosa più d’o-
gni altra portentosa - è quando ella guarda
dritto, gli occhi negli occhi, gettando gelo e
deliquio nel cuore. La voce sua, piena,
risuona come bronzo. Nessuna agile pante-
ra può compararsi a lei in prestezza, vigore
e leggiadria di movenze. Tutto in lei è pro-
digio di fattura, dagli omeri fino all’ultimo
dito del piede, dalla grazia antica.
Dovunque ella si aggiri, va creando di se
stessa un quadro»
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.
Non meno efficace è la descrizione del
costume delle donne di Nettuno lasciataci
dal Gregorovius nel suo peregrinare per la
Campagna Romana. «È assai strano che,
persino i più piccoli paesi, in Italia si diffe-
renzino tanto l’uno dall’altro sia nel costu-
me che nel carattere e nel modo di vestire,
come delle piccole repubbliche. Così ogni
cittadina costruita sia sui monti che lungo il
mare, forma un popolo a sé. Per formarsi
un’idea precisa del pittoresco costume
nazionale di questi nettunesi bisogna assi-
stere ad una delle loro feste religiose, per-
ché nei giorni feriali ci accorgiamo solo di
particolari dettagli come un bellissimo
modo di dividere la chioma a metà del
capo, attorcigliando i capelli lungo la testa,
senza farne una treccia, ma annodandoli
con nastri, verdi le ragazze, rossi le donne e
neri le vedove, di modo che uno sa sempre
come distinguere le zitelle dalle maritate. A
Nettuno ho assistito alle due feste di san
Giovanni e san Luigi. Nella prima una pro-
cessione, accompagnata da musica, attra-
versò le strade, la croce era completamente
ricoperta di ghirlande e di garofani, segui-
vano ragazze e donne che portavano dei
fiori, era una cosa bellissima vedere tante
meravigliose figure, in vesti sfarzose, attra-
versare l’oscura località. Il costume consiste
in un fazzoletto a strisce d’oro e d’argento
rigido e piegato verso l’interno che ricopre
il capo oltre il profilo, in un abito lungo
rosso scuro, di seta o di velluto, ricamato
agli orli in argento e oro che scende solenne
ricoperto da una giacchetta dello stesso
rosso con le falde delle maniche orlate di
broccato. L’insieme dei gioielli, anelli d’oro,
orecchini, coralli e bracciali completa il bel-
l’abbigliamento. Talvolta il colore delle