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perché al giorno d’oggi è troppo costoso, e
perché le mode sonosi anche quivi intro-
dotte, che però è facile di prevedere che fra
non molto cesserà del tutto»
46
.
sulla medesima lunghezza d’onda è il
matteucci:
47
«esaminato bene il vestir antico
loro, era un misto di vetusto e sodo romano
indumento, unito a lusso orientale, in poco
dissimile dall’antiche trasteverine, sonnine-
si, ecc. di ogni stato ne ha significante
distintivo: la derelitta vedovella in nero
amaro lutto; la zitellina in rossa veste, cor-
pettin verde, intreccio di chioma in nastro
pur verde; un misto di amore insomma, e
di speranze; la maritata poi, e corpetto, e
veste, e nastro in pieno rosso; ardore tutto
in coniugal amore.
È un vestir piacevole tanto, e raro sì; che
con quel viso aperto e reale, in bel colorito,
brunetto anzi che no, in severo sossieguo e
verecondia, di cui fan vanto; avara in bello,
o facile natura, ad ogni cittadin sempre è
gradito: ed occhio peregrin resta rapito.
Ricco invero e durevol indumento da
madre a nipote, ma di cui in oggi fan le
schifiltose alcune nuove figlie, per seguir
estere mode, di strascichi, e palloni, cappel-
lin a cavù, ossia a cuccù, e code, e bòtti, e
nastri, e stracci; in perenne di casa serio
danno, con matto piacer de’ mercantelli,
ignorandosi perfin a prima vista, se figlie
sien d’adamo, o pulcinelli»
48
.
a partire dalla seconda metà
dell’ottocento, e sino alla prima metà del
novecento, il costume nettunese svolge
una funzione di “rappresentanza” nei vari
momenti che le istituzioni pubbliche lo esi-
gevano. Infatti troviamo rappresentata la
donna in costume nettunese nell’incisione
di Giommi (sec. XIX) per l’inaugurazione
della chiesa dedicata ai s.s. Pio e antonio
ad anzio (1856) e la vediamo raffigurata in
primo piano nell’incisione di antonio
acquaroni (1806 ca.-1874)
veduta del Porto
Innocenziano
(stazione a ponente)
49
.
eugenio checchi, in occasione del ban-
chetto per l’inaugurazione della ferrovia
Roma-nettuno il 23 marzo 1884, descriveva
ancora con ammirazione alcune fanciulle
nettunesi che indossavano lo storico costu-
me: «le sei giovanette erano sfavillanti in
quelle gonne di raso solferino, con guarni-
zioni d’argento, sormontate da un camiciot-
to della medesima stoffa ricchissimo di
ricami, pure d’argento e con quella bizzarra
tovaglia in capo di stoffa trapunta. avevano
tutt’e sei il costume di sposa adottato per la
circostanza, con monili di perle e ricche col-
lane, e la qualità di sposa risulta dal nastro
rosso attorcigliato come una treccia nei
capelli. Gentilissime tutt’e sei, rispondeva-
no con sorridente disinvoltura alle doman-
de dei curiosi ammirati»
50
.
Intanto maturava la coscienza di salva-
guardare i manufatti dei costumi tradizio-
nali che lentamente, ma inesorabilmente
tramontavano. un primo importante con-
tributo venne da Lamberto Loria (1855-
1913) che in occasione della
Esposizione
Universale
del 1911, voluta per celebrare i
cinquanta anni dell’unità d’Italia, raccolse
numerosi costumi tradizionali da destinare
successivamente al costituendo museo di
etnografia Italiana
51
.
L’8 luglio 1926 il ministro tittoni riuniva
un comitato promotore per una mostra sul
Costume popolare
sostenendo nel discorso
introduttivo che «raccogliere e studiare que-
ste sopravvivenze - documenti di diritto e
testi dialettali, memorie ed oggetti- vuol dire
fissare e ritessere la storia del nostro paese. e
raccoglierli è necessario, perché col rapido
espandersi della civiltà, coll’intensificarsi
dei rapporti tra regione e regione, col gran-
de fenomeno emigratorio, certe forme della
via locale - e i loro documenti, salvo quelli
scritti – sono destinati a diradarsi o a svani-
re del tutto»
52
. sul catalogo della mostra così