a cura di Benedetto La Padula
Lamberto Ciavatta (Nettuno 10 settembre 1908 - Genzano il 13 agosto 1981), pittore. Il padre, Nunzio, era un fattore della famiglia Borghese. Il nonno di Lamberto, Paolo, era il concessionario del vasto possedimento dell'Acciarella, proprietà di Rodolfo Borghese.
Ha vissuto il benessere, dei primi anni del 1900. la tragedia della prima grande guerra del 1915/18. l'avventura e l'illusione degli-anni trenta, di nuovo il dolore della seconda guerra mondiale del 1943/1945, le speranze dell'esistenzialismo, dell'incomunicabilità, del neorealismo, del boom economico anni Sessanta, delle rivolte giovanili del 1968 e poi il disimpegno degli anni successivi, l'individualismo, la frammentazione sociale, fino al 1981, quando si è spento. Ciavatta è stato la sintesi di tutto questo.
Lo hanno chiamato "Lambertaccio", perché era schivo e riservato., ma ha manifestato tutte le sue inquietudini nella multiforme sua attività di progettista, di pittore e di scultore. Lo hanno descritto dall'aspetto elegante fino alla ricercatezza, dai tratti misurati, dal parlare breve, dal sorriso raro, tutta forza e foga, tanta violenza di temperamento e capacità di lavoro.
All'età di 24 anni, nel 1932, sulle spiagge di Nettuno, Lamberto incontrò la bionda e affascinante romana Jole Carelli, ma lo stesso anno fu avviato alle armi, alla Scuola Allievi Ufficiali di Artiglieria di Pola. Divenne sottotenente nel 1933. dopodiché lasciò l'esercito e tornò alla vita civile, collaborando con lo studio dell'architetto Mario Di Cara a Roma. Il 3 marzo del 1935, nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, sposò Jole e il 18 dicembre 1935 nacque il primogenito Paolo.
Nel 1937 fu richiamalo alle armi. L'anno successivo, dopo il congedo, vinse un concorso al Ministero della guerra. Il 20 gennaio del 1944 nacque il secondo figlio Pietro. Dal 1947 al 3950 si dedicò a studi meccanici e balistici, a progetti di architettura civile e militare. Ma nel 1953, e precisamente il 25 maggio, per incitamento di un antico compagno di università, l'architettto Torquato Terracina, riprese a disegnare e dipingere. La modella questa volta fu la piccola figlia di Terracina, di cui Lamberto eseguì un apprezzatissimo ritratto. Da quel momento abbandonò l'architettura. Per due anni trasformò la sua casa in un atelier disordinato e polveroso. Dopo due anni, nel 1955 si iscrisse all'Accademia del nudo dell'Associazione Artistica Internazionale, di cui divenne direttore nel 1956. E del 1956 è la sua prima mostra in via Margutta. Dalla fine degli anni "50 fino al 1981, Lamberto Ciavatta ha realizzato centinaia di opere, oli, disegni, materico-coke, sculture. Il Comune di Nettuno possiede due grandi tele, ad olio (cm. 250 x 200) dal titolo "Noi accusiamo", cinque disegni su carta, un disegno su masonite (cm. 120 x 150), tutti esposti nella pinacoteca del Comune di Nettuno. Negli ultimi anni della sua vita, avrebbe voluto vedere esposte le sue opere nelle sale del Forte Sangallo, in una mostra permanente che legasse indissolubilmente il suo nome alla città di Nettuno. Ma le lungaggini burocratiche che ci vollero per acquisire il Forte alla proprietà pubblica e forse un insufficiente apprezzamento della sua arte fecero fallire il progetto. Avvenne così che, sentendo avvicinarsi inesorabile la fine dei suoi giorni, il 22 dicembre del 1980 Lamberto Ciavatta donò al Collegio degli Scrittori di Civiltà Cattolica della Compagnia di Gesù quarantadue delle sue opere (poi portate a quarantasei, il 24 giugno del 1981).
L'Amministrazione Comunale di Nettuno, in collaborazione con Villa Malta, gli ha dedicato una mostra delle sue opere, nel Forte Sangallo, dal 4 al 30 maggio 2003 e il ricco catalogo illustrato (a cura di B. La Padula in "l00Libri per Nettuno", inv. n. 364)
CONTESTO STORICO
Conservare la memoria delle cose significa portarsi sulle spalle un fardello di conoscenze e di ricordi. di avvenimenti e volti, di affetti e sentimenti, per lo più determinati dal tempo che si vive e dalla sensibilità che si possiede.
Mi avevano incuriosito quei disegni visti per la prima volta a settembre del 1998, nella sala della Giunta del Comune di Nettuno, a tratti infantili e dolci, a tratti rabbiosi e gridati.
Mi sono avvicinato, poi, a Lamberto Ciavatta, quando mi sono occupato della storia e degli eventi, dei personaggi e dei luoghi di Nettuno, di Cicerone e Corradino di Svevia, di D'Annunzio e Pirandello, di Ferdinand Gregorovius, Wolfang Goethe, Alessandro Tassoni, Ellis Cornelia Knight, dei due Paolo Segneri, zio e nipote, di Antonio Ongaro, di Andrea Sacchi e Pier Francesco Mola, di Luigi Trafelli, Guido Egidi, Giuseppe Brovelli Soffredini, Angelo Castellani, dei medici Norberto Perotti e Giulio Petraglia, del martirio di Santa Maria Goretti, della Scuola di Artiglieria, del Poligono di tiro e della Scuola di Polizia, di Torre Astura, di Torre del Monumento, Forte Sangallo, via Romana, Santa Maria del Quarto, dei Pamphilij, dei Colonna e dei Borghese, del Cimitero Americano, dello Sbarco alleato e del Baseball.
Lamberto Ciavatta si portava sulle spalle un fardello molto ingombrante, perché il suo tempo è stato ingombrante, carico, stracolmo di avvenimenti tra loro analoghi e contrapposti. Nato nel 1908, ha vissuto il benessere dei primi anni del 1900, la tragedia della prima grande guerra del 1915/18, l'avventura e l'illusione degli anni Trenta, di nuovo il dolore della seconda guerra mondiale del 1943/45, le speranze della repubblica e della democrazia, le aspettative della ricostruzione, le contraddizioni degli anni dell'impegno, dell'esistenzialismo,dell' incomunicabilità, del neorealismo, del boom economico anni Sessanta, delle rivolte giovanili del 1968 e poi il disimpegno degli anni successivi, l'individualismo, la frammentazione sociale, fino al 1981, quando si è spento.
Ciavatta è stato la sintesi di tutto questo.
Lo hanno chiamato "Lambertaccio", perché era schivo e riservato, ma ha manifestato tutte le sue inquietudini nella multiforme sua attività di progettista, di pittore e di scultore. Lo hanno descritto dall'aspetto elegante fino alla ricercatezza, dai tratti misurati, dal parlare breve, dal sorriso raro, tutta forza e foga, tanta violenza di temperamento e capacità di lavoro.
Settantatre anni frenetici, convulsi nel cambiamento repentino di stili di vita e correnti politiche, di rapporti sociali, modi di pensare e mode del vestire, ritmi musicali, scuole di arti e di cinema, letteratura e poesia. Diversi i linguaggi, le relazioni, differenti i sentimenti.
Una nota biografica, quale questa è, vuole aiutare l'osservatore e l'estimatore, e i suoi concittadini di oggi. a conoscere l'uomo-Ciavatta, entrando nella vita e nei suoi tempi.
In quel fardello di memorie, che sulle sue spalle ossute e dritte si andava facendo sempre più gonfio e pesante, ha rovistato con angoscia, trovandovi ogni volta gli attrezzi di lavoro più adatti alle sue stagioni. con cui ha creato i suoi disegni e le sue tele ad olio, i graffiti e gli impasti di coke, le sculture di carbone bruciato, calcestruzzo e sabbia di mare.
Ha disegnato l'ordine e il caos, la fede e la disperazione, la bellezza e l'orrore, pace, guerra, amore, odio. perché tutto questo è stato il suo tempo, vissuto e filtrato attraverso i suoi occhi, il suo carattere, le sue emozioni. E la speranza che in ogni uomo si affaccia, spesso al tramonto della vita.
Sento il mio tempo
nei cumuli, nei cirri,
nella tempesta
che sconvolge il mondo,
nel nembo che s'addensa
nel pensiero.
Sento il mio tempo
nel tragico, nel pianto
e nel sorriso
dolce della speme.
Mentre il gran Dio,
onnipotente e buono,
dipinge sui teleri del mio cuore,
l'arcobaleno della
mia speranza.
Questa è una poesia che Lamberto Ciavatta ha scritto, credo, negli anni "60, quando ha realizzato un ciclo di dipinti intitolati proprio "Sento il mio tempo"
Grazie anche alta generosa collaborazione del suo e mio amico, il medico Giovanni Cappella, ho raccolto nello speciale fondo bibliografico comunale "lOOLibri per Nettuno" tutto quello che è stato scritto su Ciavatta. La lettura delle critiche artistiche e delle poche notizie biografiche mi ha aiutato a percepire meglio una personalità così ricca e complessa, come la prima osservazione di alcuni suoi disegni e dipinti, nella Sala "Giovanni Serra" del Municipio, mi aveva fatto solo immaginare.
Ho il mio debito maggiore, per la compilazione di questi brevi cenni biografici, nei confronti del critico e storico dell'arte Bertrando Bigi, che ritengo l'autore più informato e completo sulla vita e l'arte di Ciavatta, tra quelli che ho potuto leggere
Molto devo anche ai Padri Gesuiti del Collegio degli Scrittori di Civiltà Cattolica di Villa Malta a Roma. dal Rettore P. Angelo Macchi, al Ministro P. Antonio Stefanizzi, a P. Virgilio Fantuzzi, esperto d'arte e amico personale di Ciavatta, autore di un ampio e profondo articolo, pubblicato nel n. 3138 di Civiltà Cattolica del 1980.
Debitore sono anche verso il figlio Paolo, che vive a Roma e verso l'architetto Mario Di Cara di Ostia, che è stato amico personale di Ciavatta.
Lamberto Ciavatta nacque il 10 settembre 1908 all' Acciarella, un lembo del territorio di Nettuno, ai confini con le Paludi Pontine, quando ancora la bonifica di Mussolini era di là da venire. All'anagrafe del Comune risulta nato nella casa di via Vittorio Emanuele III, a Nettuno, alle ore due del mattino ed è probabile che il parto sia avvenuto in questo che allora era poco più di un paesotto, nella casa di nonna Erminia. La mamma era Concetta Leonardi. Il padre, Nunzio , era un fattore della famiglia Borghese.
Il nonno di Lamberto, Paolo, era il concessionario del vasto possedimento dell'Acciarella, proprietà di Rodolfo Borghese
L'Acciarella agli inizi del 1900 era una landa malsana dell'Agro Romano, regno incontrastato di zanzare e di malaria, popolata di zappatori, vangatori, seminatori, estirpatori, mietitori, trebbiatori, pastori, butteri e vaccari, che vivevano in condizioni malsane, ammassati nelle "lestre", le tipiche capanne di paglia della palude, oppure negli enormi stanzoni maleodoranti delle masserie, illuminati e riscaldati da enormi focolari.
Là cucinavano, mangiavano, dormivano e proliftcavano promiscuamente.
Alla morte del vecchio Paolo, gli successe nel governo della tenuta il figlio Nunzio, descritto come un giovane alto, sottile, con un viso nobilissimo, che portava nella conduzione e nel comando la sua intelligenza sottile, nutrita di studi, la sua allegra generosità, uno spirito agonistico e simpaticamente spavaldo.
"Un personaggio così straordinario -scrive Bigi nel suo Sodalizio- amato, venerato, e ammirato dai rusticani cavalier cortesi, non poteva rimanere in ombra. Anche i pionieri cinematografari del tempo si impossessarono di questo affascinante centauro che muoveva gli occhi antracite distrattamente spaziando per tutto l'orizzonte, che trascorreva il suo tempo imperiosamente domando e placidamente cavalcando orgogliosi diavoli maremmani. Sotto il suo governo l'Acciarella, nel frattempo passata in concessione ad un borghese di campagna, era diventata la perla del comprensorio pontino.
Tra il Centro Esperienze Artiglieria, le Tenute di Conca e Cisterna, la pineta di Torre Astura ed il Tirreno - confini della tenuta dell'Acciarella si allevavano superbe razze equine, bovine, ovine; si selezionavano elette sementi per rigogliose semine.
Nunzio Ciavatta maramaldeggiava nelle campionarie nazionali, conquistando premi, diplomi, medaglie e riconoscimenti. .. .Tecnico agricolo informato e valente, era un poco il consulente di tutti quei concessionari limitrofi più sprovveduti o meno fortunati".
Nunzio Ciavatta e Concetta Leonardi ebbero altri quattro figli: Paolo, Orlando, Elda e Igina. Lamberto era il terzogenito.
In età scolastica, nel 1914, Lamberto fu trasferito a Nettuno, nella casa della nonna Erminia. L'ingresso a scuola non fu lieto, per un bambino abituato alla libertà dell'Acciarella, ai grandi spazi della campagna, alle destrezze a cavallo dei butteri.
Ciavatta scriverà più tardi di sé: "La sorte mi ha condotto, appena nato, in Nettuno, in una zona molto proficua alla meditazione, in una sterminata pianura dell 'Agro Pontino. Ho avuto sempre scarsa attitudine allo studio regolare, metodico, che impegna la totale presenza di se stesso. Questa mia tendenza all' astrazione, ha sempre fatto disperare i miei insegnanti. Non che io fossi indisciplinato per jattanza, ma l'incapacità ad assoggettarmi a una subordinazione della fantasia, mi ha sempre tiranneggiato"
Questa è la prima sofferenza di Lamberto Ciavatta.
Nei primi anni del 1900 l'Italia stava vivendo una significativa ripresa economica, grazie alla politica condotta o ispirata a più riprese dal Capo del Governo Giovanni Giolitti. Il commecio con l'estero era aumentato nel primo decennio del secolo da tre a sei miliardi. I depositi delle casse di risparmio ordinarie e postali, delle banche ordinarie e di quelle popolari furono pressochè raddoppiati, da meno di tre miliardi a più di cinque. Aumentarono gli stipendi e furono emanate due importanti leggi sull'ordinamento della magistratura, nel 1907 e una sullo stato giuridico degli impiegati civili, nel 1908. Il mondo dell'economia cominciava a raccogliere a mettere a frutto i principi innovatori e gli ìncoraggiamenti dell'enciclica Rerum Novarum, che il papa Leone XIII aveva emesso nel 1891.
Nei quarant'anni che vanno dal 1881 al 1921, la popolazione nettunese passò da 2.515 a 6.686 residenti. Nettuno era tra le località climatiche e balneari predilette dalla borghesia romana.
Nel 1882 il Comune aveva pubblicato un libro, scritto dal medico condotto-ufficiale sanitario dottor Giulio Petraglia "Qual è il clima di Nettuno" proprio per promuovere le virtù benefiehe di un soggiorno marino in questo luogo.
Nel 1884 il treno arrivava da Roma fino al centro del paese, percorrendo gli ultimi chilometri tra la tenuta Borghese da una parte, e il mare dall'altra.
L'anno successivo fu un altro medico condotto e ufficiale sanitario, il dottor Norberto Perotti, successore di Petraglia, a pubblicare un suo volumetto: "Può diventare Nettuno una stazione climatica invernale?", seguito nel 1888 da una "Guida igienica ai bagni di mare e nel 1889, dallo studio scientifico "Nettuno e il suo clima", sulle proprietà terapeutiche del nostro mare e dell'aria.
Il 23 agosto del 1899 fu fondata la Banca di Credito Cooperativo con il nome di "Cassa Rurale di Nettuno di Depositi e Prestiti S. Isidoro Agricola "
Il 1° marzo 1900 arrivò nelle strade del centro cittadino la corrente elettrica.
Il 17 luglio 1901 il ministro dell'Interno Giovanni Giolitti concesse al comune di Nettuno l'uso della bandiera: un telo quadrato di seta celeste e verdemare di 2 metri e dieci centimetri dilato, con l'asta bleu, sormontata dal dio Nettuno.
Il 6 luglio 1902 si spense nell'Ospedale Fatebenefratelli (oggi ex Divina Provvidenza) la piccola Maria Goretti, colpita a morte il giorno prima da Alessandro Serenelli, nella masseria di Conca.
Nel 1903 Gabriele D'Annunzio componeva in Villa Borghese la tragedia "La figlia di Jorio" e nel 1904 Luigi Pirandello ambientava a Nettuno la novella "Va bene" scrivendo: "Così, Cosmo Antonio Corvara Amidei domandò un mese di licenza, e il dì 5 di marzo del 1904 si recò a Nettuno per appigionarvi un quartierino alla vista del mare"
La ricostruzione del Santuario a San Roeco, sulle mura dell'antica chiesetta dell'Annunziata e la costruzione del nuovo Municipio fuori dalle mura, ai margini di una zona ancora paludosa, indicavano che le scelte per il futuro sviluppo urbanistico della città andavano verso levante. Per ora la sede del Municipio era ancora nel Borgo, nel palazzo baronale, di fronte alla Collegiata di San Giovanni- . L'arciprete e parroco di Nettuno in questi anni, dal 1882 al 1919, anno della sua morte, era don Temistocle Signori. Nel 1910 entrò in funzione una linea di tram elettrici, che collegava Anzio e Nettuno, e la costa si popolava di villini eleganti, con vista sul mare e le pinete alle spalle.
Nel 1914 i nettunesi inaugurarono il nuovo Santuario di Nostra Signora delle Grazie, riedificato dai Padri Passionisti. L'anno successivo, nella Scuola Centrale di Tiro di Artiglieria, il Poligono dell'Esercito, fu istituita la Sezione Esperienze, per il controllo e il collaudo di armi e munizioni.
Cuore della cittadina era ancora il borgo, intessuto di palazzi signorili e di case semplici, intreccio di vicoli e piazzette, tutto intorno alla Chiesa Collegiata, dedicata ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista. A un lato della Collegiata c'era l'Oratorio del Carmine, all'altro la chiesa del Ss. Sacramento, di fronte il palazzo baronale già Colonna, ora proprietà Borghese. Da una pane del borgo il bel palazzo dei Sègneri25, dall'altra parte il maestoso palazzo Doria-Paniphilj, anch'esso di proprietà Borghese, con gli affreschi di Pier Francesco Mola.
Erano gli anni di personaggi come il Maestro Angelo Castellani (1863-1949), dello storico e pittore Giuseppe Brovelli Soffredini (1863-1936), del matematico e fisico Luigi Trafelli (1881 - 1942) di Guido Egidi, medico chirurgo ed esperto navigatore (1883 - 1949) del pittore Salvatore Valeri (1856 - 1946)
Nel 1915 scoppiò la prima guerra mondiale e anche Nettuno pagò il suo contributo di vite umane con la perdita di venticinque soldati e del capitano Umberto Donati.
Dopo sei anni di permanenza con la nonna a Nettuno, Lamberto fu avviato al collegio della "Congregazione dei Fratelli e Sorelle di Nostra Signora della Misericordia" a Velletri, per intraprendere gli studi tecnici.
Nel 1921, all'età di 13 anni, lasciò Velletri per il Collegio Nazionale di Terni. Nella cittadina umbra visitò la Pinacoteca comunale e scoprì la sua vocazione artistica.
Nel 1924 superò gli esami di ammissione al Regio Liceo Artistico di via di Ripetta a Roma, dove conseguì la maturità nel 1927. Risale a quest'anno l'unico disegno che ci è rimasto di quella stagione: Il Ritratto di Limone, modello di via Margutta, oggi conservato nella pinacoteca di Villa Malta a Roma. Raggiungeva ogni mattina Roma da Nettuno in treno e, durante quei viaggi quotidiani, ritrasse centinaia di figure, volti di donne avvenenti, di vivaci studenti, di impiegati malinconici, di operai stanchi e pensosi, umiliati e rassegnati. Racconta Bigi che durante una mostra romana, nel 1959 chez Alexanian, si presentò a Ciavatta una bella signora per ricordare che lei conservava ancora, a distanza di 33 anni, uno schizzo che l'artista le aveva fatto in treno.
Diplomatosi, dunque, nel 1927, lo stesso anno si iscrisse alla facoltà di architettura, anche se il giovane sognante avrebbe preferito seguire la sua vocazione artistica, iscrivendosi all'Accademia di Belle Arti.
Prevalse l'imposizione paterna, propria della borghesia dell'epoca, che aspirava a dare una laurea, e non un semplice diploma, ai propri figli. Così anche Lamberto doveva dare lustro alla famiglia, di un certo livello economico, si, ma senza tradizioni universitarie.
Fu sicuramente per Lamberto un'altra delusione, anche se in architettura arrivò alla soglia della laurea, senza tuttavia riuscire a laurearsi a causa dcl servizio militare. Ma iniziò a frequentare a Roma anche lo studio di pittura del professor Alessandro Battaglia, insegnante dell'Accademia. I disegni e dipinti di questi anni andarono tutti distrutti nella casa di Nettuno, sotto i bombardamenti del 1944.
All'età di 24 anni, nel 1932, sulle spiagge di Nettuno, Lamberto incontrò la bionda e affascinante romana Jole Carelli, ma lo stesso anno fu avviato alle armi, presso la Scuola Allievi Ufficiali di Artiglieria di Pola. Divenne sottotenente nel 1933, dopodichè lasciò l'esercito e tornò alla vita civile, collaborando con lo studio dell'architetto Mario Di Cara a Roma.
Il 3 marzo del 1935, nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, sposò Jole e il 18 dicembre 1935 nacque il primogenito Paolo.
Nel 1937 fu richiamato alle armi. L'anno successivo, dopo il congedo, vinse un concorso al Ministero della guerra.
Il 20 gennaio del 1944 nacque il secondo figlio Pietro.
Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, Ciavatta scrisse all'architetto Di Cara questa lettera, che possiamo considerare il manifesto artistico della sua seconda stagione
"Io dopo tanto dolore, tanta crudele delusione, non so se potrò ritrovare la pace nel cuore! Forse la tradita e abbandonata pittura potrò darmi quella consolazione minima che mi impedirà il suicidio. Dio, la Patria, la Famiglia e l'Arte saranno il mio viatico. Ma la pittura dovrò rappresentare per me non un ozioso hobby, peraltro oneroso in questo mio momento difficile. Dovrò dipingere concedendo ogni giorno di meno al bello e al grazioso. Vorrei dire con i pennelli quello che tu sai esprimere con la tua chiara parola, e più ancora (scusami la presunzione) vorrei parlare agli uomini, che io considero tutti fratelli, il linguaggio dell 'amore, della fratellanza, della tolleranza. Vorrei fulminare i potenti e i criminali che hanno condotto l'umanità ad un baratro pauroso. Questo presumo! Ma questa presunzione è la mia sola cagione di vita. Ed aggiungo che non vorrei esaurire la mia nuova, benefica frenesia, in una squallida esposizione polemica. In poche parole, non vorrei fare del realismo o del neorealismo e, soprattutto, non in funzione politica ma vorrei che dietro ogni mia figurazione vi fosse una preoccupazione estetica
Possiamo considerare veramente questa la chiave di lettura di tutta la sua produzione successiva, il grimaldello che ci permette di penetrare lo spirito inquieto di Lamberto Ciavatta.
Dal 1947 al 1950 si dedicò a studi meccanici e balistici, a progetti di architettura civile e militare. Ma nel 1953, e precisamente il 25 maggio, per incitamento di un antico compagno di università, l'architettto Torquato Terracina, riprese a disegnare e dipingere. La modella questa volta fu la piccola figlia di Terracina, di cui Lamberto eseguì un apprczzatissimo ritratto. Da quel momento abbandonò l'architettura. Per due anni trasformò la sua casa in un atclier disordinato e polveroso.
Dopo due anni, nel 1955 si iscrisse all'Accademia del nudo dell'Associazione Artistica Internazionale, di cui divenne direttore nel 1956.
E del 1956 è la sua prima mostra in via Margutta.
Una giuria presieduta da Leonida Rèpaci gli conferì il Premio Margutta.
Scrisse di lui Bertrando Bigi: "Ciavatta è un uomo terribile. Spesso ce lo vediamo di fronte con la premeditata, fredda apparenza di chi, avendo commesso un delitto, senta la necessità di trovare non un confessore, ma un correo: poiché grave è il peso della propria coscienza. Perché qui sta il lato terribile di questo uomo: ha la sentita vocazione di coinvolgere chiunque nei suoi squisiti misfatti. Noi, abdicando alla nostra orsina fierezza, ci confessiamo vinti dalla sua jàtalità non priva di fascino. Quel deprecato giorno che abbiamo avuto la sventura d' incontrarlo, regolavamo il nostro squinternato equilibrio psichico con indigestione di meprohamati ed avevamo la velleitaria aspirazione di trasformarci in stiliti. Ciavatta ha un fine volto nervoso, illuminato dalla luce degli occhi, febbrile, arguta e disarinante ad un tempo. Egli si presenta con quell 'attrezzatura d 'eversore di altrui volontà (mascherata da una mitezza del tutto apparente), con quel suo aspetto che lo distingue fra milioni di perturbatori della pace privata. Riesce ad inocularci il veleno della curiosità, comunicandoci - con calcolata, meditata indifferenza- la esposizione di alcuni suoi lavori a via Margutta. Gli promettiamo una visita, mentre dentro di noi ghigna lo scaltro, ambiguo proponimento di mancare all'appuntamento. Invece irresistibilmente, fummo attratti da lui e da via Margutta, dove il reo esponeva ".
Nel 1958 fondò con l'amico architetto Mario Di Cara la rivista ". ..Due punti:" con sede in via Margutta, che per molto tempo fu l'organo portavoce critico-obiettivo delle manifestazioni artistiche più significative della Capitale.
E arriviamo agli anni "60.
Gli urgevano in quei giorni - è sempre Bertrando Bigi a narrare- i sentimenti più contrastanti sulle grandi scoperte nucleari. Se ne parlava insieme con grande stupore e stupefatto timore. Poi lui, Ciavatta, c'era dentro fino al collo in quei problemi, almeno nei suoi aspetti più appariscenti ed esterni. il Ministero della Difesa gli aveva affidato, per competenza del suo ufficio 1 'approntamento delle grandi e spettacolose mostre romane e torinesi della Tecnica e dell 'Elettronica Nucleare. A lui era affidata la parte più delicata ed impegnata: quella architettonica e cartellonistica. In questo campo, sconosciuto alla generalità dei critici - scrive Bigi - ha operato da quel grande artista che conosciamo, ,facendo del cartellonismo un 'arte maiuscola e affatto marginale. I suoi cartelloni, riprodotti in migliaia e niigliaia di esemplari, dopo avere riempito le mura delle città d 'Italia, sono finiti nei salotti e negli atelier incorniciati come una preziosa opera d'arte
Dalla fine degli anni "50 fino al 1981, Lamberto Ciavatta ha realizzato centinaia di opere, olii, disegni, maierico-coke, sculture.
Da quanto mi hanno raccontato, credo che in questi anni abbia anche donato molte delle sue opere. Ognuna delle persone che lo hanno conosciuto possiede almeno una sua tela o un disegno.
La Pinacoteca Comunale possiede due grandi tele ad olio (cm. 250 x 200) dal titolo "Noi accusiamo' cinque disegni su carta, un disegno su masonite (cm. 120 x 150), tutti esposti nella Sala "Giovanr Serra" del Palazzo Municipale.
Negli ultimi anni della sua vita, avrebbe voluto vedere esposte le sue opere nelle sale del Forte Sangallo in una mostra permanente che legasse indissolubilmente il suo nome alla città di Nettuno. Ma le lungaggini burocratiche che ci vollero per acquisire il Forte alla proprietà pubblica e forse un insufficiente apprezzamento pubblico della sua arte fecero fallire il progetto. Avvenne così che, sentendo avvicinarsi inesorabile la fine dei suoi giorni, il 22 dicembre del 1980 Lamberto Ciavatta donò al Collegio degli Scrittori di Civiltà Cattolica della Compagnia di Gesù quarantadue delle sue opere (poi portate a quarantasei, il 24 giugno del 1981).
Colto da infarto in casa di amici, morì nell'ospedale di Genzano il 13 agosto 1981.