Pagina 156 - costume di nettuno 2

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m
arina
S
ciarelli
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Qui per la prima volta vediamo la diffe-
renza con il nostro abito. Seguendo la cadu-
ta della stoffa e la rigidezza del giacchino,
l’abito sicuramente non sarà stato realizza-
to in seta e tanto meno in raso, la rappre-
sentazione è sicuramente di una donna
meno abbiente, povera la passamaneria e le
bordure. la gonna è a pieghe e non plisset-
tata, sicuramente di lana cotta (anticamente
le lane filate della migliore qualità veniva-
no dal nord africa; da notare che la lana
per il popolo rappresentava l’elemento pri-
mario per l’abbigliamento. la Sicilia si rive-
lò subito terra adatta per questa lavorazio-
ne in quanto ricca, oltre che di acqua di
mare, anche di acqua dolce: la lavorazione
doveva svolgersi vicino al mare perché il
primo lavaggio avveniva in acqua salata,
per ammorbidire il materiale greggio, ma il
secondo lavaggio, dopo la filatura, necessi-
tava di acqua dolce corrente).
il giacchino dello stesso tessuto qui
viene chiuso, si vede la pettorina (anche lei
non riccamente decorata), la camiciola e un
girocollo con pendente.
«le diverse produzioni tessili domesti-
che, in ambiente rurale, hanno avuto un
ruolo determinante nell’invenzione dei
costumi regionali, nell’elaborazione del
decoro. […] dalla fine del XViii sec. agli
inizi del ‘900 esisteva ancora nelle campa-
gne un rapporto vivo, ricco e complesso fra
la tessitura e la comunicazione attraverso il
tessuto. Quando la produzione tessile arti-
gianale è stata completamente sostituita
dalla meccanizzazione e gli artigiani sono
diventati operai, questo rapporto si è inter-
rotto. così la produzione industriale uni-
formata, massificata, proveniente talvolta
da paesi stranieri, ha determinato la perdi-
ta di una espressione tessile individuale,
che nella vita di molte persone esprimeva la
stretta correlazione tra il lavoro del tessuto
e il suo uso. […] nella tessitura artigianale
antica, i tessitori si ispiravano certamente a
dei modelli, ma non si fermavano all’imita-
zione: li inserivano nel loro repertorio tessi-
le, e divenivano nuovi tessuti che certamen-
te in seguito sarebbero serviti, a loro volta,
da modello con ulteriori trasformazioni»
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.
da questa trasformazione vediamo
chiaramente che la lavorazione del nostro
costume dai primi del novecento diventa
quasi fatto in serie: il taglio e le decorazioni
sono simili, la tegola è sempre la stessa, si
notano solo le piccole trasformazioni dovu-
te al gusto femminile e al materiale a dispo-
sizione. il raso prende piede, quello che era
un costume di tutti giorni, diventa da festa,
partecipa alle manifestazioni.
per cui la nostra ricerca è verosimile
partendo dalla metà del Settecento, ma se
noi volessimo ripercorrere la storia del
costume ricercando le fonti del nostro abito
da dove dovremmo iniziare?
partiamo dal Quattrocento: l’indumen-
to per così dire fondamentale del costume
femminile del Quattrocento resta la trecen-
tesca gonna o gonnella o sottana
[
…] per lo
più sfoderata e, per il ceto medio molto
semplice, di lana forte e di colore scuro:
mormorino o paonazzo o nero.
«le guarnizioni sono di una ricchezza
che si può dire perfino eccessiva, ma sem-
pre improntata a fantasia e a gusto d’arte:
liste, galloni, frappe, frange, motivi metalli-
ci e i primi tentativi di merletti d’oro, d’ar-
gento o di filo, memorabile conquista tecni-
ca, sia nel lavoro ad ago, sia in quello a
fuselli, che acquisterà sempre maggiore
importanza per finezza artistica ed effetto
ornamentale. Queste guarnizioni sono
sparse su tutta la veste e più spesso rag-
gruppate attorno allo scollo o agli orli o
sulle due maniche o anche su di una sola.
Bianca maria Sforza, maritata all’imperato-
re massimiliano, nel suo corredo spettaco-
loso del 1493, quando la moda è già in